2 maggio 2025

Amianto: La strage infinita della fibra serial killer - Nella fabbrica dei treni dove 350 operai hanno perso la vita per un mesotelioma

 Inquinamento L’amianto non smette di uccidere, miete vittime nonostante sia stato messo al bando: 200mila nel mondo. In Ue il caso Italia: «7mila morti in un anno»

di Mauro Ravarino *

La bonifica va a rilento e di amianto si continua a morire. L’Osservatorio nazionale amianto (Ona) ha calcolato 7 mila morti in Italia lo scorso anno per malattie amianto correlate (60 mila in 10 anni). E sarebbero 200 mila l’anno quelle in tutto il mondo, secondo le stime di Oms e Ilo (Organizzazione internazionale del lavoro): un dato, però, sottostimato perché non tutti i Paesi sono virtuosi nel registrarle, soprattutto quelli che ancora lo lavorano e commercializzano.

«SONO NUMERI che non appartengono al passato. Sono volti, storie, famiglie spezzate oggi – sottolinea Ezio Bonanni, presidente dell’Ona, evidenziando l’attualità di un’emergenza ambientale e sanitaria – molti non sapevano, altri sono stati ignorati. Troppi sono stati sacrificati nel nome del profitto. Non è più ammissibile che ci governi la lobby dei produttori del minerale killer e che le bonifiche vadano a rilento, nonostante la chiara presa d’atto di tutte le istituzioni. Il bando globale dell’amianto che semina morte resta ancora una utopia».

L’ITALIA HA IL TRISTE RECORD EUROPEO per decessi da mesotelioma, davanti a Germania e Francia. È considerato il tumore dell’amianto per eccellenza, colpisce soprattutto la pleura e ha un indice di mortalità molto alto (93%). L’Istituto Superiore di Sanità nel recente rapporto Istisan sull’impatto dell’amianto sulla mortalità in Italia ha stimato che, tra il 2010 e il 2020, ogni anno sono decedute per mesotelioma in media 1.545 persone, 1.116 uomini e 429 donne. Dei decessi osservati ogni anno, 25 (l’1,7%) avevano un’età uguale o inferiore ai 50 anni. Il rapporto, pubblicato dall’Iss lo scorso ottobre, riporta infatti una diminuzione del numero dei decessi per mesotelioma tra gli under 50.

UN ASPETTO, REGISTRATO NEGLI ULTIMI anni, che potrebbe rappresentare – vista anche la lunga latenza della malattia (circa 40 anni) – un primo effetto positivo della legge 257/92 con la quale l’Italia vietò l’utilizzo dell’amianto e la produzione di manufatti contenenti amianto. Ma è forse ancora presto per dirlo e non si può certo abbassare la guardia: «Il problema amianto rimane tra le priorità di sanità pubblica», ha affermato il presidente dell’Iss Rocco Bellantone. Le regioni Piemonte, Lombardia, Valle d’Aosta e Liguria presentano un numero di decessi per 100 mila abitanti maggiore della media nazionale, ma i casi sono distribuiti sull’intero territorio italiano.

LUNEDÌ 28 APRILE È STATA CELEBRATA la Giornata mondiale delle vittime dell’amianto, istituita nel 2025 in concomitanza con la Giornata mondiale per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro. Nonostante l’Italia lo abbia messo al bando 33 anni fa (primo tra i Paesi europei), «l’amianto non ha ancora messo al bando l’Italia», precisa Bonanni. «Questa giornata – aggiunge il presidente dell’Ona – non è solo memoria. È un grido, un richiamo alla responsabilità, alla bonifica, alla giustizia per le vittime e alla tutela di chi oggi vive, lavora, studia in luoghi contaminati. In questa giornata, ricordiamo i caduti invisibili dell’amianto. E riaffermiamo un impegno: mai più profitto sulla pelle delle persone. Mai più silenzio, mai più vittime».

CI SONO LEGGI IN GRAN PARTE inattuate, quella storica del 1992 già contemplava la bonifica, ma anche quella sulla mappatura completa del territorio italiano, la legge 93 del 2001, sosteneva che le regioni avevano l’obbligo di coordinarsi con il Ministero dell’Ambiente. Ci sono regioni in linea con le richieste sia a Nord che a Sud, ma ad esempio la Lombardia non invia dati dal 2014. E anche per questo la mappa risulta ancora incompleta. In base ai dati riportati dal Ministero risultano, censiti al 31 dicembre 2023, 155 mila siti circa interessati dalla presenza di amianto. Lo stato delle bonifiche dei siti di origine antropica registra, invece, 16.500 siti bonificati e 1.700 parzialmente bonificati. Finché non si completerà la bonifica non cesserà il rischio d’esposizione.

IN ITALIA SONO PRESENTI 40 MILIONI di tonnellate di amianto all’interno di un milione di siti e micrositi, di cui 50 mila industriali e 42 di interesse nazionale. «La situazione è ancora più drammatica – precisa l’Ona – in quanto il pericoloso cancerogeno è presente anche negli edifici di 2.500 scuole (stima 2023), all’interno delle quali sono esposti più di 352 mila alunni e 50 mila lavoratori, tra personale docente e non. Ancora 1.500 biblioteche ed edifici culturali compresi e almeno 500 ospedali (stima per difetto perché la mappatura dell’Ona è ancora in corso) hanno componenti in amianto nelle strutture e negli impianti tecnici, in particolare termici, elettrici e termoidraulici».

IL MAGNATE SEPHAN SCHMIDHEINY dell’Eternit chiuse per fallimento nel 1986 lasciando dietro di sé una scia di veleni. Il 17 aprile la Corte di assise d’appello di Torino, nel filone del processo riguardante i morti di Casale Monferrato, lo ha condannato a 9 anni e 6 mesi di reclusione per omicidio colposo riducendo la pena di primo grado, inflittagli nel giugno del 2023 a Novara, di 12 anni di carcere.

IL PROCEDIMENTO RIGUARDAVA inizialmente la morte di 392 persone, di cui 62 lavoratori e 330 cittadini che non avevano mai messo piede nella fabbrica della morte. Al netto di prescrizioni e assoluzioni, è stato condannato in secondo grado per 91 morti. Un nuovo capitolo si giocherà in Cassazione, dove aleggia per l’ennesima volta la scure della prescrizione. Sono comunque numeri insufficienti a spiegare una strage continua perché a Casale si è continuato a morire: sono 414 i morti di mesotelioma nella cittadina piemontese dal 2017, quando fu chiusa l’indagine relativa all’Eternit bis. Tutti morti che sono fuori dal processo e di cui il movimento contro l’amianto chiederà conto.

AL PROPOSITO, DOMENICA A CAVAGNOLO – piccolo comune torinese dove c’era un sito Eternit – sono stati insigniti della cittadinanza onoraria il magistrato Raffaele Guariniello, i sindacalisti e attivisti Bruno Pesce e Nicola Pondrano e alla memoria Romana Blasotti Pavesi, morta lo scorso settembre dopo una vita dedicata alla lotta all’amianto. Tutti protagonisti di una lunga battaglia che chiede ancora giustizia.

nella foto:  Sacchi di rifiuti speciali contaminati da amianto 

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Nella fabbrica dei treni dove 350 operai hanno perso la vita per un mesotelioma

Bologna Dietro il muro di cinta che dalla stazione di Bologna arriva in via Saffi ci sono 20 mila metri quadri di capannoni che fino al 2018 hanno ospitato la Ogr

 di Giuditta Pellegrini *

Il lungo muro di cinta che dalla stazione centrale di Bologna arriva fino a via Saffi, nei pressi dell’Ospedale Maggiore, continua a celare i 20.000 metri quadri di capannoni che hanno ospitato fino al 2018 l’Officina Grandi Riparazioni, OGR. «Una città nella città», ricordano i suoi ex lavoratori, in cui oltre mille operai specializzati erano impiegati in tutte le fasi della ricostruzione dei treni delle Ferrovie dello Stato e che furono protagonisti, a partire dagli anni ‘70, di una delle vertenze più impegnative e tragiche dei nostri tempi: quella per un lavoro libero dall’amianto.

CIRCA 13 ETTARI DI STRUTTURA sono stati classificati tra i SIN (siti di interesse nazionale) del nostro paese, in attesa di bonifica per rischio sanitario e ambientale a causa della massiccia presenza della fibra letale. Dal suo ingresso sulla scena industriale negli anni ‘50, l’amianto, grazie alla sua capacità ignifuga, era utilizzato nelle coibentazioni dei vagoni e quando questi si deterioravano arrivavano all’OGR per essere interamente ricostruiti. «Su ogni macchina c’erano da 250 a 300 kg di amianto» racconta Antonio Matteo, occupato all’OGR dal 1970 al 2002, uno dei protagonisti della battaglia all’interno dell’azienda: «Andava smontato tutto l’arredamento interno, i pannelli del soffitto, delle pareti, i pavimenti, rimaneva la lamiera e nient’altro. All’inizio l’amianto sembrava un sogno perché era facile da togliere quando lo raschiavi, lo mettevamo nei sacchi e poi spazzavamo via la polvere con la ramazza».

MA L’ENTUSIASMO PER IL MATERIALE dai molteplici impieghi nell’officina si spense quando si iniziarono a contare i decessi, complice un capannone senza divisioni, dove la polvere che scaturiva dalla rimozione a secco dei pannelli in fibra poteva propagarsi senza ostacoli nell’intera area produttiva e tra i suoi circa 700 lavoratori.

SONO 350 LE PERSONE DELL’OFFICINA che hanno perso ad oggi la vita dopo aver contratto il mesotelioma maligno. «Un tumore raro ma di grande interesse scientifico per la ben documentata correlazione con un’esposizione professionale e/o ambientale ad amianto», si legge nell’ultimo report del Centro Operativo Regionale (COR) del Registro Nazionale dei Mesoteliomi (RENAM), che monitorizza la malattia come «evento sentinella» delle esposizioni.

NEL 2024 IL CENTRO HA REGISTRATO 121 nuovi casi di mesoteliomi da esposizione pregressa all’asbesto solo in Emilia Romagna, in cui ad oggi risultano archiviati 3.650 casi dalla messa al bando dell’amianto, nel 1994. Il problema è che per questa «malattia temibile con sopravvivenza alquanto ridotta – come ricorda il report – «l’insorgenza si manifesta, in genere, dopo oltre 40 anni». I dati sottolineano come nell’88,1% dei casi l’origine dell’esposizione sia ricondotta ad attività professionali mentre il restante ad esposizione ambientale o alla convivenza dei soggetti con altri professionalmente esposti, è il caso di molte donne.

LE STESSE PERCENTUALI SI RIFLETTONO a livello nazionale: secondo il Rapporto Istisan dell’Istituto Superiore di Sanità, tra il 2010 e il 2020 ogni anno in Italia sono decedute per mesotelioma in media 1.545 persone. Pur nella diminuzione del numero dei decessi tra gli under 50 come primo effetto della legge 257/92, l’eventuale trend discendente è ancora da verificare nel tempo, e al momento per l’ISS «l’amianto rimane una priorità di sanità pubblica».

FU ANCHE GRAZIE ALLA NASCITA del Servizio Sanitario Nazionale, nel 1978, che i lavoratori hanno iniziato a rendersi conto del pericolo a cui erano esposti e a Bologna, aiutati anche dai primi medici del lavoro, hanno intrapreso un lungo percorso perché le attività avvenissero in modalità più sicura. «Nel ’79 abbiamo preso in mano la situazione. Inducemmo l’azienda a costruire dei binari protetti in cui si lavorava 6 ore al giorno e al massimo per 2 turni all’anno», racconta ancora Matteo, non senza un certo orgoglio nel ricordare la messa a punto da parte degli operai di un percorso di protezione che l’Enea, nel 2002, ha riconosciuto come protocollo generale di sicurezza da adottare nel lavoro delle coibentazioni.

«LE MORTI PER GLI EFFETTTI DELL’AMIANTO, che le aziende hanno provato a minimizzare e a nascondere, pagano il prezzo della logica del profitto», ci dice Milco Cassani, presidente dell’Associazione Famigliari e Vittime dell’Amianto (AfeVa) dell’Emilia Romagna: «La vicenda dell’OGR, nella sua drammaticità, è anche la storia di una grande vertenza sindacale che i lavoratori, dopo aver scoperto che cominciavano a morire, sono riusciti a portare avanti per mantenere le attività produttive rischiose sfruttando le loro competenze e il fatto di lavorare per un grande gruppo, piuttosto che esternalizzarle a piccole realtà produttive dove gli operai sarebbero stati meno protetti». AfeVa ER si è costituita nel 2014 a seguito della vicenda OGR e non solo, in sostegno dei lavoratori e dei famigliari che continuano ad essere colpiti. L’associazione ha ricordato più volte come l’amianto sia ancora presente in moltissimi edifici, nelle tubature, all’interno dei muri e la sua mappatura sempre più difficile.

COME HA DENUNCIATO ANCHE LEGAMBIENTE in un’inchiesta, «oggi appena il 25% della fibra killer è stato rimosso e a questi ritmi per liberarsene serviranno altri 75 anni, cui sommare ulteriori 40 anni di latenza del mesotelioma. Da Nord a Sud, del resto, le bonifiche vanno a rilento sia per quanto riguarda i grandi siti industriali dell’amianto che per gli edifici pubblici e privati che espongono spesso inconsapevolmente le persone a questa pericolosa fibra».

COLLEGARE QUELLA STORIA EMBLEMATICA ai nostri giorni è quindi importante ed è il motivo per cui AfeVa ER e le RSU che hanno raccolto quell’eredità di lotta nell’attuale costola dell’officina di Bologna (oggi denominata Officina Manutenzione Ciclica, OMC) chiedono che venga istituito un museo dell’OGR nei locali originari in via Casarini, 25. E’ li davanti che lunedì scorso lavoratori, pensionati, associazioni, AfeVa e istituzioni si sono ritrovati per una momento di commemorazione e rivendicazione nella giornata mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro e le vittime dell’amianto.

nella foto: L'ex Ogr di Bologna

* da Il manifesto – 1 maggio 2025

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