Non c'è un solo altro paese, fra quelli moderni, che abbia un disperato bisogno di una nuova ecologia come l'Italia. Con i suoi 250.000 ettari di territorio consumati ogni anno da asfalto e cemento, con le centinaia di migliaia di costruzioni abusive e di grandi opere inutili mai completate, con il suo consumo esorbitante di combustibili fossili e le percentuali irrisorie di energia solare, con l'incapacità di risparmiare acqua, con il trasporto tutto su gomma, i 36 milioni di autoveicoli, i rifiuti per strada e le città avvelenate, ben poco è rimasto di quel Bel Paese che incantava il resto del mondo. L'Italia di oggi ha subìto una mutazione antropologica che ha trasformato il "giardino d'Europa" in un coacervo di individualità corporative per le quali il bene comune risiede nella sommatoria degli interessi individuali, incuranti dell'ambiente ormai devastato o piegato a insensate logiche di finto progresso. E il bello è che di tutto questo è stata data la colpa proprio a chi quegli interessi combatteva. Si è voluto far credere che esistesse un "partito del No" che bloccava lo sviluppo per motivi ideologici, contrapponendosi a un "partito del fare" ansioso di riformare il paese. Solo oggi si cominciano a vedere gli effetti dannosi di quella mistificazione: qualche no in più avrebbe forse impedito la devastazione ambientale di cui soffriamo le conseguenze. E quando non si riesce a fare bene, sarebbe meglio non fare affatto.
Sarebbe però ingiusto pensare che l'Italia sia solo questo: qui ci sono competenze, energie e motivazioni che valgono ideali collettivi, qui ci sono donne e uomini che hanno a cuore un interesse più vasto di quello del proprio pianerottolo, gente che sente come una violenza la privazione del paesaggio e soffre per l'incapacità di guardare oltre, di darsi una nuova frontiera. A queste donne e uomini, cui non fanno difetto né l'intelligenza né l'ottimismo, si rivolge la nuova costituente ecologica italiana che, fuori dai partiti tradizionali, chiama a raccolta trasversalmente tutti coloro che hanno a cuore il paese come parte del pianeta Terra e non ne possono più di barattare i valori con i prezzi. Un movimento con una forte radice scientifica, fatto di gente informata che pensa che il futuro debba essere animato da una nuova cultura, non solo da nuove tecnologie. Un movimento di cui non ci sarebbe stato alcun bisogno se l'Italia fosse stato un paese normale, ma di cui c'è, invece, forte necessità vista la gravità della crisi ambientale e la povertà della soluzioni proposte. Per una improcrastinabile riconversione ecologica della penisola, per una visione globale e laica della società futura, per un pianeta in cui abbia di nuovo significato vivere in armonia.
La pesante crisi economica ha forse esaurito la sua fase acuta, ma per questa ragione riprenderanno alcune attività rallentate nel 2009, come il disboscamento selvaggio del pianeta e la produzione industriale, che saranno pure dati economici positivi, ma certo danneggiano pesantemente la Terra. Saremo poi sempre di più: oltre sei miliardi e mezzo di umani sarebbero difficili da sopportare pure per Giove, figuriamoci su una Terra così piccola e in larga parte coperta di oceani e montagne inaccessibili o deserti. Le nostre esigenze di uomini ricchi poi cresceranno sempre di più, soprattutto in termini di energia, che però viene ancora inevitabilmente prodotta attraverso le fonti fossili (pure il nucleare lo è) che hanno costi esterni pazzeschi e sono in via di esaurimento. Ne si consente al mondo povero di produrre energia per proprio conto, in maniera decentrata e democratica come si dovrebbe, con pannelli fotovoltaici e micro-eolico: che continuino a dipendere dalle centrali oppure che non abbiano accesso all'energia elettrica (oggi due miliardi di persone non la conoscono).
La Terra è un pianeta limitato, che non si rigenera più, dunque le sue risorse sono in pauroso declino, eppure gli uomini non sembrano preoccuparsene. E farà sempre più caldo, con conseguente incremento della desertificazione e innalzamento del livello dei mari dovuto alla fusione dei ghiacciai. I nuovi profughi del clima che cambia, dalle isole oceaniche come dalle regioni circumsahariane, invaderanno il mondo ricco reclamando la loro giusta parte come uomini del pianeta e non come figli di un dio minore. Il mondo ricco si irrigidirà e i conflitti cresceranno, per primi quelli sull'acqua, teoricamente illimitata ma ormai in chiara sofferenza. I rifiuti cresceranno nel mondo ricco e le isole di plastica invaderanno tutti i mari: davvero non c‘è bisogno di aspettare il 2012 perché l'ecological crunch diventi insopportabile.
Dobbiamo allora revocare il "breve invito a rinviare il suicidio" di Franco Battiato? Forse no, se siamo capaci di ripartire dal piccolo problema locale per trasformarlo in tematica globale sui cui coagulare le idee e le azioni di uomini di cuore e volontà come pure ce ne saranno ancora in un paese mutato antropologicamente nell'ultimo quarto di secolo, ma magari memore di un passato di miracolose armonie fra uomo e natura. Cultura e partecipazione, al di là della società dei consumi massificati e dell'appiattimento mediatico, con l'idea che il bene comune non sia solo la sommatoria dei nostri mal di pancia. Allora forse vedremo la luce alla fine del tunnel.
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