55,68% dei voti. L'esponente laico è
il primo capo di stato eletto democraticamente nel paese nordafricano. Si ferma
al 44,32% il rivale Marzouki, che paga il legame con gli islamisti
È ufficiale.
Beji Caid Essebsi è il nuovo presidente della Tunisia, il primo democraticamente
eletto dall’indipendenza conquistata nel 1956. L’annuncio, poco dopo le 15,
da parte dell’Istanza superiore indipendente per le elezioni (Isie) preposto
al controllo del voto, ha posto fine alle dispute tra i due contendenti:
Essebsi ha avuto il 55,68% dei voti e il suo rivale Marzouki il 44,32%.
I pronostici della vigilia sono stati dunque rispettati.
Il tasso di
partecipazione è stato del 60,11% degli iscritti alle liste elettorali.
Il presidente uscente ha avuto più voti nel sud mentre il nuovo eletto nel
nord. Secondo un sondaggio realizzato da Sigma, Essebsi deve la sua elezione
alla presidenza alle donne: il 61% delle elettrici avrebbero votato il candidato
di Nidaa Tounes (Appello per la Tunisia, partito laico liberale).
E non c’è da meravigliarsi, i tre anni di governo islamista hanno
infatti penalizzato soprattutto le donne, i loro diritti e la loro
libertà. Moncef Marzouki, che al suo ritorno in patria dopo la caduta di Ben
Ali si presentava come il difensore dei diritti umani, dopo tre anni di coabitazione
al governo con gli islamisti ha cambiato profilo. La copertura data anche
alle frange più estreme degli islamisti, compreso il braccio armato di
Ennahdha, la Lega per la difesa della rivoluzione (che con la rivoluzione
non aveva nulla a che vedere), probabilmente hanno segnato la sua sconfitta.
Le elezioni – sia quelle parlamentari di ottobre che quelle presidenziali
concluse con il ballottaggio di domenica –rappresentavano infatti uno
scontro tra due modelli di società: quella laica e quella islamista.
L’elezione
di Essebsi oltre a essere il primo passo concreto nel processo di democratizzazione
della Tunisia, rappresenta anche – come ha annunciato commosso il presidente
dell’Isie, Chafik Sarsar – l’inizio della seconda repubblica. Gli oppositori
del presidente eletto paventano il ritorno a un sistema autoritario,
in quanto all’interno del partito da lui fondato nel 2012, Nidaa Tounes, vi
sono esponenti dell’ex partito unico, oltre a personaggi di altre aree
politiche, anche di sinistra. In realtà la sua età – 88 anni, altro grimaldello
agitato dai sostenitori di Marzouki – dovrebbe escludere la possibilità.
Come diceva il generale De Gaulle: «Non si comincia la carriera di dittatore
a un’età avanzata». Anzi l’età e l’esperienza sembrano aver giocato
a suo favore. La sua storia non è stata tanto legata a Ben Ali
– quando era stato portavoce del parlamento, incarico dal quale si era
dimesso ritirandosi dalla vita politica – quanto al primo presidente Burghiba,
sicuramente meno disprezzato del suo successore.
Il presidente
della repubblica in Tunisia non ha grandi poteri: è il comandante in
capo delle Forze armate, ma l’esercito tunisino non ha mai giocato un ruolo
forte come in Egitto o in Algeria. Rappresenta lo stato e ratifica
i trattati, ma in politica estera deve coordinarsi con il primo ministro.
Con il passato governo invece la politica estera era diretta da Rachid Ghannouchi,
leader e fondatore del partito islamista Ennahdha, che non ricopriva
nessuna carica istituzionale. Il presidente deve dare l’incarico per la
formazione del governo al partito che ha vinto le elezioni ed essendo il
suo stesso partito, la suo posizione ne esce rafforzata.
Tuttavia Essebsi, dopo aver dedicato la vittoria ai martiri e promesso di ridare «prestigio alla stato» e di ristabilire la sicurezza, minacciata dalla vicina Libia e dai jihadisti che hanno le loro basi sulle montagne al confine con l’Algeria, ha chiesto a tutti i tunisini di «lavorare insieme». Già capo del governo subito dopo la caduta di Ben Ali nel 2011, ora dovrà imprimere una nuova accelerazione alla transizione.
La prima
prova che dovrà affrontare sarà la formazione del governo. Non
è escluso il coinvolgimento di Ennahdha, anzi la stampa tunisina non
escludeva che il prossimo premier potesse essere essere Hamadi Jebali, già
capo del governo di Ennahdha, dimessosi dopo l’assassinio di Chokri Belaid,
nel febbraio 2013, che aspirava alla presidenza ma non è stato candidato
dal suo partito e ha appoggiato Marzouki. Una decina di giorni fa ha
dato le dimissioni dal partito islamista. Lo ha fatto per passare
nell’altro campo oppure, come sostengono altre fonti giornalistiche tunisine,
per formare un altro partito islamista più radicale di Ennahdha con esponenti
salafiti? In questo momento l’unica certezza è che Essebsi un uomo del
passato sarà anche quello del futuro.
* da il manifesto, 22 dicembre 2014
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