18 novembre 2019

La nuova politica che si fonda sulla produzione dell’ignoranza


da Trump a Bolsonaro. In «Democrazie a rischio» l’analisi di Fabrizio Tonello 


Come siamo arrivati a questo punto? Trump presidente degli Stati Uniti, la Brexit infinita in Gran Bretagna, le democrazie illiberali nell’est Europa, Bolsonaro in Brasile: è davvero questo il nostro futuro? Chi ne è responsabile? Ridendo e scherzando, da più parti si levano addirittura richieste di rivedere la possibilità di concedere a tutti il voto (di recente Beppe Grillo ha proposto di togliere il voto agli anziani…). Troppa ignoranza, si dice, non favorisce un processo elettorale corretto, in grado cioè di fornire governanti capaci. Si tratta di un’iperbole che lavora però sottotraccia e confonde le cause di questa situazione con il suo esito.

COME E PERCHÉ oggi assistiamo a una mancanza di cultura politica ed economica (e in alcuni casi di cultura tout court) nella maggior parte della popolazione e come questo si riverbera negli esiti politici delle società capitalistiche, è l’oggetto di Democrazie a rischio, la produzione sociale dell’ignoranza di Fabrizio Tonello (Pearson, pp. 146, euro 21), professore associato di scienza politica all’università di Padova e firma che i lettori del manifesto conoscono bene. Gli spunti del libro di Tonello sono moltissimi; proviamo a procedere nel ragionamento effettuato dalprofessore e nella sua ricerca di risposte (per quanto nessuna spiegazione sia completa e sufficiente a spiegare l’attuale stato delle nostre democrazie), partendo, però dalla fine: di sicuro i media, la disinformazione (come andrebbe chiamato il fenomeno, anziché usare l’espressione fake news), l’infantilizzazione della vita «social» (cui Tonello dedica un gustoso capitolo) e l’imbarbarimento del linguaggio contro tutto quanto è «politicamente corretto», hanno contribuito. Ma si tratta, come si sarebbe detto un tempo, di «sovrastrutture».

LA CAUSA PRINCIPALE è, infatti, insita nel sistema di produzione, nel capitalismo, la cui recente dinamica finanziaria e neoliberista ha volontariamente eroso sempre più gli spazi democratici, sfruttando il nuovo sistema mediatico spinto dalla Rete e portando le nostre democrazie a diventare sempre più povere in termini di capacità di rappresentare e contrapporre ai rappresentanti un corpo sociale in grado di avere spazio e di discernere sulle scelte effettuate.

A QUESTO PROPOSITO non è un caso, forse, se il luogo nel quale oggi il capitalismo sembra essere governato al meglio è la Cina, un paese controllato da un processo autoritario ma nel quale sussiste uno sforzo immenso per provare a combinare la politica con la «meritocrazia». Qualche anno fa Daniel Bell ed Eric Li sul Financial Times, avevano scritto che il Partito comunista da partito rivoluzionario era diventato un partito «meritocratico». Ça va sans dire che in Cina di fatto non esiste società civile, completamente strozzata dalla gestione autoritaria anche dell’informazione. Tonello scrive infatti che «la situazione attuale è il frutto non di una mancanza di nozioni di educazione civica da parte dei cittadini, ma piuttosto di una condizione di disorientamento mescolato a nozioni errate, risultato di una convergenza di fattori tecnologici, psicologici e sociali e soprattutto di scelte politiche di lungo periodo ostili alla scuola, alla cultura, all’ambiente».
Ecco perché l’attuale sistema neoliberista sembra sempre più a proprio agio con forme autoritarie di governo, come dimostrano i casi dell’Europa dell’est, o con forme clownistiche della politica, utilissime a svuotare di senso l’intero processo culturale e mediatico. Si assiste sempre più, infatti, all’ascesa di personaggi come Trump i quali interpretano «emozioni più che classi sociali» all’interno di una cornice «spettacolare» (come previsto da Debord) nella quale recitano una parte: «gli scandali, il caso che regna alla Casa bianca», non lo danneggiano perché sono considerate, dai suoi elettori (e fan) come parte dello spettacolo stesso.
Nel volume, infine, c’è un importante capitolo dedicato proprio alla scuola, alla sua mercificazione e più in generale a quel mix letale che oggi come oggi sembra opporsi a chi, semplicemente, ha studiato, nonché allo «svuotamento» delle classi medie. Tonello a questo proposito introduce un elemento intrigante: a fronte di una minore partecipazione elettorale della popolazione, lo dicono le percentuali sempre più alte degli astenuti, negli ultimi dieci anni sono nati moltissimi movimenti in grado di scardinare alcune di queste caratteristiche delle nostre democrazie.

DA GEZI PARK A TAHRIR, da Hong Kong agli Indignados, fino al recente Extinction Rebellion. Tutti fenomeni accomunati da istanze comuni, da un rifiuto delle forme di leadership tradizionali e dal fatto di aver creato in quelle che potremmo chiamare «zone autonome», delle biblioteche, simbolo della cultura non mercificata: un «bene pubblico – Tonello prende in prestito le parole di Zeynep Tufekci – e spazio pubblico non commerciale e condiviso».

* da il manifesto – 12 novembre 2019

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