29 dicembre 2019

Decreto Clima, doveva essere il pilastro del Green new deal. Ma di concreto non c’è niente


di Gianfranco Amendola *


Ci aspetta un 2020 così verde che più verde non si può. La migliore conferma, come apprendiamo dai comunicati del Ministero dell’Ambiente, viene dal “decreto clima” che è appena diventato legge. Un’apoteosi per il ministro “che ha fortemente voluto questa norma per rendere più efficace l’azione di contrasto ai cambiamenti climatici”, riuscendo a far passare “misure urgenti, positive e concrete in tutti i settori considerati vulnerabili ai cambiamenti climatici: acqua, agricoltura, biodiversità, costruzioni ed infrastrutture, energia, preven­zione dei rischi industriali rilevanti, salute umana, suolo ed usi correlati, trasporti”. Insomma, per dirla tutta con legittimo orgoglio, “il primo pilastro del Green New Deal”.



E, infatti, se lo andiamo a leggere vediamo che esordisce subito con “misure urgenti per la definizione di una politica strategica nazionale per il contrasto ai cambiamenti climatici e il miglioramento della qualità dell’aria”. Solo che, per adesso, queste misure non ci sono perché dovranno essere stabilite entro 90 giorni con “decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare, sentiti il ministro della Salute e gli altri ministri interessati, nonché sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano”, che stanzierà anche “le risorse economiche disponibili a legislazione vigente per ciascuna misura con la relativa tempistica attuativa”.

Così come, anche per avere “campagne di informazione e formazione ambientale nelle scuole” dovremo aspettare le proposte che verranno dalle scuole sulla base di un regolamento interministeriale che dovrà determinare “i criteri di presentazione e di selezione dei progetti nonché le modalità di ripartizione e assegnazione del finanziamento” di 2 milioni per i prossimi tre anni.


Per fortuna che, invece, non dobbiamo aspettare per avere un auspicabile “coordinamento delle politiche pubbliche per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile”, che si ottiene in un modo semplicissimo e geniale: dal 1° gennaio 2021 il Comitato interministeriale per la programmazione economica cambierà nome e si chiamerà Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (Cipess): insomma dal Cipe al Cipess.

Seguono diverse iniziative “sperimentali” con finanziamenti, appunto, sperimentali: in primo luogo “misure per incentivare la mobilità sostenibile nelle aree metropolitane”: e cioè, nei limiti delle risorse disponibili, un buono mobilità fino a 1500 euro per la rottamazione dell’auto sino alla classe euro 3 e fino a 500 euro per i motocicli sino agli euro 2 e 3 a due tempi; che però deve essere utilizzato “entro i successivi tre anni, per l’acquisto, anche a favore di persone conviventi, di abbonamenti al trasporto pubblico locale e regionale nonché di biciclette anche a pedalata assistita o per l’utilizzo dei servizi di mobilità condivisa a uso individuale”. Infatti, se pure non ce ne eravamo accorti, l’Italia inquinata è piena di gente che aspettava questo cospicuo contributo per liberarsi della vecchia auto inquinante e servirsi finalmente del servizio pubblico; oppure per comprarsi una bella bicicletta a pedalata assistita senza correre il rischio di intossicarsi per le strade, visto che – grazie all’effetto del bonus mobilità – lo smog scomparirà da un giorno all’altro.


E poi si stanziano 20 milioni per i prossimi due anni da destinare ai Comuni per progetti sperimentali per la “promozione del trasporto scolastico sostenibile con mezzi ibridi o elettrici” nelle città sottoposte a procedure di infrazione per lo smog, visto che evidentemente gli scuolabus oggi esistenti sono i maggiori responsabili.

E poi c’è il programma sperimentale per la “messa a dimora di alberi, di reimpianto e di silvicoltura, e per la creazione di foreste urbane e periurbane, nelle città metropolitane, la piantumazione e il reimpianto di alberi, di silvicoltura, creazione di foreste urbane e periurbane nelle città metropolitane” che, con 15 milioni complessivi l’anno ci insegnerà come avere delle foreste urbane e periurbane nelle città metropolitane.

E ci sarà anche un decreto del Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali che ci farà capire come sarà possibile, “contrastare il dissesto idrogeologico nelle aree interne e marginali del Paese”, con un fondo di 1 milione per il 2020 e 2 milioni per il 2021.

E intanto si inventano nuove sigle ecologiche: il territorio di ciascuno dei parchi nazionali diventa una Zea (zona economica ambientale) dove si darà sostegno a imprese ecocompatibili con risorse che dovranno essere ricavate come “una quota dei proventi delle aste di competenza del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare per gli anni 2020, 2021 e 2022”.


Arriva Italia Verde, un premio per le città che presenteranno un “dossier di candidatura che raccoglie progetti cantierabili volti a incrementare la sostenibilità delle attività urbane, migliorare la qualità dell’aria e della salute pubblica, promuovere la mobilità sostenibile e l’economia circolare, con l’obiettivo di favorire la transizione ecologica”.

Arriva il programma, sempre sperimentale, Mangiaplastica con 27 milioni complessivi per cinque anni a quei Comuni che vorranno installare ecocompattatori “al fine di contenere la produzione di rifiuti in plastica… nel limite di uno per Comune ovvero di uno ogni 100.000 abitanti”.

Né potevano mancare i caschi verdi per l’ambiente, un programma sperimentale “con lo scopo di realizzare, d’intesa con il Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, iniziative di collaborazione internazionale volte alla tutela e salvaguardia ambientale delle aree nazionali protette e delle altre aree riconosciute in ambito internazionale per il particolare pregio naturalistico, anche rientranti nelle riserve di cui al programma “L’uomo e la biosfera” – Mab dell’Unesco, e di contrastare gli effetti derivanti dai cambiamenti climatici”. Tutto con la modica spesa di 6 milioni per i prossimi 3 anni.


Dulcis in fundo, per combattere i cambiamenti climatici, si stanzia un contributo a fondo perduto “pari alla spesa sostenuta e documentata per un importo massimo di euro 5.000 ciascuno, corrisposto secondo l’ordine di presentazione delle domande ammissibili, nel limite complessivo di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2020 e 2021, sino ad esaurimento delle predette risorse” a favore di esercenti commerciali per incentivare la vendita di detergenti o prodotti alimentari, sfusi o alla spina.


E qui finisce “il primo pilastro del Green New Deal” all’italiana che, a dire il vero, era partito un po’ più seriamente, prevedendo la cancellazione dei sussidi alle fonti fossili che, secondo Legambiente, solo nel 2018 sono stati 18,8 miliardi di euro (altro che programmi sperimentali). Ma poi non si è cancellato niente e questo è quello che è rimasto.

Meno male che Greta c’è.


* da Il Fatto Quotidiano - 29 dicembre 2019.




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