( Giorgio Meletti da
www.eddyburg.it
)
«Il partito delle discariche e
degli inceneritori segue una strategia lineare. Rallenta come può il passaggio
alla raccolta differenziata porta a porta ed enfatizza l’incipienza delle
inevitabili emergenze».
È una guerra. Guerra economica, ma guerra
vera, feroce. E il governo, con il ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti,
impegnatissimo, non è neutrale. La preda in palio è l’immondizia, in gergo
tecnico Rsu (rifiuti solidi urbani), un tesoro attorno al quale si muovono
interessi miliardari. Da una parte c’è il partito della raccolta differenziata,
del trattamento e del riciclaggio. Un partito fatto da aziende specializzate
con i loro interessi, spalleggiato dagli ambientalisti. Dall’altra c’è il
partito delle discariche e degli inceneritori: grandi aziende (molte
municipalizzate), grandi interessi e collegamenti densi con i partiti di
governo, quali che siano. Le regole del gioco, in nome del bon ton
istituzionale, impongono di ignorare l’esistenza della criminalità organizzata,
che della partita è protagonista sempre più ingombrante e sfrontato.
Il decreto attuativo dell’articolo 35
dello Sblocca Italia, con il quale Galletti tenta di imporre alla regioni 12
nuovi inceneritori, è schiettamente schierato con il partito dei “metodi
tradizionali”: inceneritori e discariche, appunto. Per capire quale sia
veramente la posta in gioco basta osservare la più stridente contraddizione
nella strategia del governo Renzi. Da una parte si sostiene la necessità di
costruire nuovi inceneritori per soddisfare una presunta domanda insoddisfatta.
Dall’altra si liberalizza il traffico di rifiuti da una regione all’altra per far
fronte al più drammatico problema dei cosiddetti termovalorizzatori: quelli
attualmente in funzione sono quasi tutti sottoutilizzati, con pesanti ricadute
sui conti delle società che li gestiscono, e hanno dunque disperato bisogno di
importare rifiuti da bruciare, da qualunque parte provengano.
A segnalare il problema non sono movimenti
ambientalisti o i grillini, bensì Intesa Sanpaolo. Pochi giorni fa un documento
del suo centro studi ha confermato il rischio che da tempo qualche gufo segnala
inascoltato, e cioè che l’operazione inceneritori sarà fulminata da
un’inevitabile procedura d’infrazione europea: “Se è vero che l’attuale
capacità di trattamento è sottoutilizzata (la capacità di trattamento viene
utilizzata per circa l’80%), per ottimizzare l’uso della dotazione impiantisca,
dovranno essere bypassati due principi chiave della gestione dei Rsu: 1) il
principio di prossimità, in base al quale i luoghi di produzione dei rifiuti e di
trattamento e smaltimento devono essere attigui; 2) il principio
dell’autosufficienza, in base al quale lo smaltimento dei Rsu deve avvenire
nella regione di produzione in modo da minimizzarne il trasporto”.
Il partito delle discariche e degli
inceneritori segue una strategia lineare. Rallenta come può il passaggio alla
raccolta differenziata porta a porta ed enfatizza l’incipienza delle
inevitabili emergenze. A Roma la differenziata è tenuta a freno da anni, la
storica discarica di Malagrotta è satura, così è gioco facile rilanciare l’idea
dell’inceneritore di Albano (anche se sulla sua oscura origine è in corso un
processo per corruzione) oppure prepararsi a mandare i rifiuti della capitale a
Terni, dove l’A ce a (municipalizzata di Roma) ha già un inceneritore e
vorrebbe farne uno di portata tripla.
A Genova la differenziata è di poco
superiore al 10 per cento, ma niente paura: l’inesorabile emergenza sarà
risolta mandando treni di immondizia all’inceneritore di Torino e a quello di
Piacenza, tutti e due gestiti dalla Iren, la municipalizzata nata dalla fusione
delle precedenti società di Torino, Genova e dell’Emilia. Iren è quotata in
Borsa e non va benissimo. Nel 2014 i suoi ricavi sono scesi del 14 per cento e
l’utile netto del 20 per cento, ha 2,3 miliardi di debiti contro un fatturato
di 2,9, e ha appena annunciato che per un po’ i comuni azionisti devono
scordarsi il dividendo. Anche le altre grandi municipalizzate quotate, Hera di
Bologna e A2A di Milano e Brescia, hanno il problema di sfruttare meglio gli
impianti di termovalorizzazione. Il vero tesoro nel decreto Galletti è dunque
proprio la libertà di andare a comprare rifiuti in giro per l’Italia. Ma gli
inceneritori hanno un ciclo di vita lungo, 20-30 anni, e per ripagare il
capitale investito bisogna che ci sia immondizia da bruciare fino alla fine. Se
dunque nel frattempo i comuni italiani imboccassero la strada virtuosa della
differenziata porta a porta, che ridurrebbe quasi a zero i residui da
incenerire o mandare in discarica, i signori degli inceneritori sarebbero
rovinati.
Pochi giorni fa le cronache finanziarie ci
hanno offerto un trailer del film che vedremo nei prossimi anni. Hanno
annunciato la fusione due società quotate attive nel trattamento dei rifiuti,
la Kinexia di Pietro Colucci e la Biancamano di Giovanni Battista Pizzimbone.
Quest’ultimo, amico di Marcello Dell’Utri, aveva rilevato nel 2009 le attività
ambientali del gigante cooperativo Manutencoop. Colucci si è distinto nel
novembre scorso per la partecipazione alla cena da mille euro con Matteo Renzi
per finanziare il Pd. “Il mercato dei rifiuti si sta concentrando su grandi
soggetti ”, ha spiegato Colucci al Sole 24 Ore, come se la fusione fosse
una mossa per la sopravvivenza, poi ha detto però che la nuova società sarà la
maggiore in Italia. Nascerebbe con 260 milioni di fatturato e 370 di debiti,
infatti l’operazione si farà solo se i debiti di Pizzimbone (il cui bilancio
2014 è stato bocciato dai revisori dei conti) saranno convertiti in azioni
dalle banche creditrici. Tra le quali spicca naturalmente Intesa Sanpaolo.
Auguri.
12 Agosto 2015
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