di Maurizio Di Gregorio (blog FIORI GIALLI)
Il Bio, (l’alimentazione, l’agricoltura e la cultura del biologico), compie in Italia 35 anni, l’età di un giovane adulto.
Se ne parla spesso come di un mercato che è poi il punto di incontro dei suoi tre componenti. La diffusione di un'agricoltura e di una alimentazione naturali, sane equilibrate e nonviolente sono il bel risultato ottenuto grazie al lavoro, all’impegno, alla visione e al sogno di tanti uomini e donne che sono stati in questi anni i pionieri fondatori e costruttori del biologico.
Come ciò è stato possibile in una nazione che ha espresso il più piccolo movimento ecologista, è una curiosità speciale. Qui vogliamo trattare del bio oltre il mercato, cioè del bio come pratica di vita, cultura vissuta, intenzione originaria ed anima che si realizza. A 35 anni bisognerebbe occuparsene.
Sulle origini del biologico
Alle prese con il boom economico, l’Italia degli anni ‘60 butta il vecchio per il nuovo ma non dimentica del tutto le sue radici. Così dopo gli anni della critica, come ridiscussione dell’esistente, e della ricerca a tutto tondo di impostazioni e soluzioni diverse, dai primi anni ’70 emerge il fenomeno de “il ritorno alla terra”. Quella terra così bassa, che obbligava a un rigore e semplicità di una difficoltà estrema e che era stata disconosciuta da masse di ex contadini che dal dopoguerra avevano inurbato le città, spopolando le campagne, abbandonando le colline ed i loro paesi millenari, verso più comodi e promettenti ”fondovalle”. In pochi anni si riscoprono le osterie, l’artigianato e l’agricoltura tradizionali, la musica e le danze folk, la pace dei borghi tranquilli e dei casali abbandonati, la fascinazione sorridente della natura, il cibo genuino.
La cultura del “ritorno alla terra” è un mix che mentre li scopre, li riempie già impetuosamente con il più sfavillante grimorio di sogni del secolo: il ritorno alla natura e la semplicità volontaria, vivere del frutto del proprio lavoro e vivere insieme agli altri, trovare se stessi e la dimensione spirituale, la rivoluzione degli orizzonti esteriori ed interiori.
Tanto affascinante quanto difficile trasformare in pochi anni la cultura dello stare fuori di sé nella nuova consapevolezza di sé, nel riabitare il proprio luogo. E comunque fu la scelta più saggia poiché accompagnò al “gran rifiuto” la positività di una ricerca ed una costruzione da svolgersi sotto la benevolenza di una severa ma affettuosa madre.
E’ tutta da scrivere la storia arcana di come una varia schiera di insegnanti e studenti, artisti ed hippies, artigiani ed imprenditori, ex operai ed ex militanti reinventarono una nuova esistenza all’ombra dei boschi fitti, dei camini delle case sperdute, nei vicoli medievali, sopra e sotto il paesaggio delle colline, scoprendo e riscoprendo nelle campagne il sapore di una vita antica ed autentica.
Un'Italia della memoria e della ricerca, civettante con il Progresso o sfuggente ad esso, con i piedi ancora saldamente piantati alla Terra e la testa protesa al Cielo.
In questo insieme sfaccettato l’origine del Bio.
Per una storia non convenzionale del Bio
Quasi come carbonari, i primi appassionati pionieri del bio si incontravano scambiandosi prodotti, ricette ed erudizione: cereali integrali, zuppe contadine e buon vino, insieme a macrobiotica e teorie filosofiche. Essi facevano tesoro di ciò che poteva offrire il proprio orto personale o era reperibile per campagne, mercati e poderi. I negozi bio ancora non esistevano o si trovavano solo nelle grandi città (e non si trovava il fresco). Una cultura semplice che metteva insieme e rifletteva sui discorsi della nonna, la bevuta con il contadino ed i primi testi circolanti su una alimentazione e salute naturali.
Lontano dalle certificazioni attuali, biologico era il buon cibo: esso si distingueva intuitivamente per naturalezza, o forma compiuta, integralità, o carattere realizzato, freschezza e vitalità, la sua connessione con la vita…
Con il cibo “vero” si costruiva una relazione, cioè una alimentazione naturale, caratterizzata da completezza, leggerezza ed armonia.
Dal '70 agli ’80 si formarono due scuole di pensiero e pratica distinte: gli ortodossi e gli gnostici dell’alimentazione naturale.
I primi, inflessibili con sé e gli altri, si impegnarono a costruire i riti del giusto apporto nutrizionale e della dieta ideale (naturale, vegetariana, igienista, macrobiotica, veganiana e via dicendo) ed hanno indirizzato l’evoluzione del bio verso alcuni cibi ed idee anziché altre. Essi sono creatori di precetti ed abili a condurre aziende ed attività.
I secondi, gli gnostici, rimasero assertori dell’esperienza diretta ed immediata attraverso uno stile alimentare istintivo e sincretico, una meditazione attiva da compiersi con abbandono, trasporto e devozione. Spesso incapaci di disciplina, tuttavia essi esplorarono il gusto, scoprendo le magiche virtù delle insalate di fiori appena colti, ascoltando le canzoni delle erbe selvatiche ed i significati delle spezie. Essi sono creatori di ricette ed un loro invito a cena è una benedizione. Sono generalmente inadatti a fare affari o gestire attività, tuttavia ad essi è concesso, nei momenti difficili, custodire la visione originale.
Negli anni '80-'90 il "Ritorno alla Terra" si estese con i week-end e gli agriturismi e divenne il terreno del sogno del cittadino impazzito che iniziò ad acquistare tutto il comperabile (sconvolse il mercato delle campagne), così anche L’Alimentazione e la Salute naturali divennero obiettivo mitico di conquista per gli uomini e le donne tipo della modernità, avviliti da una vita sempre più grigia, dalle malattie incombenti, dalla morte dei loro cari.
Negli anni selvaggi del mercato bio si trova di tutto: generosità ed avidità, qualità e truffa e difficoltà di ogni tipo, come sa bene chi c’era.
Ma poiché bio è buono, e il buono vince, per gradi successivi il circuito cresce e si solidifica, se non altro perché sempre più sono coloro che si accorgono che in giro va sempre peggio.
La domanda di Bio cresce con due avvenimenti chiave: il disastro di Cernobyl, che fa apprezzare la naturalezza del cibo come un tesoro, e la Mucca Pazza, che ci spiega come ormai si tratti di salvezza personale.
Ogni volta, dopo questi, il bio cresce come un fiume in piena: si moltiplicano aziende, distributori, negozi, i consumatori diventano una folla, fioccano contributi e burocrazie.
Come la coscienza segue l’esperienza, la mappa dei negozi bio è contemporaneamente la mappa dell’inquinamento e del disagio, più questi sono maggiori, più in reazione sorgono negozi e consumatori.
La realtà problematica del Bio
Siamo giunti alla realtà attuale, i cercatori di armonie degli anni '70 hanno i capelli bianchi ed hanno cresciuto nuove generazioni per i quali il naturale è scontato come la fermata del tram. Trenta anni di stile di vita naturale hanno permesso una buona salute ed una grande qualità dell’esistenza, per alcuni hanno portato anche altri doni.
Il Bio oggi è una pratica di vita ed un mercato insieme.
I piccoli negozi degli anni '70 stanno scomparendo, al loro posto veri e propri supermarket bio ed al contempo interi reparti bio si affacciano sugli scaffali della grande distribuzione, i media se ne occupano regolarmente. La diffusione del mercato e dell’argomento non può che farci piacere poiché la maggior parte delle persone sta scoprendo la possibilità di una alimentazione e benessere naturali.
Ma questa realtà porta una luce con molte ombre: essa è un poliedro di facce diverse che si esprime nella vita delle persone e molto nel mercato “dominante”. Vi sono problemi strutturali di crescita o anche sintomi di degenerazione?
La visione economica è cruciale: gli operatori del bio sono piccoli, medi e grandi. Solitamente i piccoli vogliono diventare medi, i medi grandi, i grandi grandissimi, secondo una scala dettata alternativamente dalle possibilità dalle necessità e dagli ego.
Osserviamo un attimo il mercato del bio nelle sue classiche identità, con un occhio critico ed un elevato grado di generalizzazione:
Gli Agricoltori sono ormai tantissimi, compreso latifondisti, banche ed opportunisti vari che hanno scovato una soluzione redditizia, finanche finanziata da contributi statali ed europei.
I Distributori continuano a determinare i prezzi di un mercato in cui i negozi si lamentano per i bassi margini, i produttori sostengono che non ce la fanno, i consumatori continuano a chiedersi perché costa così caro.
I Negozianti aprono e chiudono, chiudono spesso i piccoli ed onesti, spadroneggiano i pescicani (per natura o cultura) che non chiudono mai perché fanno pagare i propri errori e difetti agli altri.
I Venditori una volta facevano parte dell’ambiente, vi credevano, se ne intendevano; oggi c’è una invasione di rappresentanti riciclati che propongono il bio con lo stesso criterio con cui si piazzano vestiti e munizioni e non ne sanno niente.
I Consumatori, più o meno sensibili e coscienti, vanno dai benestanti bencurati che celebrano nella loro spesa il proprio successo, alle anime-vaganti-con-pochi-soldi che indugiano sugli scaffali cercando di comporre una spesa decente e non troppo costosa.
I Commessi dei negozi osservano il tutto in silenzio consapevoli che il loro stipendio di bio permette poco.
Accanto all’ampio giro di affari ed al favore che lo accompagna, vediamo poca allegria ed onestà, poca simpatia e comunicazione, poca energia e luce. Ad esse si sostituisce una cortesia affettata e gelida tipica del postmoderno che reclamizza un calore ed una qualità che non sono nel suo stile intimo o nel prodotto ma fa solo parte del budget pubblicitario.
E’ tutto bio quel che si dice? E perché ci sono così tanti enti certificatori e non due o tre? Chi controlla i controllori? Perché Roveda di Lifegate ha venduto un gioiello di azienda come Scaldasole alla Nestlè?, perché Mustiola, un ottimo distributore, è fallito? Perché la Ecor avanza come uno schiacciasassi e convince i negozi a cedergli la proprietà e si fa finanziare anche dalla Banca Etica (500.000 euro)? La deriva presa dal biologico è forse il tradimento delle sue intenzioni, l'oscuramento della filosofia che ne sta alla base, la sua strumentalizzazione in marketing, in una parola la sua falsificazione?
L'anima del bio
La storia del bio è la storia di un sogno che si materializza nella pratica e divenendo una pratica incontra la realtà del mercato e i difetti degli uomini, da qui i suoi problemi ed identità: ma avendo chiare le sue identità, cioè la personalità del bio, non dobbiamo chiederci, oltre la personalità, cosa ne è della sua anima, dell’anima del biologico?
Le grandi ditte del bio appaiono sempre più come arroganti macchine da guerra, protese alla conquista di mercati, ma è solo il mercato il terreno di una sana crescita del bio o vi é qualche altro territorio che esso deve frequentare?
Mentre l’industria prepara il futuro OGM, i negozi equosolidali pongono una domanda: va bene è bio, ma è anche equosolidale?
Ponendo l’attenzione non solo sul prodotto ed al suo processo ma anche al contesto e le finalità essi si avvicinano al cuore del problema.
Detto in altro modo, il biologico è solo un mercato da cavalcare, sedurre, conquistare, possedere e saturare, o è parte di un intero, un disegno creativo di costruzione e possibilità di una vita ed una società diverse, armoniche, giuste, equilibrate, un cambiamento semplice e fondamentale della vita quotidiana, un rispetto concreto per la natura dentro e fuori di noi, una esperienza evolutiva?
E se ciò è per il bio come pratica di vita, lo è anche per il bio come mercato. La cultura del bio sta al suo mercato come l’anima sta al corpo: senza questa, cosa lo animerà?
La tendenza attuale del mercato bio è incentrata sulla crescita del mercato stesso. Ma non vi é ordine in questa intenzione, cioè è senza criteri. Senza criteri non vi è ordine, misura tra le cose, in particolare tra intenzione e realizzazione, senza ordine non si esprime alcuno stile che è l’arte di dare forma e significato alle cose ed è determinato dall’ispirazione. Senza ordine quale ispirazione? Senza ispirazione quali saranno i risultati?
La quantità cresce a scapito della qualità, la realizzazione a scapito dell’intenzione; si voleva contagiare il mercato e se ne viene contagiati. Chi vuole mangiarsi il mercato ne sarà mangiato.
Può capitare allora da una parte che un fornaio bio sia estromesso da una fiera bio perché ha assunto un dipendente e dall’altra che dietro numerose etichette bio vi siano multinazionali, banche o anche solo un bieco sfruttamento di vite e destini individuali.
Può capitare allora che alcuni amici che mangiano bio da 25 anni, evitino un ristorante bio dai prezzi esagerati e l’atmosfera invivibile a favore di una trattoria familiare dove il cibo non è bio, ma il sorriso dei gestori sì.
Sul bio si è introdotta una complessa serie di certificazioni, che da una parte introducono standard medi accettabili, dall’altra aumentano il peso burocratico sui produttori a favore infine delle realtà economiche più forti prima e poi incontrollabili.
Se siete bio, piccolo è bello? Il bio dovrebbe essere semplice, ma in che misura è facile?
Se da una parte è inevitabile che con il successo giungano arrivisti, profittatori, truffatori e burocrazie, cosa si può fare per l’altra parte, quella che ne può e deve rimanere esente?
Su un altro versante, perché nessuno persegue l’obiettivo di una trasformazione totale dell’agricoltura e dell’alimentazione in bio? Solo il bio può essere venduto, caso mai venga certificato il non bio se è poco tossico.
Alcuni negozi bio non tengono libri e riviste su alimentazione e salute, alcuni lo dicono apertamente: così evitiamo domande e richieste imbarazzanti, altri ancora evitano accuratamente libri di crescita spirituale perché non vogliono apparire troppo strani….
Altri ancora hanno libri, organizzano corsi ed attività, espongono annunci, sono talvolta il punto di ritrovo per un ambiente….
35 anni fa il mercato del Bio (in inglese "organic") non esisteva, oggi c’è ed è un bene, permette la diffusione del cibo e dell’agricoltura naturali, ciò è una concreta soluzione al cibo e all’agricoltura del mercato, ieri industriale, oggi e domani anche OGM, sottoposti unicamente alle leggi di tecnica e profitto.
Dovrebbe però individuare “una via naturale al mercato” evitando che la cultura economica dominante e la megalomania degli individui lo sopravanzi e lo inglobi nella sua visione.
Come nel suo atto fondativo, dovrebbe continuare a preferire la qualità al posto della quantità.
Solo se rimane fedele alle sue intenzioni originarie, la mela bio ci parlerà ancora di naturalezza, integrità e conoscenza, poiché ad esse sono collegate amore, bellezza e mistero, qualità condivisibili solo con l’anima.
Il bio e l’ecologia non sono solo un mercato e non si possono fare solo con le regole, poiché anche i fiori e le mele ci parlano di Dio.
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