14 gennaio 2020

Tre mesi all’ora X: la saga di Matteo e la memoria storica degli ultimi 50 anni


Con Tre mesi all’ora X esce la seconda parte (di tre previste) della Saga di Matteo, un tentativo azzardato da parte mia di lasciare, sotto forma di racconto, una traccia di memoria storica, specie per le generazioni più recenti, che permetta una lettura ragionata e annodi i fili necessari per capire gli ultimi 50 anni della vicenda italiana e non solo. Attraverso alcuni personaggi che nei tre brevi racconti incontriamo nel 1968 e ritroviamo alla fine del 1999 e praticamente ai giorni nostri nel 2018, cerco di rappresentare le ragioni, i successi e le sconfitte di una generazione, più o meno nata nei due decenni successivi agli anni ’40, dopo la fine della Seconda guerra mondiale. 

Sembra paradossale, ma sui 50 anni che sono passati dal ’68 ad oggi, davvero densi di storia e di sommovimenti, sono davvero pochi i tentativi di articolare una razionale lettura di parte, invece per lo più fatta da chi questa storia intende deformare e cancellare più che comprendere.   

Lentamente, silenziosamente, la generazione che ha vissuto il '68, nata nei primi anni dopo la fine della guerra, esce di scena. È già uscita dalle fabbriche, dagli uffici, dalle scuole e dalle università, dai ministeri, dagli enti pubblici e dalle forze armate. È invece ancora attiva una guerra psicologica, parte della guerra civile a bassa intensità in corso negli ultimi anni, condotta anche sui media, che tenta di affermare che le lotte e le conquiste di quell’epoca furono una aberrante anomalia e che nessun cambiamento radicale della società italiana verrà mai consentito. È quindi più che mai in atto il tentativo di rendere impossibile qualunque percorso riformatore della società italiana. Bisogna invece rottamare un’epoca di irresponsabili diritti collettivi per tornare, finalmente, alla ragione: chi ha il potere e i soldi, chi è capace di corrompere, di fare il burattinaio nella società, è di fatto intoccabile. Gli altri devono competere fra loro, essere responsabili, flessibili nella loro sostanziale precarietà sociale e soprattutto non avere memoria del passato né preoccupazione per il futuro.
Di quegli anni si vuol far credere che furono solo la premessa della stagione del terrorismo, nascondendo lo scenario sociale miserabile dell'Italia del dopoguerra, quello della DC delle mille clientele, quello delle stragi fasciste, dei patti inconfessabili con le mafie, della devastazione del territorio e dell'ambiente: dall'Acna all'Ilva, dall’amianto di Casale alla ThyssenKrupp, dalla Terra dei fuochi alle Ecoballe bassoliniane. Chi mai ricorda oggi che falsificando le previsioni dei fabbisogni energetici si è tentato di avviare nel nostro paese la costruzione di 62 centrali nucleari? che la subalternità di tutti i partiti, senza esclusioni, ai padroni dell’automobile ha totalmente bloccato lo sviluppo di reti di mobilità pubbliche e collettive adeguate alla richiesta ed efficienti e che siamo quindi l’unico paese dell’Europa che non ha una rete di metro indispensabile da decenni nelle grandi e medie città? Che abbiamo regalato la redditizia rete autostradale alle privatizzazioni che ne incassano i guadagni e scaricano sullo Stato la mancata manutenzione? 

Se si esclude la breve fase della Costituente, con la quale si immaginò di costruire l'Italia repubblicana post fascista,  l'unico periodo che vide nel nostro paese una significativa primavera riformatrice (dallo statuto dei lavoratori  alla riforma sanitaria per tutti, dal superamento degli ospedali psichiatrici alla sconfitta degli aborti clandestini, dall'obiezione di coscienza ed il  servizio civile per i giovani ad una maggiore laicità delle strutture statali, dalla legge sul divorzio alla soppressione del delitto d'onore, dalla riforma penitenziaria  a limitate forme di rappresentanza sindacale nella polizia e nelle forze armate, fino alla nascita di organi associativi democratici dei magistrati, nella psichiatria, nei giornalisti), fu quello degli anni immediatamente successivi al '68. Non tutto durò o finì con il tempo nella direzione giusta ma tutto fu il prodotto, per molti inconsapevole, delle lotte operaie e giovanili di quegli anni.


Quanti, soprattutto da un recupero di memoria storica dei decenni trascorsi, sono in grado di trarre utili riflessioni per valutare avvenimenti, protagonisti, conflitti di oggi e non ricadere negli stessi errori e nelle stesse trappole? I movimenti sociali del '68 non furono, come è noto ad alcuni, un fenomeno italiano, neppure solo europeo e neppure furono, nella fase nascente, un movimento prevalentemente ''di sinistra'' nella accezione tradizionale del termine all'epoca dei fatti.

Nella fase nascente e dirompente fu un fenomeno con connotazioni antiautoritarie, per la diffusione della democrazia dal basso, per i diritti del lavoro, per maggiori libertà collettive e individuali. E comunque fu un fenomeno nei fatti radicalmente riformatore.


Quando alla fine del 2008, anno del quarantennio, decisi di scrivere, con qualche concessione autobiografica, il primo episodio della saga, 68 volte ti amo, con l'idea di tentare una lettura meno banale degli avvenimenti non solo italiani del 1968, non mi resi conto da subito in che impegno mi stavo cacciando. Il dilagare di movimenti con una comune matrice antiautoritaria e per vari aspetti radicalmente antisistema, in decine di latitudini del pianeta  contemporaneamente, in un’ epoca dove non c'era internet né i cellulari, neppure una parabola satellitare tv, è oggi, ben più di allora, una sorprendente novità che fa riflettere, specie per la contiguità e correlazione con quanto è avvenuto nei decenni successivi e avviene oggi in varie aree del mondo, con in aggiunta che alle rivolte antiautoritarie e anticorruzione si è affiancata l’attivazione delle generazioni dei giovanissimi, che io chiamo generazione cento, sulla crisi climatica che con evidenza avanza a velocità maggiore del previsto.   



Alcune tesi di un quadro di ricomposizione storica dei limiti che dal passato influenzano e continuano a condizionare i movimenti riformatori e/o antisistema di oggi possono però essere accennate brevemente.


-      La frammentazione e la soggezione ideologica a schemi culturali del passato. Non c'è un solo paese europeo che abbia avuto negli ultimi 40 anni un panorama così ricco, come l'Italia,  di movimenti radicali, di mobilitazioni sociali, di aspre battaglie, fino alla vittoria di vari referendum ( fra i quali ben due attinenti alle scelte energetiche del paese, novità assoluta nel mondo) e che contemporaneamente abbia avuto una così desolante, inconsistente  pletora di partitini e leaderini di più o meno vera opposizione oppure, nel caso del M5Stelle, emerso con successo  rapidamente in pochi anni, una così preoccupante fragilità organizzativa, una così esile formazione culturale, che lo sta pericolosamente avvicinando alla dissoluzione causa Aggressione ed Autodistruzione.

-   -  La mancanza di percorsi di aggregazione e di scomposizione dei blocchi sociali consolidati. La illusoria valenza che si dà alla azione avanguardista, al di là della valutazione politica, è espressione di una palese ingenuità ben intrecciata con una buona dose di egocentrismo più o meno giovanile e comunque di immaturità. Quanti movimenti, quante manifestazioni, quanti obiettivi si sono spenti nel nulla. Nel piano istituzionale è assente qualunque vocazione coraggiosa alla aggregazione di forze simili ( solve et coagula), alla fiducia nel confronto, che lima differenze superabili e rafforza l'appeal delle proposte, educa alla mediazione costruttiva e disinteressata (che è l'opposto dei compromessi deteriori e del trasformismo), unisce tutto quello che è possibile unire e crea disgregazione nei fronti opposti. L'aspirazione all'aggregazione sociale è praticamente assente, dal dopo '68 ed è ancora tale fino ad oggi, estranea a leaderini e partitini (con l'eccezione forse di Alex Langer prematuramente scomparso), mentre tutti i leader e leaderini, partiti e partitini vorrebbero rappresentare quell'ampio fronte di forze sociali che richiedono un cambiamento radicale. Per non parlare dei partiti del capo che non prevedono leadership plurali al loro interno. Qui l'elenco sarebbe lunghissimo e non finisce con Bertinotti, Pecoraro o Di Pietro; oggi lo stesso Grillo sembra avviato, o comunque incastrato, nella stessa trappola mortale.

-    - La vocazione a vedere la presenza elettorale come unico terreno di gara eludendo l'ipotesi di costruzione parallela di altro potere in basso attraverso forme di società e di comunità alternativa stabile. Pochi esempi virtuosi in passato nelle case del popolo, il mutuo soccorso, l'autogestione.

In 68 volte ti amo Matteo e le quattro donne, Valentina, Marta, Giulia e Suor Angela, hanno molti aspetti in comune fra loro ma le loro storie tendono progressivamente a divaricarsi prendendo direzioni diverse nell’infuocato e tormentato clima di quell’epoca.

Suor Angela parte per l’America Latina dove anche il clero è coinvolto dall’ondata popolare di ribellione sociale antiautoritaria. Giulia, immigrata dal sud in una fabbrica del nord e divenuta operaia combattiva, si ammala a causa delle condizioni ambientali del lavoro in cui è quotidianamente impegnata. Marta da giovane liceale militante nel movimento degli studenti viene sfiorata dai germi dell’estremismo che porteranno anche alla tragedia del terrorismo, dilagato nelle viscere della società italiana fra la seconda metà degli anni 70 e la prima metà degli anni ’80. Valentina porta avanti la scelta della ricerca di alternative sul piano individuale che la porterà in India dove in un vicolo di Bombay la sua vita avrà una inaspettata svolta. Matteo, che a volte appare quasi come una figura staccata dagli avvenimenti che lo circondano, mantiene il suo ruolo lavorativo di ricercatore e contemporaneamente assume un ruolo di attivo impegno sul terreno sociale e ambientale.

È proprio in questa dirompente contraddizione fra la apparente comunanza di sensibilità e di volontà di cambiamento dei protagonisti, nei fatti anche potenzialmente uniti dalla comune appartenenza generazionale e invece la loro progressiva tendenza a prendere strade diverse e mai ad incontrarsi, che va letto il senso del racconto. In questo modo essi perdono qualunque possibilità di incidere collettivamente sulla realtà sociale e inevitabilmente si relegano ai suoi margini.  

In Tre mesi all’ora X, appena pubblicato a fine anno 2019, che si svolge negli ultimi tre mesi del 1999, ai personaggi sopravvissuti, Matteo, Valentina e Marta si aggiungono nuove figure della generazione successiva: Hope, la figlia adottata di Valentina, Teresa, una giovane ricercatrice che si rivela attenta e gradevole compagna di viaggio in giro per Mosca, Angelica, che sceglie di abbandonare la propria carriera di ingegnere nucleare e si reca in Germania. Infine, Lara figlia di Vincenzo e anche lei creativa musicista, che si trova ad essere travolta dalle giornate eccezionali della caduta del muro a Berlino. Personaggi vecchi e nuovi sono coinvolti dai cambiamenti storici, seguenti al superamento della guerra fredda fra Est e Ovest dell’Europa, che segnano la fine del bipolarismo ma non portano ad una nuova epoca di pace. Attraverso frequenti rimandi indietro agli ultimi decenni vengono anche rivissuti momenti delicati, che non si possono facilmente cancellare, del nostro passato: Il terrorismo italiano degli anni ’70-’80 che ha paralizzato e forse rallentato e reso più difficile una conversione riformista della società italiana. La pericolosa avventura e la crisi della scelta nucleare, questione ancora aperta a distanza di decenni. L’avvento dei movimenti no-global e il riaffacciarsi di nuove forme di nazionalismo e di fondamentalismo estremista nel mondo. 

Nel terzo libro, Generazione Cento, che dovrebbe uscire nel 2021, si aggiungerà lo scenario della crisi ambientale crescente e dalle nuove spirali di odio dei nuovi nazionalismi emergenti, che potrebbero condizionare l’intero nuovo secolo in corso. 

Massimo Marino                                                                             gennaio 2020

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