di Lorenzo Vallecchi *
Come un’alleanza di multinazionali avrebbe condizionato le politiche climatiche e ambientali Ue, dallo stop alle auto endotermiche nel 2035 all’Ecodesign.
L’Europa ha iniziato a fare marcia indietro sulle proprie politiche climatiche e ambientali nello stesso momento in cui un’alleanza opaca di grandi aziende statunitensi, guidate in larga parte da colossi delle fonti fossili, lavorava per annacquare le leggi pro sostenibilità dell’Ue. Mentre Bruxelles riconsidera la fine dei motori a scoppio dal 2035 e medita di allentare i requisiti Ecodesign sull’efficienza energetica delle caldaie a gas, un’inchiesta pubblicata dall’organizzazione investigativa olandese SOMO mostra come un gruppo ristretto e organizzato di multinazionali americane avrebbe operato per indebolire le norme europee più ambiziose su diritti umani, responsabilità d’impresa, clima e ambiente.
Secondo l’inchiesta, le attività di questa rete, chiamata “Competitiveness Roundtable”, si sarebbero svolte con un livello di coordinamento tale da influenzare Commissione, Consiglio e Parlamento europei, oltre a coinvolgere governi extra-Ue, incluso quello statunitense. In parallelo, le retromarce sulle politiche climatiche ventilate nelle ultime settimane sollevano interrogativi sulla capacità dell’Europa di resistere a pressioni esterne sempre più forti. Bruxelles sta infatti riconsiderando la scelta di limitare la vendita di nuove auto solo alle versioni elettriche dal 2035, alla luce delle dichiarazioni del commissario ai Trasporti Apostolos Tzitzikostas, che ha anticipato l’intenzione di includere anche motori a combustione alimentati con e-fuel o biocarburanti nel nuovo regolamento sulle emissioni (L’Ue si rimangia la scelta dell’auto solo elettrica post 2035). Allo stesso tempo, nelle bozze del nuovo regolamento Ecodesign per i sistemi di riscaldamento, la Commissione propone requisiti di efficienza molto meno stringenti rispetto ai piani iniziali, di fatto prolungando la vendita sul mercato di caldaie a gas nuove anche dopo il 2029 (Salta lo stop per le caldaie a gas nelle nuove norme Ecodesign). Due esempi recenti che mostrano una chiara frenata della politica climatica europea, mentre SOMO documenta pressioni coordinate per indebolire anche la Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD).
Un’opaca rete di multinazionali (per lo più) americane
L’inchiesta di SOMO ricostruisce l’esistenza di una coalizione composta da undici grandi imprese, molte delle quali attive nel settore fossile e con sede negli Stati Uniti. Tra queste compaiono Chevron, ExxonMobil, Koch, Honeywell e Baker Hughes, oltre a gruppi come Dow, Nyrstar, Enterprise Mobility e JPMorgan Chase, come mostra l’illustrazione di SOMO. Il nome scelto, “Competitiveness Roundtable”, maschererebbe dietro il principio della competitività un obiettivo preciso: “stralciare” dalla CSDDD gli articoli più rilevanti su clima, ambiente, responsabilità civile e fin dove un’azienda debba esercitare la due diligence lungo la propria catena di fornitura, oppure far deragliare del tutto la legge. Secondo SOMO, che basa la sua inchiesta su documenti interni trapelati con ricostruzioni doviziose di agenda, ruoli e priorità delle aziende coinvolte, la Roundtable discuteva strategie settimanali almeno da marzo 2025, definendo obiettivi mirati per ognuna delle istituzioni europee. Le aziende avrebbero lavorato per “dividere e conquistare” i governi nel Consiglio, assegnando a ciascuna impresa la responsabilità di coltivare rapporti specifici con singoli Stati membri: TotalEnergies con Francia, Belgio e Danimarca; ExxonMobil con Germania, Ungheria, Repubblica Ceca e Romania e Baker Hughes per l’Italia, dove l’azienda opera tramite la Nuovo Pignone. Nel Parlamento, il gruppo avrebbe puntato a spingere l’alleanza tra Partito Popolare Europeo e destra radicale per “garantire la posizione più estrema” e ottenere un mandato negoziale meno ambizioso su clima e responsabilità delle imprese. Le attività non si sarebbero limitate a Bruxelles. SOMO documenta contatti con governi extra-Ue per esercitare pressioni “con minima visibilità statunitense”. La strategia prevedeva coinvolgimento diplomatico, eventi mirati e perfino tentativi di influenzare il negoziato commerciale tra Washington e Bruxelles, affinché la CSDDD fosse percepita come un ostacolo da rimuovere.
Tecniche di influenza e ruolo dei think tank
Una parte dell’influenza descritta da SOMO passa attraverso intermediari e strumenti comunicativi sofisticati. Il coordinamento della Roundtable sarebbe stato affidato alla società di consulenza statunitense Teneo, nota per collaborazioni con aziende del settore fossile. I documenti mostrano inoltre che il gruppo avrebbe finanziato il TEHA Group, think tank con sede a Bruxelles, affinché producesse un rapporto sull’“impatto economico” delle normative Ue e organizzasse un evento pubblico a sostegno delle proprie posizioni. Né l’evento né il rapporto avrebbero dichiarato il finanziamento ricevuto dalle multinazionali coinvolte. I documenti trapelati mostrano anche che le attività delle aziende della Roundtable nel Parlamento europeo sono molto più ampie di quanto emerga dal Registro per la trasparenza dell’Ue. In almeno otto incontri di lobbying tenuti durante le sessioni plenarie di Strasburgo compaiono ufficialmente solo i rappresentanti di Teneo, senza menzionare le altre multinazionali presenti, mentre altri tre incontri non risultano registrati affatto. Secondo l’inchiesta, di cui abbiamo riprodotto in cima l’immagine di copertina, la Roundtable puntava a sfruttare, per esempio, le difficoltà dell’industria automobilistica europea nei negoziati commerciali con gli Stati Uniti, in particolare l’urgenza del settore di ottenere un allentamento dei dazi Usa.
Per aumentare la pressione sulla Commissione e presentare la CSDDD come un ostacolo competitivo, il gruppo valutava di “attivare” le principali associazioni dell’automotive, dalla European Automobile Manufacturers’ Association alla European Association of Automotive Suppliers, oltre a singole imprese considerate strategiche, tra cui la italo-francese Stellantis. L’obiettivo era far percepire la direttiva come un ulteriore fattore di svantaggio per un comparto già esposto alle politiche industriali americane. La Roundtable avrebbe anche valutato campagne mirate sui social media, incluso l’uso di “post oscuri” su LinkedIn destinati a pubblici specifici e non visibili sugli account ufficiali delle aziende della lobby e dei loro intermediari, in particolare Teneo. SOMO non è stata in grado di verificare se tali campagne siano state effettivamente implementate, ma tale pianificazione mostra l’intenzione di operare al di fuori dei normali canali di trasparenza.
Frenate e ripensamenti nelle politiche europee
Mentre la Roundtable metteva in atto il proprio piano, l’Europa ha valutato di intaccare significativamente alcuni pilastri delle politiche per la transizione energetica. Nel caso delle auto post-2035, la Commissione sta riconsiderando l’impianto del regolamento sulle emissioni, dopo mesi di pressioni da Stati membri e industria automobilistica. Come accennato sopra, il commissario Tzitzikostas ha anticipato che nell’aggiornamento dei limiti di emissione verranno inclusi anche motori a combustione alimentati con carburanti sintetici e biocarburanti, oltre forse alle versioni ibride plug-in, e range extender (piccoli motori a benzina che estendono l’autonomia delle batterie) aprendo a un superamento del principio “solo elettrico”. Una dinamica analoga emerge nel dossier sul riscaldamento, ancora in consultazione. Nella nuova bozza del regolamento Ecodesign, la soglia minima di efficienza energetica per gli apparecchi di riscaldamento non è più fissata al 115%, limite tecnicamente impossibile da raggiungere per qualsiasi caldaia a gas e che le avrebbe automaticamente escluse dal mercato, ma su valori molto più bassi che, di fatto, permettono alle caldaie a gas di rimanere sul mercato del nuovo anche oltre il 2029, senza un nuovo limite temporale definito. Come spiegato da Rita Tedesco, responsabile transizione energetica presso la Environmental Coalition on Standards, l’allontanamento dai livelli previsti nel 2023 rappresenta “un passo indietro così forte” da mantenere di fatto lo scenario attuale, senza lo stimolo necessario al passaggio alle tecnologie più efficienti. In entrambi i casi, si tratta di processi politici complessi, che coinvolgono interessi industriali, esigenze sociali e capacità di investimento. Tuttavia, la concomitanza tra queste revisioni e le pressioni descritte da SOMO alimentano i timori sulla vulnerabilità delle politiche europee.
Il dibattito sulla legittimità delle attività di lobby
Nel dibattito generato da SOMO, emergono anche letture meno critiche, o comunque più sfumate, circa le attività di lobby in questione. Killian McCarthy, professore di strategia e specialista in fusioni, alleanze e investimenti aziendali in start-up innovative presso la Radboud University, in Olanda, sottolinea che le aziende hanno il diritto di difendere i propri interessi, così come lo hanno sindacati, organizzazioni non governative e cittadini. McCarthy afferma che la responsabilità di un’impresa include anche il dovere verso i propri dipendenti e azionisti di contrastare regolamenti che minacciano la loro competitività o sopravvivenza. A suo avviso, questo non rappresenta un atto di ostruzione, ma una normale forma di rappresentanza degli interessi. Il problema non sarebbe dunque l’attività di lobby in sé, bensì la sua opacità: se la trasparenza è insufficiente, sostiene, occorre rafforzare le regole per esplicitare chiaramente chi sponsorizza eventi, centri studi, campagne mediatiche, eccetera, non demonizzare il fatto che le imprese cerchino di influenzare le decisioni. SOMO, da parte sua, non dice che le aziende debbano rinunciare a far valere le proprie posizioni. La critica principale riguarda la natura “opaca” di questa specifica alleanza: la scelta di operare dietro un nome neutro, l’uso di intermediari che non rivelano i finanziatori, la ricerca di “minima visibilità statunitense” nel coinvolgimento di governi terzi. È questa combinazione di anonimato, incontri non registrati, informazioni parziali nel Registro per la trasparenza, potere economico concentrato e influenza sistematica su più livelli a far parlare SOMO di una “loggia” di grandi inquinatori. La questione, dunque, è se l’attuale sistema europeo di trasparenza sulle attività di lobby sia in grado di garantire un equilibrio reale tra interessi economici, diritti umani e obiettivi climatico/ambientali.
Un’Europa più vulnerabile di quanto sembri
Secondo SOMO, il rischio non è soltanto l’indebolimento di una specifica legge come la CSDDD, ma la dimostrazione di quanto poco sia necessario per influenzare profondamente il quadro normativo europeo. Le attività della Roundtable, pur non violando la legge, mostrerebbero una capacità organizzativa che il sistema europeo non sembra ancora attrezzato a gestire o contrastare. La combinazione tra pressioni esterne, divergenze interne e arretramenti recenti nelle politiche climatiche suggerisce una vulnerabilità strutturale: l’Europa appare molto esposta a influenze che mettono in discussione i suoi stessi princìpi e obiettivi. Per evitare che questo fenomeno diventi sistemico, SOMO invita l’Ue a rafforzare la trasparenza, limitare l’accesso ai processi decisionali per gruppi opachi e riaffermare una direzione politica chiara a tutela dei cittadini e del clima. Da questa vicenda emergono domande cruciali: l’Unione europea riuscirà a mantenere la rotta della transizione energetica in un contesto in cui la geopolitica e i rapporti di potere fra Paesi e sfere d’influenza rischiano di deragliarne il percorso? Assisteremo a un progressivo smantellamento delle ambizioni climatiche e ambientali europee? La risposta dipenderà anche dalla capacità di Bruxelles di riconoscere, gestire e contrastare le pressioni che oggi minacciano la sua autonomia politica.
* da qualenergia.it - 5 dicembre 2025




