27 settembre 2017

Germania: Il dilemma dei Verdi divisi tra realisti e radicali



Verso la coalizione Giamaica. Tetto ai migranti e austerità, i Grünen stretti tra due partiti che spingono a destra





Il potere logora chi non ce l’ha. La speranza dei Verdi tedeschi, dopo il voto di domenica, è che l’aforisma di andreottiana memoria sia vero, ma la paura che le cose possano stare diversamente è molta. Dalle urne i Grünen sono usciti con un soddisfacente 8,9% che li proietta nella «coalizione Giamaica» con i neri democristiani della Cdu/Csu e i gialli liberali della Fdp. Tornare al governo dopo 12 anni di opposizione è certo cosa da rendere allegri, ma le condizioni in cui gli ecologisti si apprestano a farlo sono le peggiori possibili: nell’eventuale prossimo gabinetto di Angela Merkel sarebbero non solo la forza minore, ma soprattutto dovrebbero convivere con due partiti che spingono verso destra. I bocconi amari da inghiottire potrebbero rivelarsi troppi, e il conto da pagare alle elezioni future – sia regionali, sia politiche tra quattro anni – rischierebbe di essere salatissimo.

I democristiani, in particolari i bavaresi della Csu, vogliono a tutti i costi riconquistare l’elettorato perduto a vantaggio dei nazionalisti di AfD: è da attendersi un ulteriore giro di vite sulla questione-profughi, da Monaco il governatore Horst Seehofer è subito tornato a chiedere in barba alla Costituzione di fissare per legge un tetto massimo di persone da accogliere. I liberali si ergono a guardiani dell’ortodossia in campo economico: l’austerità deve restare un dogma intoccabile, in patria ma soprattutto in Europa. 

I Verdi, dal canto loro, sostengono con forza l’apertura ai migranti e una svolta sociale nell’Ue: le contraddizioni in seno alla probabile coalizione di governo non potrebbero essere più grandi. Esistono ovviamente anche punti in comune. La «protezione del creato» sta a cuore anche ai democristiani che difendono il patrimonio naturale del Paese come elemento-chiave dell’identità tedesca, i diritti civili sono il terreno d’incontro con i liberali. E ci sono le esperienze dei Länder: la coalizione con la Cdu funziona in Baden-Württemberg e in Assia, e da tre mesi c’è un’alleanza «giamaicana» nello Schleswig-Holstein, la regione al confine con la Danimarca. Ma rischia di non bastare. Soprattutto se da sinistra incalzeranno le opposizioni «rosse» della Spd e della Linke, magari facendo sponda con il sindacato: la confederazione unitaria Dgb si è già detta preoccupata di un ritorno al governo dell’ultra-liberista Fdp, che tra le promesse elettorali aveva quella di annacquare la legge sul salario minimo legale.


I Grünen affermano di essere un partito della giustizia sociale, e la combattiva corrente della sinistra interna prende molto sul serio questa auto-definizione. Malgrado il partito sia stato guidato in campagna elettorale da due esponenti moderati, Cem Özdemir e Katrin Göring-Eckardt, la base e i gruppi dirigenti sono sostanzialmente equamente divisi fra «realisti» e «radicali», e questi ultimi non resterebbero senza farsi sentire di fronte a compromessi inaccettabili. Ma anche i «realisti» sanno di non dover mettere a repentaglio il tesoretto elettorale: la storia recente della Repubblica federale mostra che una legislatura al governo può rivelarsi fatale per il partner minore della coalizione. È ciò che è appena accaduto ai socialdemocratici della Spd, mai così in basso, ma soprattutto ciò che capitò alla Fdp nel 2013: dopo quattro anni nell’esecutivo segnati da polemiche continue, precipitarono dal 14,6% al 4,8%, restando clamorosamente fuori dal parlamento.


( nella foto  i leader dei Verdi Katrin Göring-Eckardt e Cem Özdemir )


* da il manifesto 27 settembre 2017


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