Il caso Motorola
Il Centro di ricerche Motorola di Torino è un bel fabbricato dalle parti di via Cardinal Massaua rinato sulle ceneri della CIR di De Benedetti. Lo noti, specie di notte, perché tiene costantemente le luci accese anche se nessuno sta lavorando. Chi paghi la bolletta non si sa ma la ristrutturazione del fabbricato, dato in concessione dal comune per 20 anni alla Motorola nella seconda metà degli anni ’90 è stata pagata dal Comune, o meglio il sindaco-ingegnere dell’epoca ottenne dal Politecnico gli 11 milioni di euro per consegnare chiavi in mano l’edificio nuovo di zecca alla multinazionale dell’Illinois. Il Poli a sua volta i soldi li prese dall’Unione Europea come contributo dei Fondi strutturali concessi alle Regioni per lo sviluppo della Ricerca. La Motorola assunse negli anni fino a 370 dipendenti, nella quasi totalità ingegneri, in parte almeno attinti dal Politecnico insieme a decine di stagisti, tesisti, postlaureati che in Motorola lavoravano per un certo periodo, naturalmente gratis.
L’operazione Motorola e l’ingegnere-sindaco vennero applauditi dai quotidiani locali ripetutamente, come esempio ottimale della strategia di diversificazione produttiva in città. Malgrado le numerose agevolazioni ed i regali dati all’azienda da Città e Politecnico nessuno si chiese quali fossero in cambio le garanzie da parte dell’azienda. Neppure si fece molto caso al fatto che il personale venne assunto da Motorola con il contratto del commercio, come azienda di servizi (costa di meno). Praticamente lo stesso contratto delle commesse di Panorama e con stipendi, per gli ingegneri 30-40enni neoassunti, di 1200-1300 euro; poco più di quanto prende un turnista della Fiat di Mirafiori.Malgrado siano considerati fra i migliori d’Europa. Tanto meno si diede importanza al fatto che, nell’azienda dove l’orario di lavoro di 8 ore era un opzional, peraltro già insegnato ai giovani ingegneri dalla pseudotecnocrazia che anima parte della cultura del Politecnico di Torino, non ci fosse né all’inizio ne fino a ieri alcuna struttura sindacale interna. D’altronde la sinistra è per l’egualitarismo e c’è già un vice sindaco ex sindacalista della Cisl. A che scopo pagare di più o avere una RSU alla Motorola?
Nel corso degli ultimi 10 anni la Motorola ha fatto un sacco di soldi nel mondo con i telefonini (notissimo il famoso RAZR3 per il design e le minidimensioni). Tanti soldi anche in Italia che è notoriamente il paese del mondo con più cellulari per abitante. Nell’ultimo anno però, forse per il mancato successo della piattaforma tecnologica Symbian, forse perché Samsung ha scavalcato Motorola nelle vendite totali, gli azionisti dell’Illinois hanno deciso di tagliare il personale nell’area europea ed in particolare di chiudere, entro il 19 gennaio il Centro di Torino e mandare a casa tutti, in particolare i 333 ingegneri. I quali, precipitati all’improvviso in una situazione davvero disperata quanto inaspettata, il 12 novembre, dopo che l’azienda ha anche negato l’ingresso in fabbrica di sindacalisti della Filcams, per la prima volta nella loro vita hanno fatto 3 ore di sciopero e imparato ad usare fischietti, cartelli e volantini per denunciare il comportamento di Motorola.
Anche perché nel frattempo si è scoperto che non solo con il contratto del commercio si presentavano problemi per ottenere la cassa integrazione ma l’azienda si era dimenticata di pagare parte dei contributi ai suoi giovani ingegneri. Il sindaco Chiamparino, che aveva minacciato, probabilmente scherzando, di incatenarsi ai cancelli della fabbrica (con qualche ragione in più del suo collega di Firenze) insieme a Regione, Provincia e Politecnico ha delegato la gestione del problema al CEIP (Centro Estero Internazionalizzazione Produttiva), una specie di società consortile che coinvolge le Banche, sostenuta dalla Regione, nella quale da un anno sono entrati anche gli enti locali.Ad un mese dalla scadenza di Gennaio la chiusura è confermata, si parla di aziende indiane ,israeliane, giapponesi che forse potrebbero recuperare una parte degli ingegneri fra i quali dilaga, oltre che lo sconforto e la rabbia, la tentazione, per chi può, di prendere e andarsene dall’Italia. Il Politecnico intanto negli ultimi mesi ha visto un significativo risveglio degli studenti.
Per i tagli alla ricerca previsti da Tremonti e Gelmini.
Il Centro di ricerche Motorola di Torino è un bel fabbricato dalle parti di via Cardinal Massaua rinato sulle ceneri della CIR di De Benedetti. Lo noti, specie di notte, perché tiene costantemente le luci accese anche se nessuno sta lavorando. Chi paghi la bolletta non si sa ma la ristrutturazione del fabbricato, dato in concessione dal comune per 20 anni alla Motorola nella seconda metà degli anni ’90 è stata pagata dal Comune, o meglio il sindaco-ingegnere dell’epoca ottenne dal Politecnico gli 11 milioni di euro per consegnare chiavi in mano l’edificio nuovo di zecca alla multinazionale dell’Illinois. Il Poli a sua volta i soldi li prese dall’Unione Europea come contributo dei Fondi strutturali concessi alle Regioni per lo sviluppo della Ricerca. La Motorola assunse negli anni fino a 370 dipendenti, nella quasi totalità ingegneri, in parte almeno attinti dal Politecnico insieme a decine di stagisti, tesisti, postlaureati che in Motorola lavoravano per un certo periodo, naturalmente gratis.
L’operazione Motorola e l’ingegnere-sindaco vennero applauditi dai quotidiani locali ripetutamente, come esempio ottimale della strategia di diversificazione produttiva in città. Malgrado le numerose agevolazioni ed i regali dati all’azienda da Città e Politecnico nessuno si chiese quali fossero in cambio le garanzie da parte dell’azienda. Neppure si fece molto caso al fatto che il personale venne assunto da Motorola con il contratto del commercio, come azienda di servizi (costa di meno). Praticamente lo stesso contratto delle commesse di Panorama e con stipendi, per gli ingegneri 30-40enni neoassunti, di 1200-1300 euro; poco più di quanto prende un turnista della Fiat di Mirafiori.Malgrado siano considerati fra i migliori d’Europa. Tanto meno si diede importanza al fatto che, nell’azienda dove l’orario di lavoro di 8 ore era un opzional, peraltro già insegnato ai giovani ingegneri dalla pseudotecnocrazia che anima parte della cultura del Politecnico di Torino, non ci fosse né all’inizio ne fino a ieri alcuna struttura sindacale interna. D’altronde la sinistra è per l’egualitarismo e c’è già un vice sindaco ex sindacalista della Cisl. A che scopo pagare di più o avere una RSU alla Motorola?
Nel corso degli ultimi 10 anni la Motorola ha fatto un sacco di soldi nel mondo con i telefonini (notissimo il famoso RAZR3 per il design e le minidimensioni). Tanti soldi anche in Italia che è notoriamente il paese del mondo con più cellulari per abitante. Nell’ultimo anno però, forse per il mancato successo della piattaforma tecnologica Symbian, forse perché Samsung ha scavalcato Motorola nelle vendite totali, gli azionisti dell’Illinois hanno deciso di tagliare il personale nell’area europea ed in particolare di chiudere, entro il 19 gennaio il Centro di Torino e mandare a casa tutti, in particolare i 333 ingegneri. I quali, precipitati all’improvviso in una situazione davvero disperata quanto inaspettata, il 12 novembre, dopo che l’azienda ha anche negato l’ingresso in fabbrica di sindacalisti della Filcams, per la prima volta nella loro vita hanno fatto 3 ore di sciopero e imparato ad usare fischietti, cartelli e volantini per denunciare il comportamento di Motorola.
Anche perché nel frattempo si è scoperto che non solo con il contratto del commercio si presentavano problemi per ottenere la cassa integrazione ma l’azienda si era dimenticata di pagare parte dei contributi ai suoi giovani ingegneri. Il sindaco Chiamparino, che aveva minacciato, probabilmente scherzando, di incatenarsi ai cancelli della fabbrica (con qualche ragione in più del suo collega di Firenze) insieme a Regione, Provincia e Politecnico ha delegato la gestione del problema al CEIP (Centro Estero Internazionalizzazione Produttiva), una specie di società consortile che coinvolge le Banche, sostenuta dalla Regione, nella quale da un anno sono entrati anche gli enti locali.Ad un mese dalla scadenza di Gennaio la chiusura è confermata, si parla di aziende indiane ,israeliane, giapponesi che forse potrebbero recuperare una parte degli ingegneri fra i quali dilaga, oltre che lo sconforto e la rabbia, la tentazione, per chi può, di prendere e andarsene dall’Italia. Il Politecnico intanto negli ultimi mesi ha visto un significativo risveglio degli studenti.
Per i tagli alla ricerca previsti da Tremonti e Gelmini.
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