18 agosto 2025

Il negoziato Onu: Fallisce l’accordo sulla plastica, vittoria dei paesi petroliferi

 L'accordo per varare quello che avrebbe dovuto essere il primo Trattato internazionale contro l’inquinamento della plastica si arena a causa di Usa, Arabia Saudita, Iran, Russia e paesi del Golfo. E alle «pretese dell’industria chimica»

 

di Anna Maria Merlo *

È una nuova sconfitta del multilateralismo. Dopo nove giorni di vertice a Ginevra, conclusione di tre anni di negoziati, dopo un ultimo tentativo fuori tempo massimo, al di là della mezzanotte di giovedì, con un testo rivisto, i 184 paesi riuniti sotto l’egida dell’Onu non sono riusciti a mettersi d’accordo per varare quello che avrebbe dovuto essere il primo Trattato internazionale contro l’inquinamento della plastica. Un trattato che avrebbe dovuto avere un valore giuridico vincolante. Già nel dicembre 2024 c’era stato, a Busan in Corea del Sud, un primo fallimento. E adesso, anche se per la direttrice del Pnue (programma Onu per (l’ambiente), Inger Andersen, «tutti devono capire che questo lavoro non si fermerà perché l’inquinamento della plastica non si fermerà», non c’è una data né un luogo per un eventuale nuovo vertice. Per evitare l’impasse, la Svizzera ha proposto di cambiare metodo: sospendere il negoziato e sviluppare protocolli più vincolanti nel quadro dei trattati esistenti.

IL MONDO «SI ARRENDE agli stati petroliferi e alle pretese dell’industria chimica» ha commentato l’ong Ciel, «mettendo in pericolo la salute umana, l’ambiente e le generazioni future». Per il capo-delegazione di Greenpeace, Graham Forbes, è «un regalo all’industria petrochimica e un tradimento dell’umanità». Molti studi recenti paragonano le conseguenze dell’inquinamento della plastica a quelle dell’amianto. Le terre e i mari soffocano sotto gli scarti di plastica: ogni anno 10 milioni di tonnellate sono riversate negli oceani, l’equivalente di un camion della spazzatura ogni minuto. Oggi vengono prodotti 450 milioni di tonnellate di plastica l’anno, che cresceranno a un miliardo nel 2050, mentre per il momento solo il 10% è riciclato. Dal 2000 il mondo ha prodotto più plastica che nei 50 anni precedenti. «Alcuni paesi sono guidati solo da interessi finanziari e non dalla salute delle loro popolazioni e dall’economia durevole», ha commentato la ministra francese dell’Ecologia, Agnès Pannier-Runacher, «delusa e arrabbiata» per il fallimento. L’unica buona notizia è che il fronte dei «paesi a forte ambizione» poco per volta si allarga: a Nizza, al vertice sugli Oceani lo scorso giugno, 96 gli stati che hanno firmato un appello sull’emergenza di un «obiettivo mondiale per diminuire la produzione e il consumo di polimeri plastici primari a livelli durevoli», alla conclusione del fallimentare vertice di Ginevra sono saliti a 120 i paesi che intendono continuare a lottare per arrivare a un Trattato. Ma per il momento hanno vinto gli altri. Gli Usa, con Trump, hanno decisamente cambiato campo e sono alleati di Arabia Saudita, Iran, Russia, paesi del Golfo, che vorrebbero limitare l’intervento solo alla gestione degli scarti e al riciclaggio. Mentre per gli economisti che si occupano del prodotto plastica è chiaro che c’è una diretta correlazione tra quantità di produzione e inquinamento. Per i paesi petroliferi, che subiscono la diminuzione del petrolio nei trasporti (per il graduale passaggio all’elettrico) la plastica sta diventando sempre più un importante segmento economico. Il fronte dei paesi “ad alta ambizione” comprende gli europei, il Canada, l’Australia, la maggior parte dell’America latina e dell’Africa, i paesi insulari. Un primo testo, presentato dal presidente, l’ecuadoriano Luis Vayas Valdivieso, è stato giudicato «inaccettabile» dalla maggior parte dei paesi presenti al vertice. «Chiaramente disequilibrato» perché rimandava tutto a decisioni a livello nazionale. Solo l’India sarebbe stata disposta a firmarlo. Un secondo testo, meno compromissorio, presentato nella notte di giovedì, è stato anch’esso respinto, perché «insufficiente». La Cina, primo produttore mondiale di plastica, ha chiesto al presidente di «concentrarsi sui problemi», invece di «accrescere le divergenze»: Pechino poco per volta sembra accettare l’idea che l’inquinamento da plastica va affrontato in modo globale, dalla produzione al riciclaggio. Anche il Brasile ora sembra più aperto. Persino l’industria chimica chiede un testo comune che indichi la strada da percorrere: l’Icca (consiglio internazionale chimica), pur evitando «di giudicare» i due testi che sono stati sottoposti a discussione a Ginevra, è contro un “rigetto” completo e preferirebbe un accordo «anche se non perfetto». Ma per la commissaria Ue all’ambiente, Jessika Roswall, «abbiamo bisogno di un trattato ma non a qualsiasi prezzo». La Ue ha preso decisioni al suo interno, per imporre delle norme alla produzione e alla diffusione della plastica. Ma non è assolutamente sufficiente.

nella foto: Una spiaggia a Taiwan

* da il manifesto - 15 agosto 2025

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