18 gennaio 2017

Il futuro della biblioteca



Antonella Agnoli ha collaborato al progetto scientifico-culturale di numerose biblioteche italiane


Intervista a Antonella Agnoli  *

 Cosa deve essere una biblioteca pubblica al tempo dei tablet? Un’idea di biblioteca legata al prestito e alla consultazione, che fatica a essere sentita come un posto dei cittadini, in cui poter stare, incontrarsi, avere la possibilità di imparare delle cose o di rendersi utili; le biblioteche del nord Europa dove trovi laboratori di ogni tipo: il centro turistico, l’ufficio comunale per fare i certificati, l’assistenza per la ricerca del lavoro, a volte pure una piscina... Intervista a Antonella Agnoli.

An­to­nel­la Agno­li ha con­ce­pi­to la Bi­blio­te­ca San Gio­van­ni di Pe­sa­ro e col­la­bo­ra­to al pro­get­to scien­ti­fi­co-cul­tu­ra­le di nu­me­ro­se bi­blio­te­che ita­lia­ne. La­vo­ra con ar­chi­tet­ti ed en­ti lo­ca­li per la pro­get­ta­zio­ne di spa­zi e ser­vi­zi bi­blio­te­ca­ri e per la for­ma­zio­ne del per­so­na­le. È au­tri­ce di La bi­blio­te­ca che vor­rei (2014), Ca­ro sin­da­co, par­lia­mo di bi­blio­te­che (2011), Le piaz­ze del sa­pe­re (2009), La bi­blio­te­ca per ra­gaz­zi (1999).

Par­lia­mo di bi­blio­te­che. Fac­cia­mo in­tan­to un qua­dro del­la si­tua­zio­ne?
Ho fat­to re­cen­te­men­te per l’An­ci e il Cen­tro per il li­bro un viag­gio at­tra­ver­so al­cu­ne pro­vin­ce ita­lia­ne, fra cui Biel­la, Ra­ven­na, Lec­ce, Si­ra­cu­sa e Nuo­ro, e ho ri­scon­tra­to de­gli ele­men­ti co­mu­ni a tut­te le bi­blio­te­che: ora­ri di aper­tu­ra li­mi­ta­ti, po­chi fre­quen­ta­to­ri e sem­pre gli stes­si; quan­do fun­zio­na­no fan­no mol­ti pre­sti­ti ma in real­tà a un nu­me­ro li­mi­ta­to di per­so­ne. La mag­gior par­te dei cit­ta­di­ni non fre­quen­ta la bi­blio­te­ca. La me­dia ita­lia­na non si sa be­ne qua­le sia ma po­treb­be an­da­re dal 4 al 10%, nel­le zo­ne do­ve fun­zio­na, e ar­ri­va­re al 20% nel­le co­mu­ni­tà più pic­co­le do­ve è più fa­ci­le ave­re per­cen­tua­li più al­te. In que­sto 20% hai i let­to­ri for­ti, che lo so­no di lo­ro, in­di­pen­den­te­men­te dal­la bi­blio­te­ca, e nel­la bi­blio­te­ca han­no un luo­go do­ve tro­va­re con­ti­nua­men­te li­bri, che ma­ga­ri, con la cri­si, non pos­so­no più per­met­ter­si di ac­qui­sta­re. In­fat­ti, suc­ce­de an­che che i fre­quen­ta­to­ri abi­tua­li ma­ga­ri vor­reb­be­ro tro­va­re le no­vi­tà, che le bi­blio­te­che non com­pra­no più per via dei pe­san­ti ta­gli. Le bi­blio­te­che poi fun­zio­na­no mol­tis­si­mo co­me luo­ghi di stu­dio per stu­den­ti, il che, in­ten­dia­mo­ci, è un’ot­ti­ma co­sa, ma que­sti ci van­no spes­so coi pro­pri li­bri e di­spen­se, non uti­liz­za­no i pa­tri­mo­ni del­le bi­blio­te­che e non è det­to che fi­ni­ti gli stu­di ri­tor­ni­no, per­ché non sen­to­no che quel luo­go po­treb­be es­se­re uti­le in tut­ti i mo­men­ti dif­fe­ren­ti del­la vi­ta. 

Quin­di ab­bia­mo an­che ser­vi­zi che fun­zio­na­no, ma per una par­te mar­gi­na­le del­la po­po­la­zio­ne. Que­sta è più o me­no la real­tà.
Det­to que­sto, pe­rò, io con­ti­nuo a pen­sa­re che la bi­blio­te­ca, esat­ta­men­te co­me la scuo­la, fac­cia par­te di quei ser­vi­zi di ba­se che an­dreb­be­ro pa­ga­ti con le tas­se dei cit­ta­di­ni, fon­da­men­ta­li per co­strui­re un pae­se de­mo­cra­ti­co e da­re la pos­si­bi­li­tà a tut­ti di ave­re lo stes­so ac­ces­so al­le in­for­ma­zio­ni e la stes­sa com­pe­ten­za nel­l’ac­ces­so al­le in­for­ma­zio­ni. Non è quin­di so­lo un pro­ble­ma di let­tu­ra.
Cre­do che pri­ma di tut­to do­vrem­mo far ca­pi­re ai sin­da­ci che la bi­blio­te­ca è un luo­go im­por­tan­te. Nei miei gi­ri ho in­con­tra­to tan­tis­si­mi sin­da­ci che di fron­te a un’i­dea di­ver­sa da quel­la che ave­va­no di bi­blio­te­ca sa­reb­be­ro sta­ti as­so­lu­ta­men­te di­spo­ni­bi­li a in­ve­sti­re. Pur­trop­po pe­rò og­gi co­sì com’è la bi­blio­te­ca è estre­ma­men­te vul­ne­ra­bi­le. Io con­ti­nuo a in­con­tra­re col­le­ghi che di­co­no: "Vo­glio­no chiu­de­re la bi­blio­te­ca”, "Io va­do in pen­sio­ne”, "La da­ran­no in ma­no ai vo­lon­ta­ri”... E già que­sta idea che ba­sti un vo­lon­ta­rio che sap­pia leg­ge­re per te­ne­re aper­ta una bi­blio­te­ca at­te­sta che non sia­mo riu­sci­ti a far ca­pi­re l’im­por­tan­za di quel luo­go. Qual­cu­no si fa­reb­be fa­re un’o­pe­ra­zio­ne chi­rur­gi­ca da un vo­lon­ta­rio?
Cer­ta­men­te scon­tia­mo an­che pro­ble­mi ata­vi­ci. Se fac­cia­mo il con­fron­to coi pae­si nor­di­ci, sa­rà per via del­la cul­tu­ra pro­te­stan­te e per una so­cial­de­mo­cra­zia che ha sem­pre in­ve­sti­to mol­to sui ser­vi­zi, sta di fat­to che si leg­ge mol­to di più e la bi­blio­te­ca è sem­pre sta­ta vi­sta co­me un car­di­ne fon­da­men­ta­le del­la co­mu­ni­tà.


Co­me ri­de­fi­ni­re­sti quin­di la bi­blio­te­ca?
Io una vol­ta l’ho de­fi­ni­ta un "pron­to soc­cor­so cul­tu­ra­le”. Per fa­re que­sto, pe­rò, va to­tal­men­te ri­po­si­zio­na­ta, de­ve di­ven­ta­re qual­co­s’al­tro. Og­gi ab­bia­mo bi­so­gno di ave­re dei luo­ghi do­ve le per­so­ne pos­sa­no sta­re in­sie­me e fa­re del­le co­se in­sie­me. Per­ché sia a li­vel­lo in­ter­ge­ne­ra­zio­na­le che al­l’in­ter­no del­le stes­se ge­ne­ra­zio­ni or­mai so­no sem­pre me­no le oc­ca­sio­ni per fa­re del­le co­se in­sie­me. Al mas­si­mo si gio­ca a car­te, e in­ve­ce le co­se da fa­re po­treb­be­ro es­se­re tan­tis­si­me. Nel­le bi­blio­te­che in gi­ro per l’Eu­ro­pa si fan­no la­bo­ra­to­ri di tut­ti i ti­pi, dal­la stam­pan­te 3d, al ta­glio e cu­ci­to, al­lo yo­ga, al cor­so di in­gle­se, met­ten­do in cam­po tut­te le nuo­ve co­no­scen­ze, ma an­che tut­ti quei sa­pe­ri le­ga­ti al­la ma­nua­li­tà. Ades­so si par­la mol­to de­gli ar­ti­gia­ni. Per­ché la bi­blio­te­ca non può es­se­re un luo­go do­ve i sa­pe­ri che si stan­no per­den­do tro­va­no un lo­ro luo­go di tra­smis­sio­ne? Quin­di una bi­blio­te­ca con gran­de di­men­sio­ne so­cia­le.
Ma ba­sta pen­sa­re al­la Sa­la Bor­sa di Bo­lo­gna. È un luo­go straor­di­na­rio che an­dreb­be ve­ra­men­te stu­dia­to per quel­lo che vi ac­ca­de. Ogni gior­no vi en­tra­no 4-500 per­so­ne. Non è det­to che i ser­vi­zi al per­so­na­le sia­no co­sì at­trez­za­ti e an­che avan­ti, ri­spet­to ad al­tre bi­blio­te­che eu­ro­pee, pe­rò un af­flus­so co­sì ri­le­van­te già ci di­ce tan­te co­se: en­tra­no tan­tis­si­mi tu­ri­sti, en­tra­no stu­den­ti, tan­tis­si­mi an­zia­ni che pas­sa­no la lo­ro gior­na­ta là den­tro; tu puoi sta­re al cal­do o al fre­sco a leg­ge­re i gior­na­li, a ve­de­re un film sen­za con­su­ma­re nul­la; en­tra­no tan­tis­si­mi ho­me­less, è un luo­go so­cia­le per ec­cel­len­za. L’an­no scor­so, in oc­ca­sio­ne del de­ci­mo an­ni­ver­sa­rio, la bi­blio­te­ca ha in­vi­ta­to gli uten­ti a scri­ve­re su dei po­st-it "per­ché mi pia­ce Sa­la Bor­sa”, e le ri­spo­ste so­no sta­te elo­quen­ti: "Mi pia­ce -ha scrit­to uno dei sen­za tet­to- per­ché io bar­bo­ne quan­do pio­ve o fa fred­do ho un ri­pa­ro ma so­prat­tut­to per­ché pos­so ac­cul­tu­rar­mi leg­gen­do un bel li­bro il che non è po­co, gra­zie”. Al­tri han­no scrit­to: "Per­ché i vec­chiet­ti pos­so­no ur­la­re tran­quil­la­men­te e sen­tir­si a ca­sa pro­pria”, op­pu­re: "Per­ché i bar­bo­ni pos­so leg­ge­re lo stes­so fu­met­to an­che per die­ci an­ni e ad­dor­men­tar­si sul­le pol­tro­ne”, o an­che: "Per­ché pos­sia­mo usu­frui­re del ri­scal­da­men­to”.

Que­sta co­sa dei sen­za ca­sa in bi­blio­te­ca è al­ta­men­te em­ble­ma­ti­ca di un’i­dea di­ver­sa di bi­blio­te­ca…
È l’A­me­ri­ca che ar­ri­va da noi; nel­le gran­di cit­tà co­me New York o San Fran­ci­sco si ve­do­no già da mol­ti an­ni gli ho­me­less che la mat­ti­na pre­sto aspet­ta­no l’a­per­tu­ra del­la bi­blio­te­ca (i dor­mi­to­ri li cac­cia­no al­le 7 del mat­ti­no) e poi se ne van­no tut­ti in­sie­me al­l’o­ra di chiu­su­ra. A San Die­go, in Ca­li­for­nia, ho vi­sto una pic­co­la fol­la di po­ve­rac­ci usci­re dal­la bi­blio­te­ca con i lo­ro sac­chi a pe­lo, i lo­ro car­to­ni, i lo­ro car­rel­li del su­per­mer­ca­to e tra lo­ro mol­ti gio­va­ni, vit­ti­me di una cri­si che li ha sra­di­ca­ti da ca­se e fa­mi­glie.
Quan­do i drop-out di­ven­ta­no pre­sen­ze fis­se in bi­blio­te­ca, scop­pia­no ve­ri e pro­pri con­flit­ti tra chi ri­tie­ne di ave­re più di­rit­to di uti­liz­za­re gli spa­zi e le col­le­zio­ni ri­spet­to a chi la usa co­me ri­fu­gio; è ac­ca­du­to re­cen­te­men­te al­la Sor­ma­ni di Mi­la­no, per esem­pio. I trol­ley, i va­li­gio­ni, gli zai­ni stra­col­mi so­no un pro­ble­ma; mol­te bi­blio­te­che han­no re­go­la­men­ta­zio­ni su co­sa si può por­ta­re den­tro, con l’e­sclu­sio­ne di col­li in­gom­bran­ti. Ep­pu­re ba­ste­reb­be un po’ di fan­ta­sia. La bi­blio­te­ca del Cen­tre Pom­pi­dou a Pa­ri­gi, per esem­pio, ha aiu­ta­to un pen­sio­na­to in­tra­pren­den­te a rea­liz­za­re un ser­vi­zio per i sen­za ca­sa: un luo­go do­ve pos­sa­no la­scia­re le lo­ro co­se du­ran­te la gior­na­ta, per non do­ver­si tra­sci­na­re le va­li­gie o i car­rel­li per tut­ta Pa­ri­gi. Il fon­da­to­re del­l’as­so­cia­zio­ne Mains li­bres ge­sti­sce il de­po­si­to ba­ga­gli 365 gior­ni l’an­no.
Di fron­te al­la cre­sci­ta del­la mar­gi­na­li­tà sem­bra per­si­no of­fen­si­vo chie­der­si se c’è bi­so­gno del­le bi­blio­te­che; ne­gli ul­ti­mi an­ni la bi­blio­te­ca pub­bli­ca è di­ven­ta­ta un’an­co­ra di sal­vez­za per i sen­za tet­to, non so­lo per­ché of­fre ri­scal­da­men­to d’in­ver­no e aria con­di­zio­na­ta d’e­sta­te, ma per­ché of­fre la pos­si­bi­li­tà di te­ner­si in con­tat­to col mon­do. Do­ve al­tro po­treb­be­ro an­da­re i gio­va­ni per con­sul­ta­re le of­fer­te di la­vo­ro, com­pi­la­re un cur­ri­cu­lum, ri­chie­de­re un sus­si­dio, spe­di­re una mail? Ogni me­dia bi­blio­te­ca ame­ri­ca­na og­gi of­fre cor­si di for­ma­zio­ne al­la tec­no­lo­gia e se­mi­na­ri su te­mi che van­no dal mo­do di scri­ve­re un cur­ri­cu­lum al­le tec­ni­che per af­fron­ta­re un col­lo­quio d’as­sun­zio­ne. Mol­tis­si­me so­no di­ven­ta­te dei com­mu­ni­ty cen­ter che svol­go­no at­ti­vi­tà di so­ste­gno ai di­soc­cu­pa­ti in cer­ca di la­vo­ro; i ta­vo­li di­ven­ta­no l’uf­fi­cio prov­vi­so­rio di chi ha per­so l’im­pie­go, i com­pu­ter e le con­nes­sio­ni gra­tui­te a in­ter­net il ca­na­le per pre­sen­tar­si ai col­lo­qui: è quel­lo che do­vrem­mo fa­re an­che noi.

Ma la pa­ro­la bi­blio­te­ca re­sta as­so­cia­ta per for­za al­la pa­ro­la li­bro.
Sì, i li­bri in fon­do so­no la co­sa più fa­ci­le ma an­che quel­la più dif­fi­ci­le, nel sen­so che chi non ha mai let­to è dif­fi­ci­le che si met­ta a leg­ge­re. Tu avrai più dif­fi­col­tà a leg­ge­re se vie­ni su in una ca­sa sen­za li­bri, con ge­ni­to­ri che non leg­go­no li­bri, se a scuo­la non ve­di li­bri, se ve­di una tv do­ve non ci so­no mai li­bri, se i mo­del­li che ti ven­go­no tra­smes­si so­no di al­tro ti­po. Non so­no nean­che co­sì con­vin­ta che una vol­ta si leg­ge­va di più: leg­ge­va­no di più quel­li che già leg­ge­va­no, men­tre ades­so per­do­no più tem­po cin­ci­schian­do con Fa­ce­book; chi non leg­ge­va pri­ma con­ti­nua a non leg­ge­re cin­ci­schian­do con Fa­ce­book. An­che le va­rie sta­ti­sti­che non so­no mai sul­la let­tu­ra ma sul­la ven­di­ta del li­bro.
Cer­to, la bi­blio­te­ca ha li­bri e la sua fi­na­li­tà è an­che quel­la di aver­ne. Pe­rò pos­so­no es­se­re car­ta­cei o ebook. Il mio com­pa­gno per for­tu­na non com­pra qua­si più li­bri car­ta­cei al­tri­men­ti a que­sto pun­to sa­rem­mo al pia­no­ter­ra, pe­rò ne com­pra tan­tis­si­mi in ebook. Nel­la sua ta­vo­let­ta ne ha den­tro cen­ti­na­ia e se la por­ta in gi­ro, in tre­no, in au­to­bus. Quin­di se uno leg­ge può leg­ge­re di più; se uno sa di­stri­car­si in in­ter­net può tro­va­re co­se straor­di­na­rie. In in­ter­net ci so­no mi­glia­ia di li­bri gra­tui­ti, mi­lio­ni di pez­zi mu­si­ca­li, tut­ta la sto­ria del jazz, tut­ta la sto­ria del ci­ne­ma, tut­to di­spo­ni­bi­le gra­tui­ta­men­te. Il pro­ble­ma è co­me ar­ri­var­ci. Uno sa co­me ar­ri­var­ci? Io uso or­mai mol­tis­si­mo il ta­blet, che tro­vo fan­ta­sti­co per­ché su una pa­gi­na so­la ho tut­to: schiac­cio qui, pos­so leg­ge­re "Re­pub­bli­ca”, "Il Cor­rie­re”, "il So­le”, "Il Ma­ni­fe­sto”, quel che vo­glio; schiac­cio qui e ho gli ebook, i pdf e i do­cu­men­ti che mi vo­glio por­ta­re die­tro; schiac­cio lì e con­di­vi­do tut­ti i li­bri del mio com­pa­gno per­ché ab­bia­mo fat­to una co­sa fa­mi­ly per cui tut­te le sue mi­glia­ia di li­bri li pos­so ve­de­re an­ch’io; schiac­cio di là e ci so­no i do­cu­men­ti che scri­vo e con­ser­vo; qui ascol­to la ra­dio, qui mi ascol­to la mu­si­ca, qui ar­chi­vio ven­ti­mi­la fo­to, qui pre­pa­ro il mio po­wer point, che uso quan­do de­vo fa­re le­zio­ne; qui ho la cal­co­la­tri­ce; qui, se de­vo an­da­re a tro­va­re qual­cu­no schiac­cio e mi fa da na­vi­ga­to­re, qui fac­cio le fo­to, qui par­lo con Fa­ce­book, qui con Twit­ter, qui con Sky­pe, con cui pos­so con­ver­sa­re con quel­lo che sta dal­l’al­tra par­te del mon­do, e po­trei an­da­re avan­ti. Ma il ri­schio qual è? È che tut­te que­ste op­por­tu­ni­tà straor­di­na­rie fi­ni­sca­no per ar­ric­chi­re so­lo la vi­ta cul­tu­ra­le di chi ha già gli stru­men­ti per usu­fruir­ne.
Al­lo­ra, quan­do tu hai un og­get­to di que­sto ge­ne­re, la bi­blio­te­ca co­s’è? È an­co­ra in­di­spen­sa­bi­le? Se­con­do me sì, più che mai, per­ché è un luo­go fi­si­co, e c’è bi­so­gno più che mai di luo­ghi fi­si­ci, luo­ghi che aiu­ti­no le per­so­ne che non han­no la pos­si­bi­li­tà di ac­qui­sta­re og­get­ti di que­sto ge­ne­re e di sa­per­li uti­liz­za­re. Pen­sia­mo so­lo al­la per­cen­tua­le mol­to al­ta di an­zia­ni e a tut­ta que­sta co­sa del­la di­gi­ta­liz­za­zio­ne del­la pub­bli­ca am­mi­ni­stra­zio­ne. Chi aiu­te­rà que­ste per­so­ne a en­tra­re in con­tat­to con tut­to que­sto?
Ec­co io can­di­do la bi­blio­te­ca a luo­go di me­dia­zio­ne e di fa­ci­li­ta­zio­ne tra tut­to quel­lo che è il sa­pe­re, le co­no­scen­ze che ci so­no nel web, che so­no straor­di­na­rie, e la pos­si­bi­li­tà per te di po­ter­vi ac­ce­de­re e di tro­va­re le co­se che van­no be­ne per te. Ma non le schi­fez­ze. Sa­pe­te che il si­to più clic­ca­to in Ita­lia è quel­lo del­la Trec­ca­ni? Non è Wi­ki­pe­dia. Per­ché? Pre­su­mi­bil­men­te per­ché con­ti­nua ad ave­re un suo sta­tus di luo­go di qua­li­tà, di luo­go di ga­ran­zia, di luo­go che non ti dà in­for­ma­zio­ni sba­glia­te. Tu de­vi aiu­ta­re le per­so­ne ad ac­ce­de­re a tut­to que­sto.
Ec­co, que­sta è una del­le co­se che do­vreb­be fa­re la bi­blio­te­ca. Un luo­go do­ve fa­re re­cu­pe­ra­re dei sa­pe­ri, do­ve sta­re in­sie­me a fa­re del­le co­se, ma an­che so­lo a sta­re in­sie­me, o do­ve po­ter sta­re in un po­sto iso­la­to a leg­ger­si un li­bro, a guar­da­re un pa­no­ra­ma di­stac­ca­to dal ru­mo­re che c’è fuo­ri. Qual è un po­sto che ti può ga­ran­ti­re an­che que­sta sor­ta di so­li­tu­di­ne gra­tui­ta? Poi, io ten­do an­che ad an­da­re un po’ ol­tre. Per­ché cre­do che og­gi, so­prat­tut­to nei pic­co­li co­mu­ni, nel­le cit­tà me­dio-pic­co­le, noi ci ri­tro­via­mo con tan­ti mu­sei, ci­ne­ma, che so­prav­vi­vo­no a fa­ti­ca, e for­se, al­lo­ra, bi­so­gne­reb­be co­strui­re dei luo­ghi che sia­no una sor­ta di cen­tro com­mer­cia­le ma del­la cul­tu­ra.

Il cen­tro cul­tu­ra­le di cui un tem­po si par­la­va mol­to…
Sì, ri­tor­na­re un po’ al vec­chio cen­tro cul­tu­ra­le, do­ve uno en­tra in una hall co­mu­ne e poi de­ci­de che co­sa fa­re. Vuoi an­da­re in bi­blio­te­ca? Vuoi an­dar­ti a ve­de­re una mo­stra? Al ci­ne­ma? A tea­tro? Ne ho vi­sti in Nor­ve­gia che ave­va­no la pi­sci­na. Puoi sta­re tut­to il gior­no in que­sto luo­go pas­san­do dal­la bi­blio­te­ca, a pren­der­ti l’a­pe­ri­ti­vo, a far­ti la nuo­ta­ta, a ve­de­re un film, ec­ce­te­ra, ec­ce­te­ra. Pro­ba­bil­men­te que­sta im­po­sta­zio­ne ci aiu­ta an­che a eco­no­miz­za­re le ri­sor­se, fa­cen­do sta­re que­sti luo­ghi più aper­ti. Il pic­co­lo mu­seo del­la pic­co­la cit­ta­di­na può sta­re aper­to un fi­ne set­ti­ma­na, for­se la bi­blio­te­ca qual­che ora; se in­ve­ce tu hai un luo­go che tie­ne in­sie­me tan­ti dif­fe­ren­ti ser­vi­zi for­se puoi an­che eco­no­miz­za­re ri­spet­to ai flus­si, per­ché è inu­ti­le te­ne­re aper­te le co­se quan­do non ar­ri­va nes­su­no.
In­som­ma, dob­bia­mo chie­der­ci se ha an­co­ra sen­so ave­re tan­ti luo­ghi se­pa­ra­ti quan­do le per­so­ne so­no or­mai abi­tua­te ad ave­re tan­te of­fer­te con­tem­po­ra­nea­men­te, sia vir­tua­li che dai cen­tri com­mer­cia­li. Non sa­reb­be me­glio ave­re an­che un luo­go cul­tu­ra­le che ti dà of­fer­te mol­te­pli­ci?

Ma ci vor­reb­be una gran sen­si­bi­li­tà po­li­ti­ca…
In un pae­se in cui non so­no un’e­mer­gen­za le scuo­le, non so­no cer­ta­men­te un’e­mer­gen­za le bi­blio­te­che. Ec­co, quan­te bi­blio­te­che si fa­reb­be­ro in Si­ci­lia con i sol­di che co­ste­reb­be il pon­te? Bi­so­gna de­ci­de­re qua­li so­no le in­fra­strut­tu­re fon­da­men­ta­li di que­sto no­stro pae­se. È il tra­spor­to o è crea­re del­le per­so­ne ca­pa­ci di ra­gio­na­re, ca­pa­ci di es­se­re an­che in­ter­pre­ti del­lo svi­lup­po del lo­ro pae­se. Se tu ti ali­men­ti so­lo del­la te­le­vi­sio­ne e di po­co al­tro, an­drai po­co lon­ta­no. Al­lo­ra la bi­blio­te­ca io la ve­do pro­prio co­me un car­di­ne fon­da­men­ta­le per la ri­co­stru­zio­ne del pae­se. Poi, cer­to, la va­lo­riz­za­zio­ne dei be­ni cul­tu­ra­li, del­la lo­ro con­ser­va­zio­ne, non va cer­to tra­scu­ra­ta, ma se va avan­ti co­sì ri­schia­mo di con­ser­va­re del­le co­se che poi le per­so­ne non sa­ran­no in gra­do di leg­ge­re. Tul­lio de Mau­ro ci par­la sem­pre di que­sto 70% di anal­fa­be­ti­smo fun­zio­na­le, che sa­reb­be quel­la for­ma di anal­fa­be­ti­smo che col­pi­sce per­so­ne che han­no fat­to un lo­ro per­cor­so di stu­di an­che nor­ma­le, strut­tu­ra­to, quin­di so­no an­da­te a scuo­la e che, pe­rò, nel tem­po non han­no mai fat­to di con­to, non han­no mai scrit­to, non han­no mai let­to, per cui si ri­tro­va­no a es­se­re poi in­ca­pa­ci di fa­re un con­to, di ar­ri­va­re al­la fi­ne di un ar­ti­co­lo mi­ni­ma­men­te com­pli­ca­to, so­no in­ca­pa­ci di dir­ti co­s’han­no let­to, ecc. ecc. Quin­di un al­tro cam­po in cui la bi­blio­te­ca po­treb­be ave­re un ruo­lo fon­da­men­ta­le è pro­prio quel­lo del­l’ex­tra-scuo­la, tut­to ciò, cioè, che sta fuo­ri dei per­cor­si strut­tu­ra­ti di for­ma­zio­ne. Pen­sia­mo so­lo al­le per­so­ne che in­vec­chia­no sem­pre più, a tut­ti gli im­mi­gra­ti che stan­no ar­ri­van­do, a tut­ti quel­li che han­no fat­to la scuo­la ma­le. 

Tu di­ci che la bi­blio­te­ca è un luo­go neu­tro, e che que­sta è la ve­ra ca­rat­te­ri­sti­ca del­la bi­blio­te­ca. Co­sa vuoi di­re?
Che è un luo­go do­ve ci puoi an­da­re non ne­ces­sa­ria­men­te per un mo­ti­vo spe­ci­fi­co. A scuo­la ci vai per­ché vai a scuo­la, in ospe­da­le per­ché sei ma­la­to, in co­mu­ne per fa­re un cer­ti­fi­ca­to, in bi­blio­te­ca ci puoi an­da­re per­ché hai vo­glia di an­dar­ci. In più ci van­no tut­ti. Og­gi nel­la gran par­te dei no­stri luo­ghi cul­tu­ra­li c’è una so­glia che è una bar­rie­ra psi­co­lo­gi­ca, non fi­si­ca ov­via­men­te. Ec­co, va ab­bat­tu­ta per far sì che chi en­tra si sen­ta esat­ta­men­te co­me tut­ti gli al­tri e sen­ta che quel luo­go po­treb­be es­se­re ve­ra­men­te il suo. Qui il pro­ble­ma di­ven­ta quel­lo del­la par­te­ci­pa­zio­ne. Io so­no più che mai con­vin­ta che que­sti luo­ghi per fun­zio­na­re deb­ba­no es­se­re co­strui­ti in­sie­me ai cit­ta­di­ni.
Per ar­ri­va­re a que­sto ab­bia­mo bi­so­gno non so­lo di bi­blio­te­ca­ri col cur­ri­cu­lum tra­di­zio­na­le, ma di fa­ci­li­ta­to­ri, di me­dia­to­ri, di per­so­ne crea­ti­ve, di per­so­ne con una gran­de ca­pa­ci­tà di re­la­zio­ne, ca­pa­ci di sti­mo­la­re, di in­ter­cet­ta­re, di in­ven­ta­re. Fra il per­so­na­le di una bi­blio­te­ca a mio av­vi­so do­vreb­be­ro es­ser­ci un gra­fi­co, un ad­det­to al­l’hac­ker spa­ce, un bi­blio­te­ca­rio, uno che fa tea­tro, ope­ra­to­ri che sap­pia­no co­strui­re in­sie­me ai cit­ta­di­ni, aiu­ta­re i cit­ta­di­ni a por­ta­re lì den­tro i pro­pri sa­pe­ri. A quel pun­to i cit­ta­di­ni sen­ti­ran­no quel po­sto co­me lo­ro.
Da que­sto pun­to di vi­sta mi ha enor­me­men­te im­pres­sio­na­ta una bi­blio­te­ca in Da­ni­mar­ca. Quan­do ho chie­sto al di­ret­to­re quan­to spen­de­va­no per le at­ti­vi­tà cul­tu­ra­li, mi ha ri­spo­sto che non spen­de­va­no nul­la, per­ché le fa­ce­va­no i cit­ta­di­ni. So­no sta­ta lì due gior­ni e suc­ce­de­va di tut­to e di più: c’e­ra­no ra­gaz­zot­ti che im­pa­ra­va­no a fa­re un vi­deo­gio­co, al­tri che fa­ce­va­no tam­bu­ro con i ge­ni­to­ri, una ser­ra do­ve por­ta­re le pian­te che stan­no ma­le, con qual­cu­no che fa­ce­va l’sos pian­te. Tut­ti sa­pe­ri del­la gen­te che abi­ta nel­la cit­tà, che spes­so so­no sa­pe­ri straor­di­na­ri, ma che si ri­schia di per­de­re. Per que­sto è un luo­go che non può es­se­re pro­get­ta­to e ca­la­to dal­l’al­to, per­ché si de­ve pla­sma­re sul ter­ri­to­rio. 

Tu de­scri­vi an­che que­sti po­sti de­di­ca­ti ai bam­bi­ni…
In una bi­blio­te­ca di Oslo ho vi­sto una par­te ri­ser­va­ta a bam­bi­ni da 10 a 13 an­ni, in cui gli adul­ti non pos­so­no pro­prio en­tra­re. Lo­ro si so­no ac­cor­ti che quel­la è l’e­tà in cui ca­la la let­tu­ra, fi­no ad al­lo­ra im­por­tan­te per lo­ro, for­se per­ché è il pe­rio­do più dif­fi­ci­le per un ra­gaz­zi­no, quel­lo in cui non sai an­co­ra co­sa sa­rai, in cui si di­ce, con quel­l’or­ri­bi­le espres­sio­ne, che "non sei né car­ne né pe­sce”, ma un po’ è co­sì, sei al­la ri­cer­ca del­l’i­den­ti­tà e non sai co­sa sa­rai da gran­de. In quel­l’e­tà que­sti ra­gaz­zi­ni si sen­to­no schiac­cia­ti fra i fra­tel­li­ni più pic­co­li e tan­ti adul­ti, i ge­ni­to­ri, gli in­se­gnan­ti, gli al­le­na­to­ri, che di­co­no lo­ro co­sa de­vo­no fa­re. Ec­co, lì han­no fat­to un la­bo­ra­to­rio con que­sti ra­gaz­zi ed è ve­nu­to fuo­ri co­sa avreb­be­ro vo­lu­to: un po­sto sen­za ge­ni­to­ri, sen­za bam­bi­ni più pic­co­li, un po­sto do­ve sta­re tran­quil­li per­ché le lo­ro ca­se era­no trop­po in­ca­si­na­te, e han­no co­strui­to un luo­go, se­con­do me fan­ta­sti­co, do­ve è vie­ta­to l’in­gres­so agli adul­ti. Io ci so­no en­tra­ta pre­gan­do, "ven­go dal­l’I­ta­lia”, ma al­tri­men­ti non en­tra nes­sun adul­to, sal­vo gli ope­ra­to­ri che so­no gio­va­nis­si­mi.
Mi è sem­bra­ta un’i­dea straor­di­na­ria, per­ché met­te in­sie­me due ele­men­ti fon­da­men­ta­li: una po­li­ti­ca, che si chie­de che co­sa fa­re per un’e­tà a ri­schio, che co­min­cia a non leg­ge­re più, e un pro­get­to che vie­ne co­strui­to e rea­liz­za­to as­sie­me ai ra­gaz­zi­ni. Un pro­get­to quin­di to­tal­men­te fi­nan­zia­to dal pub­bli­co per­ché è un in­ve­sti­men­to, tra l’al­tro in un quar­tie­re par­ti­co­lar­men­te com­pli­ca­to. Una sfi­da a 360 gra­di.
Fra l’al­tro non cre­do che ci sia un pro­ble­ma di sol­di, per­ché ogni vol­ta che va­do nel sud ve­do che i sol­di ar­ri­va­no ma non por­ta­no mai al­cun cam­bia­men­to. Al­lo­ra mi chie­do per­ché non si può fa­re qual­co­sa del ge­ne­re? Per­ché in­te­re cit­tà co­me Ca­ta­nia, Pa­ler­mo, Na­po­li non pos­so­no ave­re luo­ghi, bi­blio­te­che per bam­bi­ni? La bi­blio­te­ca per bam­bi­ni non si­gni­fi­ca ave­re quat­tro li­bri scal­ca­gna­ti ­­­messi in un an­go­lo. Si­gni­fi­ca ave­re un po­sto bel­lis­si­mo, per­ché più sei sfor­tu­na­to più hai il di­rit­to di ave­re un po­sto bel­lo, con li­bri bel­li, te­nu­ti be­ne. 

Tu con­cen­tre­re­sti nel­la bi­blio­te­ca an­che mol­ti ser­vi­zi al cit­ta­di­no…
Sì, vi­sto che esi­ste un mi­ni­stro che tie­ne in­sie­me cul­tu­ra e tu­ri­smo. Ri­cor­do che ne­gli Usa e in In­ghil­ter­ra le bi­blio­te­che so­no i pun­ti in­for­ma­ti­vi del­la cit­tà, che da noi so­no spar­pa­glia­ti. Se tut­ti gli spor­tel­li al cit­ta­di­no fos­se­ro mes­si in un uni­co po­sto, che può es­se­re la bi­blio­te­ca, che sta più aper­ta ed è per­ce­pi­ta co­me un luo­go me­no osti­le, me­no bu­ro­cra­ti­co, me­no "dal­l’al­tra par­te”, ma­ga­ri i cit­ta­di­ni vi­vreb­be­ro que­sti ser­vi­zi in mo­do dif­fe­ren­te. Al­l’e­ste­ro in bi­blio­te­ca fan­no pas­sa­por­ti, car­te d’i­den­ti­tà, ci so­no per­so­ne che ti aiu­ta­no a fa­re la ri­cer­ca del la­vo­ro, a com­pi­la­re il mo­du­lo, per­ché non è suf­fi­cien­te ave­re il mo­du­lo, la dif­fi­col­tà sta so­prat­tut­to nel­la com­pi­la­zio­ne. Ne­gli Usa ci so­no mi­glia­ia di vo­lon­ta­ri che aiu­ta­no que­ste per­so­ne che cer­ca­no la­vo­ro a com­pi­la­re il mo­del­lo; si­mu­la­no i col­lo­qui in bi­blio­te­ca, per pre­pa­rar­li a quel­li di la­vo­ro.
Ho let­to di una bi­blio­te­ca che im­pre­sta le cra­vat­te per pre­pa­rar­li an­che nel ve­sti­re. Ec­co, io pen­so che que­sto sia un fron­te mol­to im­por­tan­te.
L’al­tro fron­te è quel­lo del tu­ri­smo. Ci sa­ran­no sem­pre più dei tu­ri­sti co­sid­det­ti eco­lo­gi­ci, che gi­ra­no in bi­ci, che van­no nei cen­tri mi­no­ri, e qua­le pun­to mi­glio­re del­la bi­blio­te­ca per chie­de­re in­for­ma­zio­ni del luo­go in cui si è ar­ri­va­ti! Ne­gli Usa è co­sì. Ogni bi­blio­te­ca, an­che nel pae­si­no di 500 abi­tan­ti, ha il suo il vi­si­tor cen­ter, do­ve ti rac­con­ta­no che lì è pas­sa­to Pe­cos Bill, ti dan­no la pian­ti­na dei po­sti do­ve an­da­re a scia­re, do­ve man­gia­re, ma, so­prat­tut­to, i bi­blio­te­ca­ri, a dif­fe­ren­za del cen­tro tu­ri­sti­co, ag­giun­go­no co­no­scen­za per­ché non si li­mi­ta­no a da­re il me­ro de­pliant, ma in­tro­du­co­no il vi­si­ta­to­re al­l’in­ter­no del­la vi­ta cul­tu­ra­le del po­sto. E la bi­blio­te­ca è il po­sto idea­le per far que­sto. Mol­ti tu­ri­sti, poi, cer­ca­no in­ter­net gra­tui­to, il wi­re­less, un po­sto do­ve po­ter­si se­de­re e ri­po­sa­re, fa­re pi­pì, ma­ga­ri c’è an­che la pos­si­bi­li­tà di of­fri­re qual­co­sa da man­gia­re. I tu­ri­sti stra­nie­ri so­no abi­tua­ti ad an­da­re in bi­blio­te­ca per­ché ti of­fre tut­to que­sto.

Ho let­to che in bi­blio­te­che for­se più pic­co­le po­treb­be es­ser­ci an­che una cu­ci­na, un po­sto do­ve fa­re con­ver­sa­zio­ne, chiac­chie­ra­re...
Sì, que­sta co­sa del­la cu­ci­na è mol­to in­te­res­san­te. La ten­den­za a fa­re un pic­co­lo ri­sto­ro al­l’in­ter­no del­le bi­blio­te­che (det­to tra pa­ren­te­si: io odio le mac­chi­net­te) è dif­fu­sa, pe­rò que­sto de­ve es­se­re ge­sti­to, per cui si può fa­re in un cen­tro un po’ gran­de. Ma an­che in que­sto ca­so mi sem­bra im­por­tan­te che lo si ve­da non co­me un qual­co­sa che non c’en­tra con la bi­blio­te­ca, ma pro­prio co­me un pez­zo del­le at­ti­vi­tà che la bi­blio­te­ca of­fre. Per di­re: ades­so da Me­mo, a Fa­no, ab­bia­mo pre­so un pia­no­for­te a mez­za­co­da, che sta do­ve c’è il caf­fè, e al­le sei di po­me­rig­gio qual­cu­no vie­ne a suo­na­re, tu ti be­vi il tè e ascol­ti la mu­si­ca; que­sto men­tre ci so­no quel­li che pren­do­no i li­bri e van­no in gi­ro, quel­lo che si sce­glie il film da ve­de­re a ca­sa, ecc.
In­ve­ce que­sta co­sa del­la cu­ci­na è un po’ di­ver­sa: Nel­l’am­bi­to di un la­bo­ra­to­rio di par­te­ci­pa­zio­ne al quar­tie­re Iso­la, a Mi­la­no, ero sta­ta coin­vol­ta da un grup­po di cit­ta­di­ni che ave­va avu­to l’in­ca­ri­co di ra­gio­na­re su due te­mi: uno era il pas­san­te, con que­sto enor­me ca­val­ca­via, e l’al­tro un cen­tro cul­tu­ra­le del quar­tie­re. Que­sta idea del cen­tro cul­tu­ra­le è si­mi­le al­la mia idea di bi­blio­te­ca, in­fat­ti io stes­sa ten­do a non usa­re il ter­mi­ne bi­blio­te­ca, per­ché a tut­ti vie­ne in men­te un luo­go che non è quel­lo cui pen­so io. Se­con­do me il no­me "cen­tro ci­vi­co cul­tu­ra­le” sa­reb­be il più giu­sto. 


Tu in­si­sti su que­sta co­sa del no­me…
In real­tà la po­trem­mo chia­ma­re in mol­ti mo­di dif­fe­ren­ti, c’è pro­prio un di­bat­ti­to su que­sto aspet­to del no­me; io se pos­so ten­do a chia­ma­re que­sti luo­ghi con dei no­mi che non han­no par­ti­co­lar­men­te sen­so. Quin­di a Ma­io­la­ti Spon­ti­ni, il no­me del­la bi­blio­te­ca è di­ven­ta­to so­lo "La For­na­ce”, an­che a Pe­sa­ro è ri­ma­sto so­lo "San Gio­van­ni”, in mo­do che le per­so­ne quan­do di­co­no: "Do­ve ci tro­via­mo?”, la ri­spo­sta pos­sa es­se­re sem­pli­ce­men­te: "Al San Gio­van­ni”. Pur­trop­po il no­me bi­blio­te­ca è trop­po le­ga­to a un cer­to ti­po di con­te­ni­to­re. Que­sta co­sa del no­me è mol­to im­por­tan­te. E lo è an­che al­l’e­ste­ro do­ve la bi­blio­te­ca pub­bli­ca non ha mai avu­to i pre­giu­di­zi che ha avu­to la bi­blio­te­ca ita­lia­na. 

Ec­co, tor­nia­mo al quar­tie­re Iso­la…
Lo­ro, in que­sto per­cor­so par­te­ci­pa­ti­vo, so­no an­da­ti a chie­de­re a un cen­ti­na­io di per­so­ne co­sa avreb­be­ro vo­lu­to tro­va­re al­l’in­ter­no di que­sto cen­tro ci­vi­co di quar­tie­re. E più di uno ha chie­sto di po­ter ave­re una cu­ci­na. Per­ché? Per­ché or­mai le cu­ci­ne di ca­sa so­no mi­cro­sco­pi­che. Se tu vuoi ce­na­re con gli ami­ci, coi pa­ren­ti, de­vi an­da­re in piz­ze­ria, che è or­ri­bi­le. Vien da pen­sa­re un po’ al­le vec­chie ca­se del po­po­lo e for­se bi­so­gne­reb­be ri­pen­sar­ci. Cin­quan­t’an­ni do­po tor­na­no fuo­ri gli stes­si bi­so­gni an­che se l’i­deo­lo­gia non c’è più. Mi è sem­bra­to mol­to in­te­res­san­te che, al­l’in­ter­no di un luo­go po­li­va­len­te, dai mol­te­pli­ci con­te­nu­ti, lo­ro chie­des­se­ro che ci fos­se an­che una cu­ci­na.
In que­sto biz­zar­ro pae­se che è l’I­ta­lia ci so­no ol­tre 3.000 pre­mi let­te­ra­ri, al­cu­ni cen­ti­na­ia di fe­sti­val di tut­ti i ti­pi, poi pe­rò non si leg­ge. E pe­rò ci so­no tan­tis­si­mi club di let­to­ri, grup­pi di let­tu­ra. Dap­per­tut­to. Al­lo­ra sa­reb­be mol­to bel­lo se que­sti si po­tes­se­ro ri­tro­va­re in bi­blio­te­ca, se tu aves­si an­che un ca­mi­net­to sa­reb­be an­co­ra me­glio, e in que­sta sta­gio­ne po­ter fa­re le ca­sta­gne da­van­ti al fuo­co e leg­ge­re. In­som­ma, per­ché non pen­sa­re di po­ter ave­re luo­ghi di que­sto ge­ne­re? Hai un ta­vo­lo e ti tro­vi per man­gia­re, ognu­no por­ta una tor­ta e ti fai il tè. Io lo ve­do mol­to co­me un luo­go cal­do, fa­mi­lia­re, que­sto fa­mo­so ter­zo luo­go. 

Con­clu­den­do?
Ve­do il ri­schio che in un mo­men­to co­me que­sto, in cui si di­ce che non ci so­no sol­di, sem­pre di più chi può rea­gi­rà e si at­trez­ze­rà per con­to suo. Il pro­ble­ma ri­guar­da tut­ti quel­li che non han­no que­ste pos­si­bi­li­tà. Io con­ti­nuo a pre­oc­cu­par­mi di que­sti. In tut­ti i con­ve­gni si con­ti­nua a ra­gio­na­re so­lo su chi già uti­liz­za. Io cre­do che se non fac­cia­mo dei pas­set­ti per al­lar­ga­re la ba­se dei fre­quen­ta­to­ri que­sto pae­se non ce la fa. Non puoi ti­rar­ti die­tro co­sì tan­ti cit­ta­di­ni che non han­no com­pe­ten­ze. Io di­co sem­pre, pro­vo­ca­to­ria­men­te, ai miei col­le­ghi: "Ma quan­ti di voi han­no fat­to dei cor­si di fi­nan­za e di eco­no­mia di ba­se?”. Tut­te le bi­blio­te­che avreb­be­ro do­vu­to far­li. Non è pos­si­bi­le che suc­ce­da quel­lo che è suc­ces­so al­la Ban­ca Etru­ria! Se uno fos­se sta­to mi­ni­ma­men­te at­trez­za­to, an­che se era l’a­mi­co a pro­por­gli di com­pra­re, for­se ci avreb­be pen­sa­to di più! Al­lo­ra, in que­sta co­me in mil­le al­tre co­se, è pro­prio un pro­ble­ma di co­no­scen­za. Io con­ti­nuo a es­se­re con­vin­ta che se aves­si­mo tan­te bi­blio­te­che bel­le, il pae­se sta­reb­be mol­to me­glio.


* a cu­ra di Gian­ni Sa­po­ret­ti  su www.unacitta.it   gennaio 2017

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