22 novembre 2008

La crisi infinita dei Verdi italiani





Con la fondazione a Finale Ligure nel novembre 1986 e la presentazione alle elezioni politiche dell’anno successivo, nasceva in Italia una nuova forza politica senza riferimenti storici ne derivazioni dalle diverse formazioni emerse nel dopoguerra. Poco disponibili alla forma tradizionale di partito, le Liste Verdi scelsero la denominazione di Federazione, si dichiararono autonomi e al di fuori dai tradizionali schieramenti della destra e della sinistra italiana, affermarono la centralità della difesa dell’ambiente, della tutela della natura e del paesaggio, di tutte le specie viventi, come basi fondanti della propria azione politica; indicarono la non violenza come scelta di fondo ed il rifiuto della guerra come strumento per la risoluzione dei conflitti; scelsero il federalismo come la forma istituzionale verso la quale orientare la trasformazione del paese, dichiararono l’intenzione di affiancare all’impegno ecologista quello per il cambiamento della politica nella direzione di renderla più pulita e più vicina alle esigenze dei cittadini, in particolare delle fasce più deboli ed emarginate; affermarono l’impegno a garantire la convivenza fra razze, etnie, culture diverse, considerando questa come una forma di arricchimento di una società; indicarono il risparmio, l’uso razionale, lo sviluppo delle energie rinnovabili, come soluzione alla questione energetica, rifiutando l’opzione nucleare.

La progressiva messa a punto di queste posizioni era del tutto nuove nel panorama politico italiano negli anni in cui avveniva l’incidente di Chernobyl, crollava l’Unione sovietica ed i regimi comunisti, si avviava l’esplosione di Tangentopoli.Si avvicinarono e spesso aderirono ai Verdi persone provenienti da associazioni e gruppi ambientalisti, animalisti, non violenti, ma anche elettori delusi dei partiti tradizionali e persone arrivate all’impegno politico da problemi e battaglie ambientali specifiche e locali.

I Verdi affrontarono le prime esperienze elettorali nazionali (elezioni politiche dell’87, europee dell’89, regionali del ’90) nel pieno di una intensa discussione interna che riguardava la forma di partito(con l’ipotesi di costituzione nei fatti di strutture regionali autonome), il mandato elettorale (con l’ipotesi di rotazione a metà mandato o il veto alle ricandidature consecutive), la forma di leaderchip, evitando le figure di segretario e scegliendo una struttura di portavoce collettivo fatto da 11 coordinatori eletti annualmente. Attraverso convegni e seminari nazionali, a volte anche di notevole rilievo culturale e scientifico, i Verdi suscitarono un notevole interesse fra tecnici e uomini di cultura e discussero vari progetti di diffusione delle Università Verdi, di Ecoistituti, perfino di gestione alternativa del risparmio attraverso investimenti orientati eticamente.
I primi risultati elettorali di un simbolo nuovo per gli elettori diedero un discreto successo alle Liste Verdi, attorno ad un milione di voti, quasi il 3% nazionale e frequenti risultati più alti in diverse realtà locali specie del centro-nord del paese: Alle europee del 1989, dove si presentarono anche i neonati Verdi Arcobaleno, provenienti in parte dall’area radicale ,da ex demoproletari insieme ad ambientalisti più orientati a sinistra, complessivamente le due liste raccolsero più di due milioni di voti e il 6,2% eleggendo 5 parlamentari europei fra i quali Alex Langer.Poco più di un anno dopo le due entità si unirono nella Federazione dei Verdi mantenendo il simbolo del sole che ride e la nuova scritta VERDI.

Il successo degli ambientalisti, l’unica novità positiva in un paese che precipitava nella crisi a seguito della venuta alla luce della corruzione dei partiti destò grandi simpatie e grandi ostilità, tanto più in un periodo, la prima parte degli anni ’90 in cui di fatto tutti i vecchi partiti italiani si frantumavano, cambiavano nome, simbolo, collocazione, alleanze. Quasi tutti i partiti, non sempre in buona fede, riconobbero l’importanza delle questioni poste dal movimento ambientalista mentre la presenza contenuta ma efficace dei Verdi in centinaia di amministrazioni locali e regionali, oltre a quella in Parlamento, ebbero effetti significativi nell’ orientare la legislazione in modo più attento e favorevole alle posizioni ecologiste.

La fase nascente e di crescita del movimento dei Verdi durò meno di dieci anni.I Verdi si trovarono nella metà degli anni ’90 a gestire un notevole carico di responsabilità, di aspettative, di conflitti e di nemici dichiarati ed occulti rispetto ai quali la debolezza organizzativa e la difficoltà a far funzionare una leaderchip collettiva ma autorevole, provocarono la paralisi del movimento e l’arresto della espansione della propria influenza.
Mentre si trasformava e si consolidava il controllo mafioso sull’economia in vaste aree del paese, mentre i partiti ristrutturati consolidavano il proprio ruolo ed i propri privilegi in quella che poi venne chiamata la “casta”, mentre si sviluppava una infinita discussione sulle riforme elettorali, con l’approdo al bipolarismo che garantisce ai partiti principali la propria sopravvivenza all’infinito, i Verdi esaurirono la loro capacità di espansione indebolendosi anche nell'irrisolto conflitto interno per la leaderchip.

L’istaurazione progressiva di regole maggioritarie o bipolari, insieme alla frammentazione, hanno costretto i Verdi ad una progressiva perdita di autonomia, ad una crisi nel gruppo dirigente che non si risolse per nulla con la decisione di passare ad un portavoce unico (di fatto un segretario politico scartando l'ipotesi di un uomo e una donna attuata dai Verdi in altri paesi).
L’accentramento progressivo dell’attenzione e delle risorse a Roma, puntate in esclusiva sul ruolo e sulle attività dei gruppi parlamentari, mentre falliva rapidamente il ruolo del portavoce e si registravano i primi abbandoni, non hanno permesso ai Verdi di reggere alla complessità delle scelte, ai tentativi visibili e occulti di limitarne l’influenza politica.

Gran parte dei progetti su cui si sosteneva il potenziale innovativo (la struttura federale, le università verdi, gli ecoistituti, la presenza femminile, la critica all’uso del finanziamento publico e della politica come professione) si arenarono lentamente.La elaborazione di proposte concrete di federalismo sono state abbandonate e di fatto tutta la questione è stata malamente acquisita dalla Lega Nord che ne ha fatto uno dei nodi del proprio successo. La difficoltà di sopravvivere ad un forzoso bipolarismo ha progressivamente fatto perdere ai Verdi la propria originale collocazione e li ha trasformati, nella loro esposizione mediatica, in uno dei tanti partiti di sinistra e infine in uno dei partitini della estrema sinistra.
Negli ultimi anni,per quanto siano sostanzialmente rimasti indenni dalla nuova ondata di denuncie, processi, accuse di corruzione, complicità mafiose, che colpiscono tutti i principali partiti, oggi molto più potenti di 20 anni fa nel reggere l’attacco della magistratura, i Verdi non sono più visti come una alternativa: significativa la loro l’assenza di fatto nella critica pesantissima ai costi della politica che sale da tempo dalla società civile.

L’abbandono progressivo di tutte le proprie caratteristiche genetiche ha fatto perdere da tempo ai Verdi la spinta e la simpatia originaria rendendo in particolare disastrosa l’allenza con una estrema sinistra peraltro totalmente frammentata e incapace di produrre cambiamenti. Il significato di questa alleanza non viene compreso dalla gran parte dei potenziali elettori e sostenitori soprattutto perchè porta alla scomparsa ed alla diluizione delle tematiche ambientaliste in un generico antagonismo per giunta senza risultati.
Nei fatti, dalla metà degli anni ’90, i Verdi vivono una crisi permanente che riguarda la propria collocazione, la difesa della propria autonomia e della loro vocazione originaria;crisi che a differenza dei Verdi di altri paesi europei non vede al momento protagonisti e progetti in grado di superarla.





3 commenti:

  1. Anonimo17:01

    Giorgio Gardiol
    Il problema è, la qualità della proposta politica. Per tutto un periodo storico nei verdi e più i generale nel movimento ecologista, fare politica significava stare nella società, cercare di "governare" i problemi attraverso proposte, lotte, conflitti. C'era anche chi, ed erano in tanti, preferiva restare tra le gente piuttosto che accettare candidature. Entrare nelle istituzioni significava quasi un "pensionamento". Fare i consiglieri, i deputati, significava essere considerati dai tuoi compagni degli "esperti" che dovevano portare nelle istituzioni l'esperienza di "governo" acquisita fuori.
    Purtroppo siamo poi entrati nella fase della "casta". Cambiata la struttura della forma organizzativo (da federazione di associazioni a partito strutturato nazionalmente) si nono fatte carte false e iscritti fasulli per vincere la corsa a entrare a far parte delle istituzioni. Ciò è successo paradossalmente proprio nel periodo in cui le istituzioni erano al minimo storico della credibilità. Per cui nelle istituzioni non si porta quasi più nulla. Si fa una corsa ai privilegi cui il "mestiere", sia pur precario, del politico ti garantisce. Conquistato lo status di "politico" non si vuole rinunciare all' "ebbrezza" che questo comporta. Nel movimento ecologista si è rotto il senso della comunità di appartenenza, e, se vuoi, l'ideale per cui ti batti, l'immaginario di riferimento.
    In un momento in cui si sta ripensando la politica e le sue forme, forse bisogna discutere anche di queste cose.
    Dobbiamo essere in grado di ridare una dignità piena alla politica e agli strumenti di cui si dota. Dobbiamo costruire un organizzazione dove un dirigente diventa tale anche se non si candida alle elezioni, anche se non fa un comunicato al giorno, non rilascia un intervista ogni settimana, non improvvisa convegni improbabili o non fa proposte spettacolari

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  2. Anonimo17:03

    Luigi Manconi, portavoce dei Verdi dal ' 96 al ' 99, la risposta la diede nel 2001. E fu perentoria: «Si è irreparabilmente esaurita l' ipotesi di una presenza dei Verdi come partito autonomo». Non restava che imboccare, a suo parere, la via della diaspora, tentando di contaminare dall' interno le varie culture politiche. Perché il paradosso dell' ambientalismo nostrano è che piace alla gente, ma non viene votato. Clamoroso il caso dell' 85: alle Politiche i Verdi ottengono il 2,5%, l' anno dopo esplode la centrale nucleare di Chernobyl, il mondo ha il fiato sospeso, ma tutto ciò per i nostri ecologisti si traduce in un misero 0,1% in più alle Politiche ' 87. Con l' aggiuntiva beffa che in quello stesso anno il referendum abrogativo sul nucleare, loro cavallo di battaglia, passa con l' 80% di «sì». ». Un male oscuro? Secondo il politologo Gian Enrico Rusconi, la causa principale risiede «nell' eccessiva vicinanza dei Verdi alla sinistra più estrema». Pagherebbero cioè «l' incapacità di dare un profilo autonomo ai loro contenuti» e «l' assenza di una leadership forte alla Fischer». Massimo Scalia indica altre due cause: la presenza in Italia di «un Pci-Pds-Ds pigliatutto, abile nell' egemonizzare anche l' elettorato verde» e la difficoltà di far passare il messaggio ecologista «in un' Italia segnata da un forte individualismo». Franco Corleone ne aggiunge un' altra: «Spesso l' elettorato vive le nostre battaglie come settoriali e si rivolge alle forze cosiddette generaliste». Sullo sfondo, l' eterno dilemma: meglio partito o movimento? Scalia fa autocritica: «Per anni abbiamo avuto la presunzione di essere bio-degradabili, di non accettare le logiche del consenso organizzato». Lo stesso Manconi ammette che «c' è sempre stata un' incapacità a trattenere i consensi».

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  3. però una forza ambientalista, antinucleare e più che mai necessaria. Bisognerà trovare il modo di farla nascere o rinascere.

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