Una
analisi della bozza di trattato globale (da rinnovabili.it
)
Così la coalizione ambientalista che
protesterà alla COP 21 analizza il testo diffuso dall’ONU che sarà la base del
negoziato ONU sul clima
Il testo base dell’accordo globale sul clima, diffuso dalle Nazioni
Unite il 5 ottobre, è inaccettabile. Lo dice chiaro e tondo Maxime Combes,
economista e membro di Attac France, organizzazione che insieme a 350.org ha
promosso l’appello contro i crimini climatici.
I due presidenti e facilitatori del negoziato, Ahmed Djoghlaf e Dan
Reifsnyder, hanno rilasciato il documento 15 giorni dopo l’ultima sessione negoziale di Bonn, preparatoria alla COP
21. Il testo, 10 pagine, è suddiviso in 26 capitoli: molto più breve,
dunque, delle bozze circolate dopo la COP 20 di Lima, tutte intorno alle 80
pagine. Secondo Combes, un accordo basato su di esso metterebbe in grave
pericolo l’umanità, poiché non scioglierebbe i grandi nodi che da anni bloccano
l’azione dei governi sul riscaldamento globale. L’economista e attivista
ha spiegato il perché in 10 punti.
1.
I target nazionali di riduzione delle emissioni non fanno parte del negoziato
«Per quanto incredibile possa sembrare – scrive Maxime Combes – gli
obiettivi di riduzione delle emissioni dopo il 2020 che gli Stati erano
invitati a rendere pubblici prima della COP 21 non fanno parte delle questioni
oggetto di negoziato. Tali obiettivi, oggi non vincolanti e in gran parte
inadeguati, non saranno rivisti al rialzo a seguito dei negoziati». La
somma di tutte queste promesse è molto distante dall’obiettivo dei 2 °C di aumento massimo della
temperatura media globale entro il 2100. Secondo tre differenti studi, il
termometro salirà di 2,7-3,5 °C. Lo scarto fra gli obiettivi e le promesse
non sarà oggetto delle trattative: verranno solo discussi i metodi (spesso
molto diversi) che ciascuno Stato ha adottato per calcolare il proprio impegno
sul clima. In pratica, spiega Combes, «si negozia il contenitore, non il
contenuto».
2.
Verranno ignorati tutti gli avvertimenti dell’IPCC
«L’articolo 3 di questa bozza è emblematico dell’inconsistenza dell’intero
testo», afferma l’economista. I climatologi hanno chiaramente previsto che nel
breve, medio e lungo termine, una riduzione delle emissioni globali del 40-70%
entro il 2050 per mantenere l’aumento di temperature inferiore ai 2 °C. Hanno
anche raccomandato di raggiungere il picco delle emissioni entro il 2020, per
poi ridurle a 44 Gt CO2eq l’anno entro il 2020, 40 Gt entro il 2025 e 35 Gt
entro il 2030. Nessuno di questi obiettivi a breve e medio termine è menzionato
nel testo. I risultati e le raccomandazioni dell’IPCC vengono dunque
ignorati.
Inoltre, gli Stati sono semplicemente “invitati” a formulare obiettivi a
lungo termine. Per quanto riguarda quelli a breve e medio termine, la
trattativa in seno alla COP 21 dovrà stabilire se li “devono” o li “dovrebbero”
raggiungere. E qui il condizionale è pesantissimo.
3. Un debole e incerto meccanismo di
revisione
Data l’emergenza climatica, gli Stati membri dell’UNFCCC dovrebbero essere
obbligati a tenere sotto controllo i loro obiettivi di riduzione delle
emissioni grazie ad un meccanismo vincolante di revisione. Ma questa, all’interno
della bozza finale, è soltanto una possibilità, che fra l’altro incontra
diverse resistenze. Alcuni propongono revisioni dopo 5 anni, ma gli Stati Uniti
spingono per allungare i tempi a 10 anni.
4. Combustibili fossili mai
menzionati
Nelle 10 pagine del testo che dovrebbe organizzare una politica
internazionale contro il cambiamento climatico, i combustibili fossili non sono
mai citati. «Riuscite a immaginare una conferenza internazionale sul
cancro del polmone – ironizza Maxime Combes – il cui documento finale non
menziona il consumo di tabacco?». Almeno, nelle versioni precedenti,
l’economista è convinto che si prendeva in considerazione l’idea di ridurre i
sussidi alle fonti inquinanti.
Il settore riceverà quest’anno, secondo il Fondo Monetario Internazionale, oltre 5.300 miliardi di dollari
in sussidi diretti e indiretti.
5. Nessun finanziamento adeguato
L’impegno assunto a Copenaghen nel 2009 prevedeva di sbloccare 100 miliardi
di dollari entro il 2020 per sostenere i Paesi e le popolazioni più povere. Ma
non vi sono vincoli nelle 10 pagine diffuse dall’ONU: dopo 6 anni, tutto è
nuovamente demandato al negoziato. Questo perché i Paesi più ricchi si
rifiutano di porre obiettivi vincolanti e puntano tutto su altre fonti di
finanziamento, a partire dal settore privato. Non vi è, infine, alcuna tabella
di marcia che indichi come gli impegni finanziari degli Stati proseguiranno
dopo il 2020.
6. Graziati aviazione e trasporto
navale
L’aviazione e il settore del trasporto marittimo contano ciascuno per il 2%
delle emissioni globali (senza considerare navi e aerei
militari). Storicamente, questi due settori non sono coperti dagli
obiettivi di riduzione nazionali stabiliti nel quadro dei negoziati
internazionali. Eppure, i gas serra in questi due comparti potrebbero aumentare
del 250% entro il 2050 in uno scenario business as usual. Tuttavia,
il testo non menziona un loro contributo alla riduzione del riscaldamento
globale.
7. Nessun
piano per lo sviluppo delle rinnovabili
In una nota pubblicata nel 2011, l’IPCC ha dichiarato che “quasi l’80%
dell’approvvigionamento energetico mondiale potrebbe essere fornita da fonti
rinnovabili entro la metà di questo secolo, se lo sforzo fosse sostenuto
da adeguate politiche adeguate”. Nel testo uscito il 5 ottobre, però, non
si parla di energie rinnovabili. Nel frattempo, l’organo di conciliazione
(DSB – Dispute Settlement Body) dell’Organizzazione mondiale del commercio
(WTO) ha fatto a pezzi diversi piani nazionali e regionali
per il sostegno delle energie rinnovabili. Motivo? Vanno contro le regole
del commercio internazionale.
8. Diritti umani, sociali e politici
citati “en passant”
Il paragrafo sul rispetto dei diritti umani, civili e politici è una
dichiarazione di intenti senza vincoli che compare nell’introduzione
all’accordo. Su questo punto l’analisi di Maxime Combes è lapidaria: «Pensavi
che la conferenza di Parigi potesse essere un passo importante nel contesto di
una transizione energetica globale basata sulla giustizia sociale, i diritti
umani e la sovranità alimentare? Svegliati».
9. La Convenzione quadro delle
Nazioni Unite ne esce indebolita
Redatta e adottata nel 1992 a Rio de Janeiro, la Convenzione quadro
dell’ONU sui cambiamenti climatici si basa su una serie di principi che
garantiscono criteri di giustizia tra i diversi Paesi e le diverse popolazioni
del mondo. Non sono tutti ugualmente responsabili per la crisi climatica e non
hanno gli stessi mezzi per farvi fronte. Questa realtà fa parte del principio
della responsabilità comune ma differenziata. Questo principio, in
gran parte annacquato nel tempo, è riproposto nella bozza di accordo per la COP
21: l’articolo 2 si limita ad affermare che il testo «riflette» tale principio.
10. Restano in piedi tutte le idee
più pericolose
Rimane in piedi il concetto di «emissioni nette zero», segnalato dal testo
come target a lungo termine. Se assomiglia al costrutto «emissioni zero», è
tuttavia molto diverso. Il primo, infatti, è una completa distorsione del
secondo. Invece di richiedere riduzioni reali delle emissioni, si permette
di compensarle tramite interventi tecnologici, dalla cattura e stoccaggio del
carbonio alla riforestazione, sistemi con utilità dubbia e spesso sovrastimata.
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