20 ottobre 2013

Da Terna all'Eni a Snam, così lo Stato dà il via alle privatizzazioni




L'obiettivo è di portare a casa il risultato nel più breve tempo possibile. Il percorso tratteggiato dal "Destinazione Italia" fissa la deadline del piano di dismissioni, allo studio di Palazzo Chigi, entro la fine dell'anno. I motori, però, sono già accesi. E il piano su cui punta Palazzo Chigi ha preso corpo. Prevede la cessione delle quote del Tesoro di Eni (sino al 4,34%, non il restante 25,76% che fa capo a Cdp), di quote di Snam e Terna (fino a quasi il 10%), di Fincantieri e Sace. Fuori dovrebbe restare Poste, e per le Fs si parla per ora della societarizzazione dell'alta velocità.

Il primo step è dietro l'angolo. Al primo Cdm utile dovrebbe infatti arrivare un decreto legge che "rivitalizza" il comitato di privatizzazioni. L'organo, nato nel 1993 e presieduto dal direttore generale del Tesoro, dovrà supportare l'esecutivo nelle sue decisioni valutando l'adeguatezza della direzione intrapresa.
I tecnici sono comunque già al lavoro e stanno predisponendo una lista di ipotesi che andranno poi al vaglio dei super-esperti. Non c'è ancora un documento definitivo ma l'operazione, su cui ieri è tornato il premier Enrico Letta intervistato dal Washington Post, comincia ad assumere contorni un po' più chiari. «Penso - ha spiegato il presidente del Consiglio - che ora i mercati sono pronti a comprare e noi a vendere i beni pubblici. Fincantieri, per esempio. E venderemo una parte di Terna». Su quest'ultimo tassello, poi, sono circolati un po' di numeri (il 49% in prima battuta, poi corretto nel 4,9%) che, come ha successivamente chiarito una nota di Palazzo Chigi, «sono puramente indicativi della volontà di offrire al mercato quote di non controllo».

Ma procediamo con ordine. Perché, nella lista al vaglio di Palazzo Chigi, bisogna fare distinzione tra la vendita di partecipazioni dirette del Mef - i cui proventi possono andare a riduzione del debito pubblico - e tutto ciò che è invece in capo a Cassa depositi e prestiti, fuori dal perimetro pubblico. Eventuali operazioni di Cdp infatti genererebbero un ritorno indiretto, con la possibilità per il Tesoro di incassare eventuali dividendi straordinari.
Ed ecco il menu che l'esecutivo potrebbe offrire al mercato. Sul tavolo, tra le ipotesi allo studio, ci sarebbe la cessione fino al 4,34% dell'Eni in mano al Tesoro (il restante 25,76% appartiene a Cdp) che, agli attuali corsi di Borsa, potrebbe valere quasi 3 miliardi di euro. Sempre considerando il perimetro delle controllate del Mef, si starebbe pensando a un percorso di societarizzazione di Fs, magari attraverso un'opera, più volte ventilata, di valorizzazione di alcuni asset come l'alta velocità. Mentre al momento non ci sarebbe l'intenzione di procedere all'alienazione dei pacchetti azionari delle altre "big" possedute da Via XX Settembre (il 31,24% di Enel e il 30,20% di Finmeccanica). Il motivo è chiaro: i due gruppi attraversano una fase complicata e, sebbene in passato abbiano garantito un ritorno significativo alle casse del Tesoro (la sola Enel, contando dividendi, imposte e stipendi, ha generato, dal '99 a oggi, 195 miliardi di contributo al sistema-paese), venderli ora non appare opportuno.

C'è poi il fronte di Cdp con cui, ovviamente, il governo dovrà raccordarsi. Ma qualche passo sembrebbe - il condizionale è d'obbligo - già tratteggiato. A cominciare dallo sblocco di un primo pacchetto di Terna, detenuta da Cdp per il 29,85%: la vendita del 4,9% (per arrivare a cedere complessivamente fino al 10%), che potrebbe essere chiusa tra la fine dell'anno e l'inizio del 2014 con un incasso sui 350 milioni. La stessa strada sarebbe stata immaginata anche per Snam di cui Cassa possiede circa il 30% attraverso il veicolo Cdp Reti. Ma qui occorrerà evidentemente un supplemento di confronto visto che la spa di Via Goito ha avviato il processo di apertura del capitale di Cdp Reti a un socio di minoranza. All'esame, infatti, ci sarebbero già più di cinquanta potenziali interessati, tra fondi pensione, fondi infrastrutturali e fondi sovrani, localizzati soprattutto tra Nord-America e Medioriente, che saranno sondati per arrivare alla formalizzazione di eventuali offerte non vincolanti entro fine anno e chiudere tutto nei primi mesi del 2014: l'ingresso con il 49% varrebbe circa 2 miliardi di euro.
Sempre rimanendo in casa di Cdp, a Palazzo Chigi si starebbe pensando poi alla quotazione di Fincantieri (mettendo sul mercato il 40%) e a quella di Sace, entrambe rilevate nei mesi scorsi proprio dal Mef. Ma la chiusura del cerchio andrà fatta, come detto, in stretta sinergia con i vertici di Cassa. Senza dimenticare che il lavoro sulle dismissioni dovrà muoversi in parallelo con il percorso parlamentare di revisione della legge sull'opa per evitare che l'eventuale discesa nel capitale di alcune partecipate possa esporle all'assalto di compratori ostili. 

* da ilsole24ore.it, 19 ottobre 2013

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