documento
annuale - giugno 2015
Non
è facile riordinare ragionamenti in un contesto così intricato come quello di
oggi nel mondo e in Italia indicando una prospettiva che non tenda al pessimismo.
Per l’Italia in particolare le prospettive sembrano grigie ma solo dall’analisi brutale della situazione
può emergere qualche spiraglio di idee e di proposte per i prossimi anni.
Il
documento annuale del Gruppo Cinque Terre tenta una operazione verità e
suggerisce scelte difficili ma secondo noi inevitabili.
Il
pianeta gira dal verso sbagliato
Si
aggravano le tensioni nel contesto internazionale dal punto di vista sociale, economico,
ambientale. Mentre i soliti poteri forti condizionano sempre più la nostra vita
e fanno scempio delle risorse del pianeta.
1 Se si guarda
all’ultimo anno non si può dire che si intraveda nel mondo una inversione di
tendenza rispetto a tre elementi di
inaccettabile squilibrio:
L’arricchimento di gruppi
molto ristretti non si ferma e produce grandi sacche di povertà anche in aree dei
paesi cosiddetti sviluppati. E’ il prodotto dell’estremismo finanziario che
trova la sua voce nella irresponsabile cultura del neoliberismo e nella labile moralità delle élite politiche
che lo sostengono o vi convivono senza un aperto dissenso.
La tutela del pianeta come insieme di risorse
fisiche e naturali e di esseri viventi è
sconvolta progressivamente dalle forme di sfruttamento che si esercitano
indifferenti alle loro conseguenze irreversibili.
L’integralismo, specie
quello religioso diventa arma di sterminio, in aperto contrasto con l’idea
della convivenza come soluzione dei conflitti. Si manifesta anche il ritorno a
forme diffuse di schiavismo. Le eccezioni in controtendenza sono poche.
Le élite finanziarie e
politiche e la cultura dominante che esprimono si impongono attraverso la distorsione
dell’informazione, dei dati storici, con anche una aperta censura e l’uso di
economisti prezzolati o insignificanti,
con la difesa di sistemi elettorali e
legislativi che impediscono l’emergere di nuove forze e nuove culture
politiche. Invece di cercare soluzioni efficaci si coltiva la politica della
paura e della insicurezza, strumenti per mantenere influenza e controllo su una parte consistente
della pubblica opinione. L’esercizio
della democrazia sul pianeta, che con la fine dell’era dei due blocchi
contrapposti si immaginava dovesse avere un meraviglioso futuro, si sta invece
contraendo. Malgrado maggiore mobilità nel mondo, malgrado l’esplosione
dell’era di internet, malgrado la maggiore velocità nel comunicare, sembra che
il mondo si involva nella spirale di povertà, intolleranza razziale,
terrorismo, disgregazione territoriale, inquinamento inarrestabile del
territorio, land grabbing e privatizzazione delle risorse, invece di
evolversi in un più equilibrato sistema
mondiale complessivo, nella maggiore tolleranza e maggiore giustizia sociale, e
in un modello di tutela ambientale più
responsabile. In una cinquantina di aeree del mondo focolai
di guerra prevalgono come forma di risoluzione dei
conflitti. Si manifestano anche sintomi
nuovi di tendenziale annullamento degli stati
nazionali ottocenteschi e degli assetti
territoriali emersi con le due guerre mondiali. Ci sono nazioni in avanzata
disgregazione specie nell’area medio orientale e africana. Vedi i casi di
Somalia, Libia, Siria, Yemen e le crisi irrisolte come l’ Afghanistan o l’Irak,
ma anche l’Ucraina alle porte dell’Europa.
Emergono nuove entità non
statali con un ruolo crescente: enti finanziari, gruppi etnici armati, comunità
transnazionali, che competono con gli stati nazionali nella gestione economica,
nel controllo dell’informazione, nella produzione di cultura, nella
legislazione civile, penale e commerciale, a volte sul terreno dell’uso della
forza come nel caso dell’Isis. Una religione può conquistare con le armi uno
stato, una multinazionale può legalmente imporre le leggi che le interessano, il sistema bancario si
impadronisce e poi gestisce la moneta ed il debito di interi stati a proprio
piacimento.
In Europa si affievoliscono
per crisi interna le premesse sociali e comunitarie dell’Unione Europea che
tende invece a cancellare le regole democratiche degli stati nazionali senza
proporre neanche lontanamente una alternativa di democrazia europea. Avanza la
deregolamentazione nella gestione e composizione dei conflitti fra interessi
pubblici e collettivi rispetto a quelli egoistici di gruppi ristretti. L’accumulazione
di potere finanziario è tale da modificare la qualità stessa di questi ambiti
che si sono ristrutturati secondo logiche, regole ed equilibri propri del tutto
autonomi e non condizionabili dai poteri degli stati nazionali e delle comunità
(sistema bancario, circuito massonico, accentramento tecnologico, controllo
diretto o indiretto di media e altri settori degli stati nazionali ).
Un
Nuovo Medioevo Italiano
Con
il renzismo continua la particolare anomalia italiana, con l’involuzione e il degrado di
istituzioni, democrazia, informazione,
economia, rapporti sociali. Dietro la facciata dei rottamatori in realtà si
scorgono sempre gli stessi attori a cui si lascia totale mano libera.
2 Renzi ha
il mandato di fare quello che non riusciva più a fare Berlusconi. Nel campo del
lavoro, della scuola, delle regole elettorali, delle modifiche costituzionali,
della deregolamentazione in campo ambientale. Austerità a senso unico e graduali
privatizzazioni, proposte e sostenute dalle burocrazie europee, non sono
contestate. Non c’è solo l’abilità della
persona e di chi lo sostiene dietro la scena
e che gli ha dato per il momento copertura totale. Abbiamo già indicato
come molto del progetto renziano sia in fondo una rivisitazione più moderna (
la rottamazione dell’esistente ) delle
vecchie idee del programma piduista di Lucio Gelli. Si stanno compiendo i passaggi
preliminari per l’occupazione totale e l’accentramento di tutti gli spazi
istituzionali, fino al superamento nei fatti della suddivisone in tre ambiti
dei poteri della Repubblica . Già da tempo
sosteniamo che la Corte Costituzionale è il prossimo nemico da disarmare,
perché ancora dotata di una qualche autonomia. Ancora qualche anno così e se non lo si
arresta, il percorso diventerà
difficilmente reversibile, poi vedremo
il bello. Non è una nuova DC come spesso
si afferma con leggerezza, ma un cambiamento di regime che non ha eguali negli
altri paesi principali dell’Europa... un ritorno ad un nuovo medioevo dove
sotto il monarca opererebbero solo vassalli. Non esiste una normale dialettica politica
e culturale perché le nuove regole la impediscono o la rendono inefficace. L’ informazione
spesso non solo manipola ma racconta
fiabe, mescolando una sottile censura a falsi veri e propri che vengono
assimilati come verosimili da una parte limitata ma decisiva dell’elettorato,
mentre una tendenziale maggioranza percepisce
l’ assenza di alternative convincenti e si infila nel vicolo cieco
dell’astensionismo elettorale che è la vera quinta colonna della immutabilità dell’esistente. Si
forma così un regime di tipo nuovo costruito su gruppi sociali minoritari nella
società, ma compattati dal controllo dei flussi economici, dell’informazione,
delle regole elettorali; e soprattutto avvantaggiati dall’assenza di avversari
altrettanto uniti e coesi.
Questa è la vera anomalia specifica del nostro
paese. La corruzione endemica, in aggiunta alla criminalità organizzata, ormai attori
economicamente rilevanti, diventano parti costitutive e non casuali della
compattezza della minoranza al potere. L’assalto e l’inquinamento delle liste
elettorali è solo la punta dell’iceberg.
Il disegno renzista adatta con abilità
la tendenza globale europea della austerità a senso unico alla specificità culturale e
storica italiana diventando per certi versi un nuovo singolare punto di
riferimento. Il risultato delle elezioni regionali e comunali parziali non
frena al momento il percorso anche se segna una battuta d’arresto del ”partito
unico della nazione” e rilancia la
strategia del bipolarismo simulato fra
un centrodestra unito quando serve ed un centrosinistra senza sinistra come
soluzione elettorale capace di annichilire il ruolo di disturbo del M5Stelle
che al momento sembra essere l’unico oppositore di rilievo.
La
palude o il cambiamento
Sono
possibili nuovi protagonisti sociali capaci anche di ruoli istituzionali ? Cosa si potrebbe o dovrebbe
fare ? Non ci sono molte scelte
possibili.
3 In Europa la
partita si gioca nel campo dei rapporti di forza istituzionali ed economici.
Emblematico il caso della Grecia, oggetto di un violentissimo scontro in buona
parte condotto dietro le quinte. L’obiettivo è la crisi ed il ritorno al voto
in un paese spaventato. Là si gioca la conquista della maggioranza, il
controllo dell’apparato statale e l’inversione delle logiche economiche e
finanziarie prevalenti in Europa. Se questo è il punto di partenza possibile,
in Italia come in Grecia o Spagna, resta il problema di come inventare e
costruire una alternativa che sia in grado almeno di competere e offrire una
visione diversa e credibile, fornire ai popoli la possibilità di una diversa ma concreta
scelta alternativa. Costruire un progetto alternativo che nei programmi, nelle
forme di organizzazione sociale, politica ed infine elettorale, nella
leadership allargata ed efficace indispensabile, solleciti la speranza e l’appoggio di ampi e
diversificati settori della società.
In
Italia ne la somma contingente di partitini o movimentini , ne la aggregazione
temporanea di piccoli apparati sopravvissuti
da epoche precedenti che si incontrano qualche mese prima di ogni
scadenza elettorale hanno nulla a che fare con la costruzione di un movimento
di liberazione nazionale che sembra essere oggi la denominazione formale più
adeguata per quanto servirebbe. Il rifiuto netto e spietato di questi apparati
da parte degli elettori è emerso definitivamente nel voto di maggio.
I referendum sull’acqua sono
stati una emblematica e parziale rappresentazione di possibile conquista della
maggioranza, vittoria istituzionale ma anche conversione di logiche economiche, fra l’altro con una
forte connotazione ecologista. Ma come tali sono stati un momento difficilmente ripetibile che,
come si è visto, è cosa diversa da un progetto di stabile cambiamento. E’ impensabile
lavorare ai fianchi o cogestire queste istituzioni come sono o affiancarsi in
forma subalterna ai vincenti del momento
nel sistema dei partiti sperando di avere, nell’ipotesi migliore e più onesta, qualche contropartita politica o sociale; ne ha alcun peso fare opera di testimonianza
parlamentare.
Non
ha più significato dichiarare la necessità di una nuova sinistra rifondata, ne
il mantenimento di una rappresentanza
della specifica cultura dell’ambientalismo tradizionale, neppure l’agitazione
di una protesta di tipo civico e anticasta. Serve l’unione in
un'unica forma di iniziativa politica di queste tre tematiche sociali che è
stata, forse per scelta neppure del tutto consapevole, la fortunata formula
alla base del movimento di Grillo nella fase nascente, il cui successo sul
piano elettorale ma anche di innovazione è stato senza precedenti in Europa nel dopoguerra. Mancava però di una adeguata soluzione del nodo della gestione
democratica del gruppo, della formazione della leadership e della non facile soluzione delle possibili
forme di alleanza sociale ed elettorale
dopo il successo del 2013. Perché
se il M5Stelle sbaglia nell’esaltare il
proprio isolamento va detto con onestà che oggi non esiste un possibile alleato
autorevole. Il vecchio sistema dei partiti ha ben chiaro che finché tiene questo scenario
resta comunque imbattibile.
I problemi irrisolti,
insieme alla poderosa offensiva dei partiti e dei gruppi sociali messi in discussione ha provocato un chiaro arresto
del movimento di Grillo che è privo di una visione strategica, ed insieme di
una leadership in grado di reggere allo scontro. La maldestra gestione del voto
europeo del 2014, una vera catena di ingenuità, incompetenza e valutazioni
politiche sbagliate è stata il segnale della fragilità più che della
imposizione autoritaria che viene attribuita al vertice del movimento. La
raccolta di firme per la ventilata uscita dall’euro non ha convinto e nella sua
ambiguità è lentamente scivolata nell’indifferenza.
Fra gli aspetti positivi si
è invece in qualche modo risolto il nodo della partecipazione nelle tv. Resta
in piedi come proposta di rilievo quella di un reddito minimo per tutti ( “ nessuno
deve restare indietro” ) e l’impegno attento sulle tematiche ambientali e su
quelle della corruzione. Questi sono oggi i punti di forza del movimento come
unico reale oppositore di rilievo.
Esaurita la spinta
innovativa iniziale è difficile oggi prevedere se il M5S terrà, se si
ridimensionerà ad un gruppo di media dimensione sul piano elettorale, se manterrà la sua connotazione radicale o
degraderà nel trasformismo degli altri ( sarà verificabile solo fra
qualche tempo, non oggi ) , se avrà una
rapida disgregazione o sarà capace di autoriformarsi ed avere un risultato
stabile nel tempo. Almeno fino ad oggi non si vedono i presupposti per una
seconda fase di crescita. Anche se il tema è tabù sembra evidente che si sta
esaurendo l’epoca del duo Grillo-Casaleggio e del ruolo dello “staff” . Sembra
limitata l’efficacia di un direttorio
improvvisato e per la verità da nessuno scelto. Resta il fatto che si
tratta dell’unica reale opposizione,
diffusa e combattiva, presente oggi sulla piazza. Fra molti elettori per il
momento, ma non per molto ancora, probabilmente prevarrà per necessità la
regola del “turarsi il naso e ridare il proprio voto” perché non c’è altra
scelta. Anche perché lasciano perplesse le scelte di parecchi dei dissidenti,
espulsi o allontanatisi, il cui comportamento successivo sembra quasi dare
ragione a Grillo , che pure, almeno nel metodo, ragione non ne ha nessuna.
4 Nel campo degli oppositori andrebbe annoverata
anche la cosiddetta sinistra radicale.
Difficile valutare in che cosa oggi consisterebbe la denominazione di “
radicale” visto che si tratta nei suoi apparati di vertice perlopiù della
schiera dei sopravvissuti di tutte le sconfitte, gli errori , gli opportunismi
ed i trasformismi che hanno portato quest’area prima ad essere fagocitata nella
comoda nicchia dell’ulivismo, poi , una volta fatta a pezzi e disgregata, a ridursi
alla tutela di apparati ed eletti. Poche
centinaia di persone negli ultimi anni che stanno riducendosi a poche decine e che
in tutte le forme e le occasioni possibili fanno muro e si frappongono a qualunque tentativo di tentare un nuovo
corso che provocherebbe la loro definitiva
rottamazione. Per loro i risultati elettorali di maggio sono disastrosi. Gli
osservatori più critici in quest’area di cui non ci sentiamo ne parte ne
complici, con toni molto più pesanti dei nostri concordano ormai con quanto già
da qualche anno sosteniamo: il principale contributo che possono dare gli
attuali partiti-ombra della sinistra è
quello di sciogliersi e disperdersi facendo tabula rasa dell’esistente, liberando
migliaia di militanti da un aleatorio senso di appartenenza e di paralisi
ideologica e aprendo dal basso, dai territori, dalle regioni, una lunga e
disinibita riflessione sulla propria vicenda ventennale e sulle ragioni di un
così sorprendente fallimento, dando spazio a nuovi protagonisti e lasciando a
lato quelli vecchi.
L’appello che andrebbe rivolto a queste forze residuali ( da SEL a Rifondazione, dai Verdi all’ IdV,
ma anche alle varie liste e reti civiche nazionali e locali, ad alcuni comitati
locali e nazionali che hanno assunto un ambiguo ruolo di partitini non
dichiarati ) è quello di costatare la propria inefficacia nella forma in cui
sopravvivono. Di più il loro ruolo
negativo e di freno nei confronti dell’ipotesi di una vera aggregazione i cui
referenti sociali oggi sono dispersi fra astensionismo, incerto grillismo o in attesa di una improbabile conversione di un PD
che esiste solo nelle loro illusioni.
La vicenda breve e
circoscritta della Lista Tsipras, nata ancora una volta a ridosso di una
scadenza elettorale, rimandando ad un dopo elezioni imprecisato il senso del ruolo al suo interno dei vecchi partiti invece
di chiederne per tempo l’immediato
scioglimento, è tristemente chiara. La
lista, malgrado interessanti aspetti dichiarati di novità, da subito si è rinchiusa
invece nel sarcofago della ennesima rifondazione della sinistra, ultima conferma di percorsi che non portano a
nulla. A metà aprile, neppure ad un anno dal voto europeo, l’esperienza si è di
fatto svuotata attraverso una formale divisione in due ed un sostanziale ridimensionamento che ha reso entrambe le
parti irrilevanti. Tant’è che la vicenda è passata praticamente inosservata se
non per qualche interessata polemica quando anche Barbara Spinelli, una delle
figure, insieme a Guido Viale, che portano contributi e riflessioni
interessanti, ha preso le distanze, dichiarando fallita l’esperienza della
lista, nata in realtà con un unico obiettivo chiaro: la presenza alle elezioni
europee. Non per nulla sono proprio parecchie
centinaia di militanti “di base” ad essere stati abilmente messi all’angolo dai
piccoli grandi manovratori che si sono
pure dotati di un loro Prodi a tutela della loro sopravvivenza. L’esito era
prevedibile e si spera sempre che sia l’ultima volta.
5 Il
problema di fondo è però che la sinistra chiamata “radicale” anche negli anni
migliori in realtà non ha mai superato elettoralmente il 10% e non si è mai presentata comunque unita
nel territorio. Si è così assimilata la cultura del minoritarismo organico,
il rituale dei programmi scritti sulla carta qualche mese prima della scadenza
elettorale in calendario. L’obiettivo dei cartelli elettorali è sempre stato
quello di superare il quorum del momento, eleggere qualcuno, con il consueto “
liberi tutti” subito dopo. Senza un
progetto vero su nulla, ne sui propri settori sociali di riferimento, ne sul rapporto con le forze esistenti in
campo. Banalizzando il ruolo acquisito dal
movimento di Grillo visto solo come uno sgradito competitore, con le più
diverse opinioni sui sistemi elettorali, non comprendendo il significato
profondo del cosiddetto patto del
nazareno e del revisionismo costituzionale che lo sottende , ne la
trasformazione ormai definitiva del PD in elemento di continuità del ventennio
berlusconiano sopravvalutandone le
contraddizioni interne. Assenti
nella capacità di innovazione possibile su gran parte dei terreni di conflitto
sociale ( vale come esempio il TAV in Valsusa ), di fatto distratti sul tema
della conversione ecologica che, con poche eccezioni, viene identificata
con una versione del sistema industriale un po’ meno inquinante.
L’ultima novità in campo in
quest’area, ce ne sono almeno due o tre all’anno, è la cosiddetta “coalizione sociale”
di Landini. Nessuno sa esattamente cosa potrà essere, forse neanche lui, ma tutti si sono già posizionati per farsene
rappresentanti in qualche modo. Si dichiara che cosa, al momento, non è: non è
un modo per scalare la CGIL, non ha l’obiettivo di partecipare alle elezioni,
non vuole essere un partito, non si basa sul recupero dei dissidenti del PD (
che tanto dissentono comodamente dentro il partito garantendogli così un
pezzetto di elettorato critico ), non ha
come referenti i partitini esistenti. Positivamente vorrebbe rappresentare
quella parte dei lavoratori che non hanno tutele dandogli un megafono che al
momento non avrebbero. Che non è poco e
insieme non è sufficiente. Un
Landini candidato a fare il Vendola della prossima fase farebbe torto alla sua
intelligenza ma resta il fatto che , al di là degli incontri con Libera, Arci e
poi vari altri, il progetto resta ambiguo e indefinito e magari fra qualche
mese, se non compaiono scadenze elettorali all’orizzonte, ce ne saremo dimenticati . Anche Civati
ovviamente si appresta a lanciare il “suo” impossibile partitino. Perché tutto
in queste aree ruota ancora solo attorno alle elezioni, alla sopravvivenza dei
vecchi gruppi e vecchi leader sconfitti. L’idea di forme di autoorganizzazione
sul territorio, di centri di aggregazione sociale e culturale, di strumenti di
azione volontaria e strutturata in una società parcellizzata e precarizzata, non
entrano davvero nella discussione e dove presenti in forma frammentata pur se diffusa, sono del tutto separati e privi di un
dibattito sulla necessità dell’aggregazione popolare che è pochissimo praticata.
Perfino il successo spagnolo di Barcellona e Madrid, che non va sopravvalutato
ma studiato sì, di fatto è spesso citato ma forse non capito.
Questioni di metodo per una
ricomposizione sociale
6 Per concludere non possiamo
che suggerire una strada strettissima per uscire dalla palude, consapevoli che non si tratta di proposte facili ne di
breve periodo. Esistono ancora nel paese le competenze, l’onestà e
l’aspirazione ad un diverso sistema sociale più equo e attento al territorio,
insieme ad una diffusissima condizione di disagio e precarietà che però oggi in
molti si salda con l’astensione da tutto. Per qualche tempo si è sperato che,
seppure caoticamente come era inevitabile, il movimento attorno a Grillo potesse avviare un rapido processo di scomposizione sociale e di
riaggregazione vincente ( i cittadini che trovano le forme per riorganizzare
una alleanza ed una rappresentanza sociale
prima che elettorale, aggredire le logiche di casta, corruzione, mafie ma anche
indifferenza e clientelismo ). Presupponeva la costruzione di una rete
organizzata dal basso, l’espressione di nodi e di leadership locali
democraticamente espresse e collegate ai movimenti sociali, in Italia
eccessivamente frammentati ed autoreferenziali, quindi la progressiva
espressione di una leadership anche nazionale, magari periodicamente ridefinita.
Tutto attraverso (anche ma non solo) un uso esteso e aperto degli strumenti
permessi dalla rete dove, preceduta dal necessario confronto, si potesse
periodicamente avere anche una diretta espressione di scelte allargata ad una
larga base territoriale di sostenitori. Insieme alla costruzione sul territorio
delle sedi anche fisiche di aggregazione sociale ( noi le avevamo
chiamate ecohub, riflettendo anche sulle esperienze storiche delle case del
popolo e delle sedi di mutuo soccorso e su più recenti esperienze in altri
paesi europei). Nulla di tutto questo è avvenuto. I gruppi grillini, per quanto
numerosi, si sono rinchiusi nel recinto e già all’apice del successo del
M5Stelle nel 2013 si è intravisto che c’era una gestione incerta, emersa con
l’appuntamento europeo del 2014.
Che cosa impedisce un
progetto di riaggregazione sociale ? Il
dato di fondo è la mancanza di un
progetto, realistico, condiviso, plurale, basato su una vera partecipazione
dal basso ma anche su una leadership
ampia, riconosciuta e rinnovabile. Il M5Stelle è oggi di gran lunga la
componente più consistente di questo progetto ma non ha risolto il modo di
costruire dal basso ma anche con efficacia la propria strategia di
riaggregazione sociale. Servono anche altri protagonisti capaci di annichilire e sciogliere le vecchie
appartenenze che impediscono nuove aggregazioni, che si aggiungano
significativamente anche sul piano
elettorale e contemporaneamente partecipino ad aggregazioni unitarie alla base
sul territorio.
Sul
piano elettorale si tratta di
raccogliere alla fine l’adesione di
almeno 10 milioni di persone facendole convergere in un unico movimento di liberazione
nazionale. Superando quindi partiti e partitini più o meno dichiarati che non
hanno più alcuna ragione sociale di esistere. La convergenza con
il movimento di Grillo, che da solo difficilmente raggiungerà le dimensioni e
lo spessore necessario, risulterà ovvia
e decisiva.
Sul programma esistono
già pezzi sparsi e non comunicanti di
elaborazioni originali su temi cardine come la gestione del territorio, la
tutela dei beni comuni, la difesa dell’assetto costituzionale, una giustizia
emergenziale contro criminalità organizzata e corruzione. C’è maggiore
difficoltà su altri temi come l’economia (il significato della moneta, il ruolo
delle banche) e ancora sulle regole dell’informazione dove la riflessione è
inadeguata ( al massimo si rivendica un po’ di spazio in più per la propria
parte invece di chiedere l’allontanamento dei partiti dai media). Le proposte
sulla politica estera e di difesa diventeranno questioni scottanti e problematiche
visto il dilagare della tendenza alla guerra diffusa e la nascita di movimenti
integralisti sanguinari. Il freno alle
privatizzazioni, il ridimensionamento della burocrazia di stato e la riorganizzazione necessaria della
sanità, che dissipano enormi risorse
pubbliche ma non per il pubblico, richiedono una analisi approfondita oggi
appena presente.
C’è una perdita
generalizzata della capacità di studio, conoscenza, approfondimento, impegno
metodico. Ci vorrebbero strumenti di livello, vere e proprie fondazioni
culturali centrate sull’obiettivo del progetto di cambiamento. Il confronto oggi è superficiale , sostituito
dai cinguettii su twitter e dalle battute su facebook, insignificanti strumenti
di confronto che spesso alimentano solo superficiali divisioni. Molti in questi anni hanno ritenuto poco realiste proposte di
grande aggregazione preferendo semplificazioni e un apparente pragmatismo che
li ha portati all’attuale palude. Abbiamo ben chiara la complessità e
difficoltà di quanto proponiamo. Non si
tratta di scrivere un programma che è questione banale ma identificare il
percorso concreto di un progetto che riapra la speranza per la sua capacità di
innovazione, che non può ignorare quanto davvero c’è intorno ma capire come
superarlo. E’ possibile, questo è quello che possiamo fare.
Gruppo Cinque Terre - 1 giugno 2015
(
Piero Aimasso, Anna Andorno, Giovanni Chiambretto, Maurizio Di Gregorio,
Massimo Marino )
Completamente d'accordo.
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