Sbilanciamo
l'Europa. Le maggioranze assolute saranno l’eccezione. Bisognerà scendere a
patti con altri partiti e condividere le responsabilità istituzionali
di Luca Tancredi Barone *
La politica
spagnola sta vivendo il suo primo, vero terremoto dall’avvento della democrazia,
nel 1978. Per la prima volta si profila uno scenario completamente
diverso dal rigido bipartitismo che ha caratterizzato la vita politica
di questo paese. Le maggioranze assolute saranno l’eccezione.
La politica
deve adattarsi a una realtà inedita: la necessità di scendere
a patti con altri partiti, e di dover condividere le responsabilità
istituzionali. Domenica 24 maggio si vota in 13 delle 17 comunità autonome,
e in tutti i più di 8100 comuni spagnoli. E il tutto
a pochi mesi dalle elezioni generali (la legislatura, se Rajoy non convoca
elezioni anticipate dopo le amministrative, si chiude a novembre),
due mesi dopo le elezioni anticipate in Andalusia e a tre mesi dalle
(quasi certe) elezioni anticipate in Catalogna (che dovrebbero tenersi il
27 settembre, se il presidente catalano Artur Mas non cambia idea).
Insomma, un
2015 che lascerà il segno, e in cui finalmente i semi gettati dal
15M proprio quattro anni fa inizieranno a dare i primi frutti.
I due storici
grandi partiti, il Pp e il Psoe, vengono ormai dati a meno del 50%
dei voti a livello nazionale, con un leggero vantaggio per i popolari.
Irrompono con forza due nuovi partiti che si battono per il terzo posto
e che sommano circa un 30%: Podemos, che si
è imposto un anno fa alle elezioni europee, contro ogni pronostico,
con un inaspettato 8%, e che oggi è dato intorno al 16%, in discesa
rispetto a pochi mesi fa; e Ciudadanos, partito nato in ambito
catalano su posizioni anti-indipendentiste e molto vicine a quelle
del Pp (di fatto il suo leader, Albert Rivera, aveva militato nei giovani
popolari), con percentuali molto vicine a quelle di Podemos. Izquierda
Unida nel migliore dei casi otterrebbe al massimo un quinto posto (attorno al
5% dei voti).
Ma
è ancora più interessante osservare quello che succederebbe
a livello delle comunità autonome che in Spagna, proprio come in Italia,
gestiscono la gran parte delle spese sociali.
Salvo pochissime
eccezioni (come la Catalogna e i Paesi Bassi), nei parlamenti regionali
entravano tipicamente due o al massimo tre partiti. Questo scenario
semplificato è finito per sempre. Ne abbiamo un esempio nel parlamento
di Siviglia, dove si è votato due mesi fa e che è ancora senza governo: i socialisti,
da sempre egemoni nella comunità e dunque poco abituati alla cultura
del patto, detengono la maggioranza relativa. Ma dopo aver rotto con
Izquierda Unida nella scorsa legislatura, oggi si trovano davanti non due ma
quattro forze politiche, nessuna delle quali disposta all’astensione
(almeno prima delle elezioni del 24) per far eleggere Susana Díaz presidente.
Il modello andaluso è destinato a riproporsi nella maggior parte
delle comunità, oggi quasi tutte in mano del Pp.
L’unica speranza
per i popolari di riuscire a mantenere il governo di alcune di
queste comunità (dove oggi vanta maggioranze assolute) è di trovare
un accordo con Ciutadanos, che è riuscito, come Podemos,
a diluire il proprio messaggio ideologico con la retorica del «non
è tempo di destra o sinistra» e che si spaccia come di sinistra
moderata anche se in realtà è su posizioni neoliberali. L’attenzione
si concentrerà su tre comunità roccaforti del Pp: Madrid, Comunità valenziana
(dove gli scandali di corruzione stanno affogando il partito)
e Castilla-La Mancia (la cui presidente è anche braccio destro di
Mariano Rajoy). Se qui il Pp non riesce in qualche modo a «salvare
i piatti», come si dice in spagnolo, persino l’imperturbabile Rajoy
vedrà la terra muoversi sotto i suoi piedi.
Ai socialisti
non va molto meglio. Se il telegenico Pedro Sánchez è riuscito
a fermare l’emorragia di voti (che hanno portato il partito a raggiungere
i suoi minimi storici), difficilmente il Psoe riuscirà a governare
in solitario in nessuna comunità, anche se forse riuscirà ad ottenere
alcune maggioranze relative. Resta da vedere come giocheranno le loro
carte Ciudadanos, che si vede volentieri come ago della bilancia,
e Podemos, il cui radicale discorso anti-casta renderà difficile la
collaborazione con Pp o Psoe.
Entrambi
i partiti pagano il fatto di non avere una forte struttura territoriale.
Ciudadanos, benvista dall’establishment in chiave anti-Podemos, ha fatto
il salto a livello nazionale, approfittando della lenta scomposizione
del partito UPyD, guidato da Rosa Díez e su posizioni molto simili; ma
la fretta ha giocato brutti scherzi in molte liste dove si sono intrufolati
candidati imbarazzanti. Podemos invece sta pagando l’eccessivo annacquamento
del suo discorso radicale per attrarre elettori meno schierati politicamente.
Proprio per questo ha avuto la prima importante defezione: l’ex numero tre
di Pablo Iglesias, il professore universitario Juan Carlos Monedero,
ha lasciato. Monedero era comunque diventato scomodo per il partito (che
lo ha difeso a spada tratta) dopo che si è scoperto che con un
trucco contabile aveva cercato di pagare meno tasse sui consistenti proventi
delle sue consulenze con i governi sudamericani.
In Izquierda
Unida, vittima della sua incapacità di canalizzare il malcontento, se la
gioca il giovane e combattivo Alberto Garzón, proveniente (come Iglesias)
dalle file del 15M e disposto a fare fronte comune con Podemos contro le politiche di destra. Ma i suoi principali
nemici sono dentro la stessa Iu che antepongono l’identità e la bandiera
alla strategia politica.
Il dopoterremoto
per molti dei partiti inizierà lunedì 25. Nei comuni le realtà sono molto
variegate. Al contrario di Ciudadanos (che presenta un migliaio di
liste), Podemos ha scelto di non concorrere con le sue sigle: troppo difficile
controllare tanti candidati locali. Ma ha comunque dato l’ok per la confluenza
con piattaforme cittadine, come per esempio a Barcellona
e Madrid.
Le quattro
principali città spagnole sono Madrid, Barcellona, Valencia
e Siviglia.
A Madrid
l’ex presidente della comunità Esperanza Aguirre sta giocando il tutto per
tutto per frenare la caduta del Pp (in maggioranza assoluta da 24 anni) di
fronte alla piattaforma dell’ex giudice Manuela Carmena, Ahora Madrid, che
non comprende Iu (in forte polemica con Iu federale), e ai socialisti,
che cercano di riconquistare la città da anni.
A Valencia
il potere della storica sindaca popolare Rita Barberà vacilla sotto
i colpi della magistratura e per la prima volta un tripartito di
sinistra (socialisti, Podemos e la piattaforma Compromís) potrebbe
sfrattare il Pp.
E
a Siviglia, dove per la prima volta i popolari erano riusciti
a conquistare il potere quattro anni fa, Pp e Psoe sono oggi alla
pari (30%), ed entrerebbero Ciutadanos, una piattaforma cittadina
e Iu.
A Barcellona,
dove il consiglio comunale sarà frammentatissimo, lo scontro è fra
l’attuale sindaco Xavier Trias, di Convergència i Unió (democristiani
egemoni in Catologna) che quattro anni fa per la prima volta conquistò la
città ai socialisti e ai loro alleati, e la piattaforma Barcelona
en comú, guidata dall’ex attivista della Piattaforma vittime delle ipoteche (Pah), Ada Colau, che ha agglutinato una piattaforma
ampia che comprende Podemos e la marca catalana di Iu (Icv-Euia).
Entrambi
sono dati attorno al 21%. Ciudadanos si prospetta come il terzo partito
(intorno al 13%), guidato dall’ex deputata popolare Carina Mejías.
I socialisti e gli indipendentisti di Esquerra Republicana
lottano per il quarto posto, i popolari hanno da sempre un ruolo residuale
in città (anche se a guidarli è il fratello dell’attuale ministro
degli interni spagnolo). Mentre entrerebbe per la prima volta
l’assemblearismo della Cup con il nome di Capgirem Barcelona («mettiamo
sottosopra Barcellona»), indipendentisti di estrema sinistra molto
legati alle lotte sociali, economiche e cittadine, guidati dalla sindacalista
Maria José Leche. La loro affermazione sarà chiave nel caso di vittoria di
Colau per garantirne l’elezione, anche se ci vorrà almeno un terzo partito
per raggiungere la maggioranza dei seggi.
*
da ilmanifesto.it 21 maggio 2015 - nella foto: Pablo Iglesias
(Lapresse-Efe)
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