26 maggio 2015

Spagna: Più di Podemos vince il modello Barcellona



Il modello regionale (Podemos da solo) e il modello delle città (la coalizione di partiti e movimenti). Due strade molto diverse, ma è la seconda quella che ha la forza del consenso e dei voti


 di  Loris Caruso * 
Il dato forse più impor­tante delle ele­zioni in Spa­gna è la dif­fe­renza tra le ele­zioni ammi­ni­stra­tive e quelle regio­nali. Si sono con­fron­tati due modelli. Pode­mos aveva scelto di pre­sen­tarsi da solo alle ele­zioni regio­nali, lavo­rando invece nelle città a “coa­li­zioni di unità popo­lare”, liste uni­ta­rie tra Pode­mos, altri movi­menti poli­tici (come Equo e Gane­mos) e i movi­menti sociali eredi della sta­gione degli Indignados.

Si tratta di due modelli molto diversi, che riflet­tono anche il dibat­tito all’interno di Pode­mos. Da un lato, il par­tito inteso come mac­china mediatico-elettorale che, se può nascere e affer­marsi gra­zie all’azione pre­ce­dente delle mobi­li­ta­zioni sociali, pen­san­dosi come una loro tra­du­zione poli­tica, inclu­den­done istanze e riven­di­ca­zioni, tende però a con­si­de­rare il radi­ca­li­smo e l’«assemblearismo» (un eccesso di par­te­ci­pa­zione che ridur­rebbe l’efficacia deci­sio­nale) come osta­coli all’affermazione elet­to­rale. Un par­tito, quindi, che deve essere espres­sione della mobi­li­ta­zione sociale, ma deve nello stesso tempo assor­birla, spo­starla, tra­durla sul piano politico-politico della stra­te­gia elet­to­rale e rece­pirne selet­ti­va­mente solo gli aspetti fun­zio­nali a que­sto scopo.

È un approc­cio che acco­glie molto dei modelli poli­tici domi­nanti: mar­ke­ting, comu­ni­ca­zione, lea­de­ri­smo, mag­giore atten­zione ai media che al radi­ca­mento ter­ri­to­riale, un uso quasi “azien­dale” della Rete che allarga le pos­si­bi­lità di par­te­ci­pa­zione (a colpi di click) della base, ren­den­dola però quasi del tutto inin­fluente sulle deci­sioni del vertice.

Dall’altra parte, nelle città, si è costruito un modello che non rifiuta del tutto que­sti mec­ca­ni­smi, ma li inte­gra con ciò che essi esclu­dono: la mobi­li­ta­zione, il con­flitto, il radi­ca­li­smo, la cen­tra­lità del sociale, il coin­vol­gi­mento attivo e costante della base già mili­tante e di quella potenziale.

È un’alternativa, quella tra que­sti due modelli, che riguarda dav­vero il futuro delle forme dell’organizzazione poli­tica a sinistra.


Il fatto è che il secondo modello è risul­tato deci­sa­mente più forte del primo. Più effi­cace, più capace di coin­vol­gere l’elettorato e la società spa­gnola, più capace di vin­cere. I risul­tati di Pode­mos e dei suoi alleati a Bar­cel­lona, Madrid, Cadice, Sara­gozza e La Coruna sono doppi rispetto a quelli che Pode­mos ha otte­nuto da solo alle regio­nali. Nelle regioni il risul­tato di Pode­mos oscilla tra l’8 e il 20%, con una media nazio­nale di circa il 10–12%. Le coa­li­zioni di unità popo­lare hanno otte­nuto il 25% a Bar­cel­lona, il 31% a Madrid, il 30% a La Coruna, il 28% a Cadice, il 25% a Sara­gozza. Men­tre nelle regio­nali Pode­mos è riu­scito al mas­simo a risul­tare la terza forza, le coa­li­zioni popo­lari sono state la prima forza a Bar­cel­lona e La Coruna, la seconda a Madrid, Cadice e Sara­gozza. Ma il dato ancora più impor­tante è che men­tre nelle regio­nali Pode­mos arriva sem­pre die­tro al Psoe, nelle cin­que grandi città gli è sem­pre davanti, e spesso lo dop­pia. La vicenda di Bar­cel­lona, poi, farà scuola: Ada Colau, lea­der di un movi­mento rap­pre­sen­tato come anti-sistema (la Pah, movi­mento per il diritto alla casa), sarà il sin­daco della città.

Que­sti risul­tati dimo­strano che non sem­pre, non per forza, il radi­ca­li­smo spa­venta gli elet­tori (nem­meno quelli della mitica classe media, soprat­tutto quando que­sta è in crisi quanto le classi popo­lari), e non sem­pre l’apertura, la par­te­ci­pa­zione estesa, la resti­tu­zione di un pro­ta­go­ni­smo reale a mili­tanti, atti­vi­sti e cit­ta­dini sono un peri­colo per l’efficacia, la riu­scita e per­fino la com­pat­tezza di un pro­getto poli­tico. Dipende. Dipende dal fatto che la par­te­ci­pa­zione e l’apertura siano rea­liz­zate dav­vero e non solo enun­ciate (per essere magari poi tra­dite, nei fatti, da sem­pre attivi istinti poli­ti­ci­sti). E dipende dal fatto che il radi­ca­li­smo dei con­te­nuti non solo appaia razio­nale e rea­li­stico, ma sia riu­scito a incar­narsi in con­flitti con­creti e risul­tati tan­gi­bili, senza limi­tarsi ad enun­ciare all’infinito il disgu­sto per la poli­tica di par­tito e la rappresentanza.


Alla luce di tutto que­sto, si può dire che se Pode­mos ambi­sce, come ambi­sce, a vin­cere le ele­zioni poli­ti­che, dovrà pro­ba­bil­mente seguire più il modello delle città che quello delle regioni. Il modello per le ele­zioni gene­rali può essere quello di una grande alleanza nazio­nale tra Pode­mos, movi­menti poli­tici e movi­menti sociali, aprendo subito un pro­cesso costi­tuente in cui que­sta alleanza si formi nel paese. E, forse, per­fino imma­gi­nando che a rap­pre­sen­tarla possa essere una figura più simile a quella di Ada Colau che a quella di Pablo Igle­sias, che sia più espres­sione della «mag­gio­ranza sociale» che lea­der di partito.

Il punto è che ci sono ormai troppi segnali del fatto che, anche a sini­stra, solo ciò che risulta essere all’altezza dei cam­bia­menti sociali, poli­tici e sto­rici in corso può fun­zio­nare. È giu­sto, come ha fatto Pode­mos, inno­vare innan­zi­tutto la forma par­tito – con­ce­den­dosi, in qual­che modo, anche a lin­guaggi e forme che si potreb­bero defi­nire post-moderne. Ma nem­meno que­sto, da solo, basta. Così come, da sola, la mobi­li­ta­zione sociale (la “coa­li­zione sociale”) ottiene pochi risul­tati. I governi di tutta Europa si sono resi quasi del tutto imper­mea­bili a qual­siasi mobi­li­ta­zione sociale. Per dirla in stile ren­ziano: loro “vanno avanti”, qual­siasi cosa dica il paese, di qual­siasi ampiezza siano le mobi­li­ta­zioni e i conflitti.

Il potere capi­sce solo la lin­gua del potere, i voti cono­scono solo il lin­guag­gio dei voti, i numeri quello dei numeri, la forza quello della forza, i media quello del suc­cesso. Le mobi­li­ta­zioni sociali pos­sono otte­nere risul­tati se fanno paura anche sul piano elet­to­rale. I pro­getti poli­tici della sini­stra pos­sono essere effi­caci solo se sono inner­vati di azione sociale, movi­menti, con­flitti, attori col­let­tivi, lotte locali.

Qual­siasi forma di poli­ti­ci­smo, anche bril­lante, è deci­sa­mente votata alla scon­fitta. Sarà que­sto il futuro modello della sini­stra, visi­bil­mente in gesta­zione in que­sti anni e di cui le ele­zioni spa­gnole par­lano in modo chiaro: par­titi e movi­menti insieme, coa­li­zione sociale più coa­li­zione poli­tica. Ognuno, da solo, farà poca strada.

* da ilmanifesto.it – 26 maggio 2015

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