16 dicembre 2015

COP21: si riscopre che il pianeta ha una brutta cera ?

(Pechino nei giorni dell'allarme rosso )


di Massimo Marino

Nel fine settimana si è chiuso il mercato del clima di Parigi. Come all’apertura manifestazioni, commenti di speranza e di delusione, un documento di impegni, o meglio di dichiarazioni di intenti su cui divergono i giudizi. Dopo i tagli apportati in 13 giorni il documento finale è di 31 pagine dalle  55 della bozza  iniziale. I paesi più ricchi si impegnano a dare ai paesi più poveri 100 miliardi di dollari all’anno ( ma a partire dal 2020 quando formalmente scade il protocollo di Kyoto)  per aiutarli a fare fronte ai costi di interventi atti a contenere le loro emissioni. Come, chi dà e chi riceve, per fare o non fare che cosa, con quali criteri e con quali strumenti non è dato sapere.

Singolare che gli stessi paesi che finanziano le aziende dei fossili ( scisti, carbone, petrolio e gas ) in forma diretta o indiretta con 550 mld di dollari all’anno  ( sconti fiscali e all’autotrasporto, contributi alle introspezioni , finanziamenti alle aziende sia pubbliche che private, come i noti contributi CIP6 agli impianti di incenerimento,  etc..), ma appena un quinto ( circa 100 mld ) per l’intero comparto delle rinnovabili, non si sentano un po’ ridicoli. 

Si dichiara che l’obiettivo è contenere l’aumento della temperatura fra 1,5 e 2 gradi e  lì fermarsi fra gli anni 50 e fine secolo ( questo si ritiene  l’obiettivo di fondo) ma non si capisce come, visto che i programmi di impegno presentati da quasi tutti i 195 paesi  si stima portino ad almeno 3,5 gradi  di aumento.
Ci sarà una sessione di  verifica nel 2023  e la revisione degli impegni volontari nel 2025. Appuntamenti troppo lontani nel tempo e già si dice che la COP22 del prossimo anno, che si svolgerà in Marocco ( Marrakech), rimetterà tutto in discussione perché il tempo si sta esaurendo.  Tutto fa pensare che non solo il clima si riscalderà nei prossimi anni.
Se non scateniamo l’inferno, paese per paese , continente per continente, chiedendo fatti e non parole, forse solo fra 8-10 anni capiremo se a Parigi è successo davvero qualcosa di nuovo. Qualcosa di nuovo per il pianeta.
L’ impressione è che qualunque valutazione concreta è oggi  azzardata. Affrettate alcune intonazioni favorevoli sulla Conferenza di Parigi, inutilmente negative quelle di molti altri . Il vero problema è che se per un attimo i destini del pianeta sono ritornati all’attenzione del mondo, cosa esattamente si può dire , fare e proporre perché tutto non ritorni nell’oblio in poche settimane  e si eviti fra 5-10 anni di scoprire se ci hanno presi in giro? Che fare ? E’ questo il tema per coloro, individui, movimenti, associazioni, partiti che stanno dalla parte del pianeta.
Per intanto proviamo a fare qualche pensierino il più possibile distaccato dalle emozioni ( rabbia, speranza, indifferenza) sollecitato da una settimana di informazione superficiale ma dove sono emerse anche alcune buone riflessioni trovate negli angoli dei media che indichiamo al fondo.

Grado più ... grado meno. Secondo i gruppi di ricercatori più accreditati se non si fanno interventi drastici per ridurre le emissioni climalteranti entro pochi anni ( si parla del 2030 cioè già durante le attuali generazioni ) si avrebbe già prima di fine secolo  un aumento della temperatura di 3,5-4 gradi rispetto all’epoca dell’avvio della industrializzazione. Le generazioni attuali dei 60enni e dei 40enni ne vedrebbero già qualche effetto pesante, ma quella degli attuali 20enni ne sarebbe coinvolta in pieno. Lo scenario sarebbe disastroso e non è qui il momento di prenderlo in considerazione.
Ci si pone quindi l’obiettivo, seppure molto sfumato, di operare per uscire dalla crisi climatica per fine secolo, contando sulla progressiva decarbonizzazione delle attività umane. Si riconosce ormai che le potenzialità delle rinnovabili si sono manifestate sorprendenti e si tratta di vedere quali opzioni vinceranno in tempi utili. Nel 2020 scade formalmente il protocollo di Kyoto, il trattato che venne sottoscritto l’11 dicembre 1997 durante la Conferenza delle parti a Kyoto (la COP3), ma che si avviò solo nel 2005 quando con la firma della Russia si raggiunse il 55% dei soggetti statuali del pianeta in termini di emissioni. All’epoca per la verità Putin sosteneva che qualche grado in più alla Russia non avrebbe fatto male perché si sarebbe potuto risparmiare il costo di qualche pelliccia ma oggi sembra proprio che abbia cambiato idea e mostri sincera preoccupazione (mai disperare...) . 
Dopo i tentativi falliti degli ultimi 10 anni di mantenere gli obiettivi,   oggi  si è sposata la logica dei contributi nazionali volontari  dei singoli paesi  ( INDC )  senza indicare alcuna sanzione se non la perdita sottintesa dei contributi. Sono 185 su 195 i paesi che li hanno definiti e portati a Parigi, alcuni all’ultimo momento per poter partecipare, magari solo con intenti di boicottaggio. Facendo le somme si è visto però che anche fossero rispettati tutti gli INDC si è lontani da una soluzione in qualche modo rassicurante. 

Ormai è al centro, per la prima volta ufficialmente, la  decarbonizzazione nelle attività umane del pianeta, quello che gli ecologisti indicano da almeno 25 anni ,  e tenendo conto che 0,8 gradi  ce li siamo già mangiati bisogna prevedere scenari improbabili, con un aumento di 1,5, non di più. Da qui la risoluzione finale di 1,5-2 gradi.

A parole si è riconosciuto che in effetti questo è l’obiettivo. Allora è il trionfo del punto di vista degli ecologisti?

Quindi si fermeranno le circa 1000 centrali a carbone la cui apertura è prevista nei prossimi anni ? Si chiuderanno, magari gradualmente, quelle in funzione come giudicano indispensabile numerosi gruppi e scienziati critici ? Quindi si eviterà che paesi come la Cina che adesso ha meno di 10 auto per 100 abitanti arrivino alle 50 o addirittura 60 (Italia) o 70 (USA) come i paesi occidentali ? Ci sarà l’impegno a finanziare e allargare reti di trasporto pubblico dedicato (metro) in tutte le città di media e grande dimensione, la più grande opera di utilità certa,  invece di foraggiare le società autostradali o perseguire grandi opere di dubbia utilità?  Quindi i quasi 600 miliardi all’anno direttamente o indirettamente assegnati al settore energetico attinente ai fossili verranno dirottati a investimenti e impianti legati alle rinnovabili, a partire dall’eolico e dal fotovoltaico elettrico e termico diffondendoli  a tutte le latitudini del pianeta?  I paesi ricchi si impegneranno a chiudere l’importazione illegale di legname o a sostituire l’olio di palma che sono cause principali della deforestazione e della monocultura che riducono ( invece che aumentare ) i polmoni verdi del pianeta ? Dimezzeremo i 500 inceneritori europei che termosvalorizzano milioni di tonnellate di materie prime all’anno recuperabili trasformandole invece  in CO2, polveri sottili e infine ceneri inquinanti per quasi un terzo del loro peso iniziale?  Cercheremo di contenere la produzione ed il consumo di carni visto che le deiezioni  degli allevamenti industriali di bovini e suini hanno effetti devastanti  per  la produzione di gas climalteranti  ? ( In Italia il consumo di carne sta scendendo di circa il 10%  dagli 80 kg/anno.abitante  del 2006 ma la Cina è passata dai 4 del 1960 ai 58 Kg/a.a  del 2012).

Un grado più un grado meno presuppongono interventi rilevanti e mettono in gioco non miliardi  ma migliaia di miliardi di dollari, sfilati o meno dalle tasche di un centinaio di multinazionali e padroni degli scisti , del carbone , del petrolio, del gas, dell’auto, della zootecnia industriale. Alleati con i fratellini minori delle Società autostradali, dell’edilizia abitativa di pessima qualità quindi energivora, dell’agricoltura industriale che trasporta alimenti non necessari da un capo all’altro del pianeta, delle aziende che gestiscono i termosvalorizzatori, dei responsabili della deforestazione illegale.
E non dimentichiamo  a lato, con qualche difficoltà in più rispetto agli anni ’70 nel vendere il prodotto come alternativa non inquinante, le 3 - 4 grandi aziende del nucleare pronte a ripartire alla prima occasione. Nelle tragiche giornate dell’inquinamento di Pechino, che proprio nei giorni della COP21  ha dovuto dichiarare l’allarme a livello rosso per la prima volta nella storia, chiudendo scuole, uffici e fabbriche per 4 giorni, si è detto dell’intenzione di accelerare la chiusura di alcuni impianti a carbone, ma meno si è parlato della ipotesi emersa di costruire in Cina un centinaio di centrali nucleari in aggiunta alle 20 esistenti. Mentre gli impianti per le  rinnovabili si preferisce venderli all’estero.

L’estrazione dagli scisti ( stimati il 20% più inquinanti del petrolio ), attuata con enormi finanziamenti in USA,   ha portato al rilancio dei fossili. Il recente aumento della produzione di barili dell’Arabia Saudita, ha praticamente demolito l’OPEC , provocato un eccesso di offerta, ridotto i prezzi e di fatto reso più problematico il rilancio delle rinnovabili.
Come avvoltoi non disponibili  a lasciare la preda aziende e multinazionali direttamente o indirettamente collegate all’economia dei fossili sono calate su Parigi e si sono attivamente impegnate ad influenzare i quasi 10mila delegati dei diversi paesi in contrapposizione alle numerose azioni ed iniziative dentro e a lato della Conferenza da parte di diverse associazioni ambientaliste . Singolari alcuni casi come quelli di BNP-Paribas, nota per il suo sostegno finanziario all’industria del carbone in Sudafrica e in India e di  EDF , la nota società francese da sempre sponsor del nucleare come “energia pulita” ma meno nota come gestore di 16 centrali a carbone nel mondo, tra le quali alcune delle più inquinanti d’Europa. Insieme alla Chevron le due aziende, che erano incredibilmente fra gli sponsor principali di COP21, hanno ricevuto il “Premio Pinocchio” dell’anno da alcune associazioni ambientaliste .

E che dire delle aziende dell’auto che hanno presentato insistentemente a Parigi come soluzione al traffico le auto elettriche, dimenticando che , se per miracolo se ne dovesse alimentare 10 milioni in più da domani, si dovrebbero aprire altre centrali a carbone in Europa ? E che dire della discutibile iniziativa del Comune di Milano che nei giorni di COP21 ha fatto tappezzare dalla Nissan ( e per 3 anni)  la linea viola della metro con la pubblicità dei suoi modelli di auto elettriche che sarebbero la soluzione al problema dell’inquinamento della città ? 
 “ Dicette ‘o prevete: fa’ chello ca dico io ma nun fa’ chello ca facc’io” .  Disse il prete: fa quello che ti dico ma non fare quello che faccio io. Un vecchio proverbio con cui si potrebbe sintetizzare  lo scontro fra i paesi poveri ed emergenti e i paesi dell’occidente europeo ed americano. I primi rifiutano restrizioni ai loro programmi di sviluppo basati su carbone e petrolio, spesso sulla scarsa attenzione alla crisi climatica dei loro governanti, ad esempio riproponendo la diffusione dell’auto ( di solito di pessima qualità) per la mobilità individuale. Insomma perseguono esattamente e sciaguratamente gli stessi modelli, gli stessi percorsi, gli stessi interessi che sono stati alla base dello sviluppo dei paesi occidentali a partire dal dopoguerra. Ed è proprio dagli  anni ’60 che si è iniziato a percepire  l’avvio degli squilibri climatici, l’aumento esponenziale delle temperature e della concentrazione di CO2 in atmosfera ( vedi fig.1). Proprio in queste settimane si è annunciato che la concentrazione di CO2, dalle 300 ppm del periodo precedente alla seconda guerra mondiale ha per la prima volta sfiorato e superato le 400 ppm. Viene considerato intollerabile per l’uomo superare le 450 ppm.
fig.1

Si sostiene che il 65% delle emissioni climalteranti ( che comprendono oltre alla CO2, il metano, l’ossido di azoto e i fluorocarburi) sono attribuibili alle cosiddette economie emergenti, nome ormai inappropriato  se vi  si comprende  di fatto anche paesi come India o Brasile e, oltre a vari  paesi africani e asiatici, anche la stessa Cina. La realtà è relativamente semplice e abbastanza comprensibile: se questi paesi non cambieranno drasticamente il proprio modello di sviluppo, in altre parole se non si distaccheranno dal modello occidentale che di fatto stanno copiando, entro pochi decenni la crisi ambientale assumerà aspetti tragici e difficilmente si potrà tornare indietro. Abbiamo bisogno di governanti illuminati,scelti con sistemi politici ed elettorali più democratici, che pensino al destino dei loro nipoti quando, fra 30 o 60 anni loro non ci saranno più. Una parte consistente di quelli di oggi, molti presenti a COP21, sono strettamente legati , a volte dipendenti,  a volte finanziati  nelle campagne elettorali,  dalle multinazionali dei fossili, dell’atomo e dell’auto.

Le analisi più accorte e interessanti che circolano nel dibattito attorno a COP21,  ad esempio vari interventi di Naomi Klein di questi ultimi tempi e il manifesto sottoscritto da un centinaio di associazioni canadesi su “l’economia del salto” ( The Leap Manifesto)  mettono al centro l’obiettivo del “ salto di sistema” da parte dei paesi in sviluppo, cioè dell’abbandono da subito dell’era dei fossili e del passaggio diretto alle fonti di energia rinnovabili e sostenibili, con tutte le conseguenze sulle forme di produzione energetica, sui sistemi di trasporto e di mobilità, sui modelli per l’edilizia, gestione dei rifiuti etc... E insieme a queste sviluppando una nuova coscienza dei diritti dei lavoratori, delle tutele sociali, della giustizia ambientale, che non sono più garantiti nel modello che ha prevalso nel mondo negli ultimi decenni. In pratica una transizione ecologica accelerata che in qualche modo i paesi ricchi dovrebbero finanziare e insieme fare propria, per quanto è ancora possibile , rispetto al fallimento, dal punto di vista sociale ed ambientale del modello degli ultimi 40 anni che in molti chiamano neoliberista. 

Per quanto ci riguarda cominciamo bene. Saranno i gufi ma Renzi ultimamente è proprio sfigato. Nei giorni  di COP21 al solito ha infilato alcune trionfanti dichiarazioni sul contributo del nostro paese il cui governo ( cioè lui ) sarebbe all’avanguardia in Europa e nel mondo sui temi in discussione. Magari... purtroppo non è vero. Abbiamo ridotto le emissioni rispetto agli impegni di Kyoto ( è vero, ma negli anni scorsi , non negli ultimi e comunque non secondo l’obiettivo, - 6,5% rispetto al 1990, mancato per almeno un quarto ). Se non ha un sosia è lo stesso Renzi che ha avallato nello Sblocca Italia il permesso di  potenziare al loro limite la portata degli inceneritori esistenti e indicato il progetto di costruirne 12 nuovi ( lasciando allibiti anche i suoi governatori nelle diverse regioni interessate). Malgrado i costi  gestibili delle rinnovabili continuiamo a finanziare i fossili e importare alla grande carbone per la produzione elettrica. Proprio nel mentre Renzi si presentava come noto ambientalista la Cassazione avallava la richiesta di referendum contro le trivellazioni in mare e a terra rilanciate di recente dal governo  e osteggiate anche da 10 Regioni. L’Agenzia europea dell’ambiente (Aea) riconfermava che la pianura padana , fra Torino e Milano, è l’area più inquinata d’Europa in particolare per le polveri sottili, con effetti rilevanti di morti premature.  Il trend delle emissioni in Italia invece sembra stia di nuovo cambiando segno. Una sfiga nel tempismo delle dichiarazioni che farebbe sorridere se non fosse che non c’è niente da ridere.. 

fig.2
La possibilità di avviare una rapida decarbonizzazione dell’intero sistema sociale del pianeta, a differenza di qualche decennio fa, è oggi a portata di mano. Le rese e le tecnologie delle rinnovabili hanno fatto enormi passi avanti e sono spesso diventate competitive malgrado i pesanti tentativi di sottostimarle. Naturalmente ricerca e investimenti appropriati sono ancora necessari per fare ulteriori passi avanti, se si riesce a fermare l’azione di sottile boicottaggio nei loro confronti da parte degli attuali padroni del pianeta. E’ stato recentemente segnalato il significativo caso della IEA  ( l’Agenzia internazionale per l’energia) che dalla fine degli anni ’70  è diventata forse la fonte ufficiale  più considerata sui  dati energetici attuali e sulle previsioni di scenari futuri con il suo rapporto annuale WEO ( World Energy Outlook ). 

Un gruppo di ricercatori tedeschi dell’ Energy Watch Group (Ewg) ha confrontato l’andamento reale negli anni delle fonti rinnovabili e il loro contributo alla produzione energetica totale nel mondo denunciando che le proiezioni dei rapporti annuali WEO degli ultimi 10 anni  sono sempre state costantemente di sottostima delle rinnovabili, e quindi devianti e non attendibili  ( vedi fig.2 ). 

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