15 aprile 2017

Turchia: Erdogan si gioca il paese, l’opposizione la sopravvivenza



Referendum in Turchia. Domani si vota sulla riforma costituzionale voluta dall’Akp. Campagna elettorale a senso unico ma tra sì e no è testa a testa. Se le modifiche passeranno, il presidente controllerà giudici e parlamento Alla vigilia dell’apertura dei seggi in tutta la Turchia per il referendum costituzionale, i sondaggi vedono un serratissimo testa a testa tra i due schieramenti, con pochi punti percentuali a separarli.


SI VOTERÀ SULLA MODIFICA alla costituzione approvata dal parlamento lo scorso gennaio. I voti favorevoli dei parlamentari si sono rivelati insufficienti per un’approvazione diretta, ma abbastanza per convocare le urne e passare dunque la parola ai cittadini. Se approvata, la Turchia assumerà una forma presidenziale centralizzata, che ha destato preoccupazioni circa la tenuta delle istituzioni democratiche del paese.


CON LA RIFORMA il presidente della Repubblica assume il potere esecutivo e allunga le mani verso i poteri legislativo e giudiziario: governa tramite decreti legge, sceglie i ministri, nomina le alte cariche della burocrazia statale, abbandona il ruolo super partes e mantiene appartenenza e leadership del partito, elegge sia la maggioranza dei membri della corte costituzionale chiamata eventualmente a giudicarlo, sia quelli del consiglio superiore della magistratura che distribuisce giudici e procuratori sul territorio. Inoltre è al comando delle forze armate. Resistono ancora alcune prerogative del parlamento. Ma con la perenne presenza della spada di Damocle dello scioglimento dell’assemblea, altro potere presidenziale, quanta dialettica ci si può attendere e quanta subordinazione? I fautori della riforma ne invocano i benefici facendo affidamento sulla necessità di una Turchia forte, governata da un partito forte e da un uomo forte. Recep Tayyip Erdogan si appresta a coronare il suo sogno politico personale e quello di almeno tre generazioni di militanza politica islamica.


LARGO ALLA NUOVA TURCHIA, fondata su un legame senza intermediari tra il leader e il suo popolo, che non è però tutto il popolo, perché chi non accetta e condivide questo legame non ha patria. Verrà marginalizzato, come sta accadendo alla decadente vecchia élite, rinchiusa nei club e nelle ville ad ammirare il proprio declino. Oppure verrà spazzato via, come le opposizioni kurde, come i vecchi amici e alleati oggi considerati traditori, come chi si batte e deve scegliere tra il carcere o l’esilio.


UN CAMBIAMENTO di tale dimensione storica verrà votato in un clima sociale arroventato e traumatizzato: dalla guerra in molte regioni del sud est a maggioranza kurda, da un’operazione di sradicamento dallo Stato di uno scomodo ex alleato che non poteva essere indolore, l’imam Gülen, da uno stato di emergenza che ha annullato la certezza del diritto e dato spazio all’arbitrarietà e all’abuso di potere di chi obbedisce, per sincero timore o per desiderio di compiacenza. L’Akp fonda la sua campagna sulla propria capacità organizzativa, attraverso le sue organizzazioni di quartiere e la sua mobilitazione dal basso, nonché su una vasta disponibilità economica grazie ai legami con una borghesia rampante cresciuta in simbiosi con chi è al governo ormai da quindici anni.


ACCANTO A TUTTO CIÒ c’è l’ostruzione delle opposizioni, a cominciare da quella interna. Rarissimi i No che si sentono nell’Akp, con gli avversari di Erdogan preferiscono trincerarsi dietro una silenziosa marginalizzazione. Vincesse il sì, probabilmente pagheranno la loro mancata militanza a fianco del leader, ma assai meno che con un’esplicita presa di posizione. L’ostruzione avviene anche negli spazi pubblicitari, nei canali delle tv dominati dall’Evet (Sì in turco), dove la timida comparsa una tantum di due esponenti dell’Hdp martedì scorso sul canale statale Trt1 viene vissuta come un’inspiegabile eccezione, o forse un blando tentativo di apparente pluralismo.


L’OSTRUZIONE È NEL CAOS di almeno 500mila sfollati del sud est, tra quartieri distrutti e seggi continuamente spostati, dove ci si deve legittimamente chiedere come possano convivere bombe e urne elettorali. Ed è anche nelle decine di migliaia di epurati che languono in carcere o ci muoiono, etichettati nemici dello Stato e difficilmente potranno votare. Il referendum di domenica avviene nelle peggiori condizioni possibili, eppure i popoli di Turchia sono chiamati a dare una risposta: evet o hayir.


Dimitri Bettoni  su il manifesto , 15 aprile 2017

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