14 giugno 2020

Emergenza civili nel Sahel per la guerra dei tanti eserciti


Punto di rottura. Violenze in aumento dopo l’uccisione del capo jihadista Droukdal da parte dei francesi. In Mali cresce il malcontento, in Burkina Faso gli sfollati interni




Dopo l’uccisione del leader di al Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi), l’algerino Abdelmalek Droukdal, da parte di militari francesi lo scorso 3 giugno, la situazione per la popolazione del Sahel è sempre più di sofferenza.

I CIVILI SONO OGGETTO di attacchi continui da parte di gruppi jihadisti e di militari degli eserciti dei tre Paesi più esposti – Mali, Niger, Burkina Faso. Vi sono quindi persone che sono state sfollate più volte: sono scappate in Niger dal Burkina Faso, poi hanno subito attacchi e sono dovute nuovamente fuggire. Il problema è particolarmente rilevante nell’area di Liptako-Gourma: il triangolo di confine dove convergono Burkina Faso, Mali e Niger. Nell’ultimo attacco al villaggio di Binedama nella regione di Mopti in Mali, il 5 giugno, sono stati uccisi 26 civili. Quella del Sahel è una delle crisi a maggiore intensità di crescita nel mondo. In Burkina Faso, in particolare, il numero di sfollati interni è passato, secondo Unhcr, da 560.000 all’inizio di febbraio a 848.000 alla fine di aprile: 288.000 persone in soli tre mesi. Il conflitto coinvolge gli eserciti di almeno tre Paesi, una molteplicità di gruppi jihadisti che sono una sorta di franchising dei due brand che agiscono nell’area: Al Qaeda e Isis. Amnesty International ha documentato tra febbraio e aprile di quest’anno 199 esecuzioni extragiudiziali in Mali, Burkina e Niger da parte dei vari eserciti saheliani che si sono macchiati di crimini e abusi molto gravi nei confronti dei civili, come dimostrano anche diversi report delle Nazioni unite, il cui effetto è di favorire ulteriormente il reclutamento dei gruppi jihadisti.

IN QUESTO PERIODO c’è anche un conflitto legato a dinamiche locali, che oppone gruppi dell’Isis contro gruppi di al Qaeda questo anche in conseguenza della politica del Mali che ha cercato il dialogo con i movimenti filo al Qaeda rafforzando per contro l’azione militare contro quelli vicini all’Isis. Il presidente Ibrahim Boubacar Keita è oggetto di crescenti contestazioni, sfociate la settimana scorsa in una grande manifestazione a Bamako. Ed è probabile che Abdelmalek Droukdal abbia lasciato il suo rifugio algerino proprio per andare a mediare il conflitto interno in Mali.

NELL’AREA SAHELIANA sono attivi i militari francesi, varie missioni internazionali e gli statunitensi di Africom, ma incidono significativamente più sul livello di tensione che sul controllo del territorio. Secondo Denis Tull, esperto di Africa occidentale dell’Istituto di ricerche strategiche di Parigi (Irsem) la morte di Droukdal non avrà effetti importanti perché i gruppi jihadisti hanno sempre dimostrato di essere indipendenti dai leader e la loro uccisione ha lo stesso effetto che si ha quando si tira un calcio ad un formicaio. Negli anni poi si è verificato, secondo Camillo Casola dell’Ispi un processo di africanizzazione del jihad saheliano, la cui leadership storicamente straniera (algerina, mauritana) è stata sostituita da maliani.

SECONDO UNHCR siamo vicini a un punto di rottura per le popolazioni locali. Il presidente dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati Filippo Grandi, ha lanciato un appello perché sia possibile fornire assistenza adeguata, accoglienza e protezione alle popolazioni sfollate nel Sahel (3 milioni di persone): un programma per complessivi 186 milioni di dollari che include anche le dotazioni per prevenire e affrontare il Covid-19. In questo contesto cresce l’apprensione per gli ostaggi (una decina), inclusi i nostri connazionali P. Luigi Maccalli e Nicola Chiacco.

* da il manifesto 14 giugno 2020

nella foto: Bamako, 5 giugno, la piazza chiede le dimissioni del presidente Ibrahim Boubacar Keita

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