(Pechino nei giorni dell'allarme rosso ) |
di Massimo Marino
Nel fine settimana si è
chiuso il mercato del clima di Parigi. Come all’apertura manifestazioni,
commenti di speranza e di delusione, un documento di impegni, o meglio di
dichiarazioni di intenti su cui divergono i giudizi. Dopo i tagli apportati in
13 giorni il documento finale è di 31 pagine dalle 55 della bozza iniziale. I paesi più ricchi si impegnano a
dare ai paesi più poveri 100 miliardi di dollari all’anno ( ma a partire dal 2020
quando formalmente scade il protocollo di Kyoto) per aiutarli a fare fronte ai costi di
interventi atti a contenere le loro emissioni. Come, chi dà e chi riceve, per
fare o non fare che cosa, con quali criteri e con quali strumenti non è dato
sapere.
Singolare che gli stessi
paesi che finanziano le aziende dei fossili ( scisti, carbone, petrolio e gas )
in forma diretta o indiretta con 550 mld di dollari all’anno ( sconti fiscali e all’autotrasporto,
contributi alle introspezioni , finanziamenti alle aziende sia pubbliche che
private, come i noti contributi CIP6 agli impianti di incenerimento, etc..), ma appena un quinto ( circa 100 mld )
per l’intero comparto delle rinnovabili, non si sentano un po’ ridicoli.
Si dichiara che l’obiettivo
è contenere l’aumento della temperatura fra 1,5 e 2 gradi e lì fermarsi fra gli anni 50 e fine secolo (
questo si ritiene l’obiettivo di fondo)
ma non si capisce come, visto che i programmi di impegno presentati da quasi
tutti i 195 paesi si stima portino ad
almeno 3,5 gradi di aumento.
Ci sarà una sessione
di verifica nel 2023 e la revisione degli impegni volontari nel
2025. Appuntamenti troppo lontani nel tempo e già si dice che la COP22 del
prossimo anno, che si svolgerà in Marocco ( Marrakech), rimetterà tutto in
discussione perché il tempo si sta esaurendo.
Tutto fa pensare che non solo il clima si riscalderà nei prossimi anni.
Se non scateniamo
l’inferno, paese per paese , continente per continente, chiedendo fatti e non
parole, forse solo fra 8-10 anni capiremo se a Parigi è successo davvero
qualcosa di nuovo. Qualcosa di nuovo per il pianeta.
L’ impressione è che
qualunque valutazione concreta è oggi
azzardata. Affrettate alcune intonazioni favorevoli sulla Conferenza di
Parigi, inutilmente negative quelle di molti altri . Il vero problema è che se
per un attimo i destini del pianeta sono ritornati all’attenzione del mondo,
cosa esattamente si può dire , fare e proporre perché tutto non ritorni
nell’oblio in poche settimane e si eviti
fra 5-10 anni di scoprire se ci hanno presi in giro? Che fare ? E’ questo il
tema per coloro, individui, movimenti, associazioni, partiti che stanno dalla parte
del pianeta.
Per intanto proviamo a fare
qualche pensierino il più possibile distaccato dalle emozioni ( rabbia,
speranza, indifferenza) sollecitato da una settimana di informazione
superficiale ma dove sono emerse anche alcune buone riflessioni trovate negli
angoli dei media che indichiamo al fondo.
Grado più ... grado meno.
Secondo i gruppi di ricercatori più accreditati se non si fanno interventi
drastici per ridurre le emissioni climalteranti entro pochi anni ( si parla del
2030 cioè già durante le attuali generazioni ) si avrebbe già prima di fine
secolo un aumento della temperatura di
3,5-4 gradi rispetto all’epoca dell’avvio della industrializzazione. Le
generazioni attuali dei 60enni e dei 40enni ne vedrebbero già qualche effetto
pesante, ma quella degli attuali 20enni ne sarebbe coinvolta in pieno. Lo
scenario sarebbe disastroso e non è qui il momento di prenderlo in
considerazione.
Ci si pone quindi
l’obiettivo, seppure molto sfumato, di operare per uscire dalla crisi climatica
per fine secolo, contando sulla progressiva decarbonizzazione delle attività
umane. Si riconosce ormai che le potenzialità delle rinnovabili si sono
manifestate sorprendenti e si tratta di vedere quali opzioni vinceranno in
tempi utili. Nel 2020 scade formalmente il protocollo di Kyoto, il trattato che
venne sottoscritto l’11 dicembre 1997 durante la Conferenza delle parti a Kyoto
(la COP3), ma che si avviò solo nel 2005 quando con la firma della Russia si
raggiunse il 55% dei soggetti statuali del pianeta in termini di emissioni.
All’epoca per la verità Putin sosteneva che qualche grado in più alla Russia
non avrebbe fatto male perché si sarebbe potuto risparmiare il costo di qualche
pelliccia ma oggi sembra proprio che abbia cambiato idea e mostri sincera preoccupazione
(mai disperare...) .
Dopo i tentativi falliti
degli ultimi 10 anni di mantenere gli obiettivi, oggi si è sposata la logica dei contributi
nazionali volontari dei singoli
paesi ( INDC ) senza indicare alcuna sanzione se non la
perdita sottintesa dei contributi. Sono 185 su 195 i paesi che li hanno
definiti e portati a Parigi, alcuni all’ultimo momento per poter partecipare,
magari solo con intenti di boicottaggio. Facendo le somme si è visto però che
anche fossero rispettati tutti gli INDC si è lontani da una soluzione in
qualche modo rassicurante.
Ormai è al centro, per la
prima volta ufficialmente, la
decarbonizzazione nelle attività umane del pianeta, quello che gli
ecologisti indicano da almeno 25 anni ,
e tenendo conto che 0,8 gradi ce
li siamo già mangiati bisogna prevedere scenari improbabili,
con un aumento di 1,5, non di più. Da qui la risoluzione finale di 1,5-2 gradi.
A parole si è riconosciuto
che in effetti questo è l’obiettivo. Allora è il trionfo del punto di vista
degli ecologisti?
Quindi si fermeranno le
circa 1000 centrali a carbone la cui apertura è prevista nei prossimi anni ? Si
chiuderanno, magari gradualmente, quelle in funzione come giudicano
indispensabile numerosi gruppi e scienziati critici ? Quindi si eviterà che
paesi come la Cina che adesso ha meno di 10 auto per 100 abitanti arrivino alle
50 o addirittura 60 (Italia) o 70 (USA) come i paesi occidentali ? Ci sarà
l’impegno a finanziare e allargare reti di trasporto pubblico dedicato (metro)
in tutte le città di media e grande dimensione, la più grande opera di utilità
certa, invece di foraggiare le società
autostradali o perseguire grandi opere di dubbia utilità? Quindi i quasi 600 miliardi all’anno
direttamente o indirettamente assegnati al settore energetico attinente ai
fossili verranno dirottati a investimenti e impianti legati alle rinnovabili, a
partire dall’eolico e dal fotovoltaico elettrico e termico diffondendoli a tutte le latitudini del pianeta? I paesi ricchi si impegneranno a chiudere
l’importazione illegale di legname o a sostituire l’olio di palma che sono
cause principali della deforestazione e della monocultura che riducono ( invece
che aumentare ) i polmoni verdi del pianeta ? Dimezzeremo i 500 inceneritori
europei che termosvalorizzano milioni di tonnellate di materie prime all’anno
recuperabili trasformandole invece in
CO2, polveri sottili e infine ceneri inquinanti per quasi un terzo del loro
peso iniziale? Cercheremo di contenere
la produzione ed il consumo di carni visto che le deiezioni degli allevamenti industriali di bovini e
suini hanno effetti devastanti per la produzione di gas climalteranti ? ( In Italia il consumo di carne sta
scendendo di circa il 10% dagli 80
kg/anno.abitante del 2006 ma la Cina è
passata dai 4 del 1960 ai 58 Kg/a.a del
2012).
Un grado più un grado meno
presuppongono interventi rilevanti e mettono in gioco non miliardi ma migliaia di miliardi di dollari, sfilati o
meno dalle tasche di un centinaio di multinazionali e padroni degli scisti ,
del carbone , del petrolio, del gas, dell’auto, della zootecnia industriale.
Alleati con i fratellini minori delle Società autostradali, dell’edilizia
abitativa di pessima qualità quindi energivora, dell’agricoltura industriale
che trasporta alimenti non necessari da un capo all’altro del pianeta, delle
aziende che gestiscono i termosvalorizzatori, dei responsabili della
deforestazione illegale.
E non dimentichiamo a lato, con qualche difficoltà in più
rispetto agli anni ’70 nel vendere il prodotto come alternativa non inquinante,
le 3 - 4 grandi aziende del nucleare pronte a ripartire alla prima occasione.
Nelle tragiche giornate dell’inquinamento di Pechino, che proprio nei giorni
della COP21 ha dovuto dichiarare
l’allarme a livello rosso per la prima volta nella storia, chiudendo scuole,
uffici e fabbriche per 4 giorni, si è detto dell’intenzione di accelerare la
chiusura di alcuni impianti a carbone, ma meno si è parlato della ipotesi
emersa di costruire in Cina un centinaio di centrali nucleari in aggiunta alle
20 esistenti. Mentre gli impianti per le
rinnovabili si preferisce venderli all’estero.
L’estrazione dagli scisti ( stimati il 20% più inquinanti del petrolio ),
attuata con enormi finanziamenti in USA, ha portato al rilancio dei fossili. Il recente aumento della produzione di barili dell’Arabia Saudita, ha
praticamente demolito l’OPEC , provocato un eccesso di offerta, ridotto i
prezzi e di fatto reso più problematico il rilancio delle rinnovabili.
Come avvoltoi non
disponibili a lasciare la preda aziende
e multinazionali direttamente o indirettamente collegate all’economia dei
fossili sono calate su Parigi e si sono attivamente impegnate ad influenzare i
quasi 10mila delegati dei diversi paesi in contrapposizione alle numerose
azioni ed iniziative dentro e a lato della Conferenza da parte di diverse
associazioni ambientaliste . Singolari alcuni casi come quelli di BNP-Paribas,
nota per il suo sostegno finanziario all’industria del carbone in Sudafrica e
in India e di EDF , la nota società
francese da sempre sponsor del nucleare come “energia pulita” ma meno nota come
gestore di 16 centrali a carbone nel mondo, tra le quali alcune delle più
inquinanti d’Europa. Insieme alla Chevron le due aziende, che erano
incredibilmente fra gli sponsor principali di COP21, hanno ricevuto il “Premio
Pinocchio” dell’anno da alcune associazioni ambientaliste .
E che dire delle aziende
dell’auto che hanno presentato insistentemente a Parigi come soluzione al
traffico le auto elettriche, dimenticando che , se per miracolo se ne dovesse
alimentare 10 milioni in più da domani, si dovrebbero aprire altre centrali a
carbone in Europa ? E che dire della discutibile iniziativa del Comune di
Milano che nei giorni di COP21 ha fatto tappezzare dalla Nissan ( e per 3 anni) la linea viola della metro con la pubblicità
dei suoi modelli di auto elettriche che sarebbero la soluzione al problema dell’inquinamento
della città ?
“ Dicette ‘o prevete: fa’ chello ca dico io ma
nun fa’ chello ca facc’io” . Disse il
prete: fa quello che ti dico ma non fare quello che faccio io. Un vecchio
proverbio con cui si potrebbe sintetizzare
lo scontro fra i paesi poveri ed emergenti e i paesi dell’occidente
europeo ed americano. I primi rifiutano restrizioni ai loro programmi di
sviluppo basati su carbone e petrolio, spesso sulla scarsa attenzione alla
crisi climatica dei loro governanti, ad esempio riproponendo la diffusione
dell’auto ( di solito di pessima qualità) per la mobilità individuale. Insomma
perseguono esattamente e sciaguratamente gli stessi modelli, gli stessi
percorsi, gli stessi interessi che sono stati alla base dello sviluppo dei
paesi occidentali a partire dal dopoguerra. Ed è proprio dagli anni ’60 che si è iniziato a percepire l’avvio degli squilibri climatici, l’aumento
esponenziale delle temperature e della concentrazione di CO2 in atmosfera (
vedi fig.1). Proprio in queste settimane si è annunciato che la concentrazione
di CO2, dalle 300 ppm del periodo precedente alla seconda guerra mondiale ha
per la prima volta sfiorato e superato le 400 ppm. Viene considerato
intollerabile per l’uomo superare le 450 ppm.
fig.1 |
Si sostiene che il 65%
delle emissioni climalteranti ( che comprendono oltre alla CO2, il metano,
l’ossido di azoto e i fluorocarburi) sono attribuibili alle cosiddette economie
emergenti, nome ormai inappropriato se
vi si comprende di fatto anche paesi come India o Brasile e,
oltre a vari paesi africani e asiatici,
anche la stessa Cina. La realtà è relativamente semplice e abbastanza
comprensibile: se questi paesi non cambieranno drasticamente il proprio modello
di sviluppo, in altre parole se non si distaccheranno dal modello occidentale
che di fatto stanno copiando, entro pochi decenni la crisi ambientale assumerà
aspetti tragici e difficilmente si potrà tornare indietro. Abbiamo bisogno di
governanti illuminati,scelti con sistemi politici ed elettorali più
democratici, che pensino al destino dei loro nipoti quando, fra 30 o 60 anni
loro non ci saranno più. Una parte consistente di quelli di oggi, molti
presenti a COP21, sono strettamente legati , a volte dipendenti, a volte finanziati nelle campagne elettorali, dalle multinazionali dei fossili, dell’atomo
e dell’auto.
Le analisi più accorte e
interessanti che circolano nel dibattito attorno a COP21, ad esempio vari interventi di Naomi Klein di
questi ultimi tempi e il manifesto sottoscritto da un centinaio di associazioni
canadesi su “l’economia del salto” ( The Leap Manifesto) mettono al centro l’obiettivo del “ salto di
sistema” da parte dei paesi in sviluppo, cioè dell’abbandono da subito dell’era
dei fossili e del passaggio diretto alle fonti di energia rinnovabili e
sostenibili, con tutte le conseguenze sulle forme di produzione energetica, sui
sistemi di trasporto e di mobilità, sui modelli per l’edilizia, gestione dei
rifiuti etc... E insieme a queste sviluppando una nuova coscienza dei diritti
dei lavoratori, delle tutele sociali, della giustizia ambientale, che non sono
più garantiti nel modello che ha prevalso nel mondo negli ultimi decenni. In
pratica una transizione ecologica accelerata che in qualche modo i paesi ricchi
dovrebbero finanziare e insieme fare propria, per quanto è ancora possibile ,
rispetto al fallimento, dal punto di vista sociale ed ambientale del modello
degli ultimi 40 anni che in molti chiamano neoliberista.
Per quanto ci riguarda
cominciamo bene. Saranno i gufi ma Renzi ultimamente è proprio sfigato. Nei
giorni di COP21 al solito ha infilato
alcune trionfanti dichiarazioni sul contributo del nostro paese il cui governo
( cioè lui ) sarebbe all’avanguardia in Europa e nel mondo sui temi in
discussione. Magari... purtroppo non è vero. Abbiamo ridotto le emissioni
rispetto agli impegni di Kyoto ( è vero, ma negli anni scorsi , non negli
ultimi e comunque non secondo l’obiettivo, - 6,5% rispetto al 1990, mancato per
almeno un quarto ). Se non ha un sosia è lo stesso Renzi che ha avallato nello
Sblocca Italia il permesso di potenziare
al loro limite la portata degli inceneritori esistenti e indicato il progetto
di costruirne 12 nuovi ( lasciando allibiti anche i suoi governatori nelle
diverse regioni interessate). Malgrado i costi
gestibili delle rinnovabili continuiamo a finanziare i fossili e
importare alla grande carbone per la produzione elettrica. Proprio nel mentre
Renzi si presentava come noto ambientalista la Cassazione avallava la richiesta
di referendum contro le trivellazioni in mare e a terra rilanciate di recente
dal governo e osteggiate anche da 10
Regioni. L’Agenzia europea dell’ambiente (Aea) riconfermava che la pianura
padana , fra Torino e Milano, è l’area più inquinata d’Europa in particolare
per le polveri sottili, con effetti rilevanti di morti premature. Il trend delle emissioni in Italia invece
sembra stia di nuovo cambiando segno. Una sfiga nel tempismo delle
dichiarazioni che farebbe sorridere se non fosse che non c’è niente da ridere..
fig.2 |
Un gruppo di ricercatori tedeschi dell’ Energy Watch Group (Ewg) ha confrontato l’andamento reale negli anni delle fonti rinnovabili e il loro contributo alla produzione energetica totale nel mondo denunciando che le proiezioni dei rapporti annuali WEO degli ultimi 10 anni sono sempre state costantemente di sottostima delle rinnovabili, e quindi devianti e non attendibili ( vedi fig.2 ).
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