24 settembre 2018

La Libia nel caos 7 anni dopo la ‘liberazione’ NATO, ma a chi importa?


La Libia resta un paese senza legge, con milizie rivali che combattono battaglie per le strade di Tripoli e oltre 1 milione di persone che necessitano di aiuto. Ma gli ‘interventisti liberali’ dell’Occidente non s’interessano alla catastrofe da loro creata.

di Neil Clark *

A centinaia evadono di prigione fra scontri mortali a Tripoli” recitava un titolo sul sito web BBC News la prima settimana di settembre. Oltre 60 persone sono morte nei combattimenti in corso, con molti altri feriti e centinaia di comuni cittadini sfollati. I disturbi più recenti sono iniziati dopo che la 7a Brigata di Fanteria ” Kaniat " di Tarhuna è avanzata da sud nella capitale scontrandosi con una coalizione di milizie tripolitane. E’ davvero difficile mantenersi aggiornati su chi combatta chi. Se si pensa che la situazione in Siria sia complicata, non s’è prestata grande attenzione alla Libia. Come riconosceva l’articolo BBC: “La Libia fronteggia un caos continuo da quando milizie sostenute dalla NATO, alcune di esse rivali, rovesciarono il colonnello Gheddafi, sovrano da lungo tempo, nell’ottobre 2011”.




La Libia ha governi rivali, che però non controllano la maggioranza del paese. Non c’è alcun ‘dominio della legge’, solo quello del fucile. La regressione della Libia da pese col più alto indice di Sviluppo Umano in tutta l’Africa ancor solo 10 anni fa a un pericolosissimo frammentato stato fallito è dura da recepire. L’anno scorso, l’agenzia ONU OIM (Organizzazione Internazionale per i Migranti) riferiva che nel paese erano tornati i mercati di schiavi.

Il crollo economico e societario ha avuto un impatto devastante sulla vita dei libici comuni.
Si prenda la sanità. Uno studio di Valutazione su Disponibilità e Prontezza di Servizio del 2017, condotto dalla Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dal ministero della Sanità rilevò che 17 dei 97 ospedali sono chiusi e solo quattro ospedali erano funzionanti al 75-80% della propria capacità. Oltre 20% delle strutture sanitarie primarie sono chiuse, mentre il resto non sono “ben pronti alla erogazione di servizi “.  Nel maggio 2016, anche la OMS espresse ‘gran preoccupazione’ per la morte di 12 neonati nell’unità di cura intensiva del Sabah Medical Centre a Sabha, in Libia del sud; registrando: “Le morti sono avvenute per concorso di un’infezione batterica e mancanza di personale sanitario specializzato per provvedere assistenza medica.

Anche il sistema educativo è in stato di collasso o quasi. Nel 2016 fu riportato che l’inizio dell’anno scolastico veniva posticipato a causa di “mancanza di libri, mancanza di sicurezza e molti altri fattori.”  Si è notato che l’anno scolastico libico non è stato regolare dalla caduta di Gheddafi. Quest’anno, l’UNICEF ha detto che 489 scuole hanno avuto effetti dal conflitto e che circa 26.000 studenti sono stati costretti a cambiare scuola causa le chiusure. L’UNICEF dice anche che 378.000 bambini in Libia hanno bisogno di assistenza umanitaria, 268.000 hanno bisogno di acqua sicura, trattamento adeguato delle acque reflue e igiene, e che 300.000 hanno bisogno di istruzione nel sostegno alla gestione emergenze. Complessivamente 1.100.000 persone in Libia hanno bisogno di assistenza umanitaria.
Data la pessima situazione non sorprende che tanti libici se ne siano partiti o stiano partendo. Nel 2014, è stato riferito che sono fuggite in Tunisia fra 600.000 e 1 milione di persone.  Aggiungendoci anche quelli fuggiti in Egitto o altrove, è probabile che la cifra superi i 2 milioni, alquanto impressionante considerando che la popolazione della Libia nel 2011 era di circa 6 milioni.

Come ho sostenuto in un precedente editoriale, l’assalto occidentale alla Libia è stato un crimine ancor peggiore che l’invasione dell’Iraq perché è avvenuto dopo. Non c’erano davvero scuse per nessuno, vedendo com’era finita l’operazione di ‘cambio di regime’ nel 2003, nel sostenere una simile avventura in Nord Africa.  Eppure, i responsabili dell’accaduto non hanno fronteggiato alcun ritorno in scena.

Il primo ministro UK dell’epoca, David Cameron, è incolpato del Brexit (dai remainer ) ma non per quanto ha fatto alla Libia e le asserzioni fatte per giustificare l’azione militare. E ciò alla faccia di un rapporto della Commissione Affari Esteri della Camera dei Comuni, che concludeva cinque anni dopo che “l’asserzione che Muammar Gheddafi avrebbe ordinato il massacro di civili a Bengasi non era suffragata dalle prove disponibili.”

Nicolas Sarkozy, il presidente francese nel 2011, ha di fronte un processo (o più processi) in relazione a tre diverse indagini, fra cui l’aver accettato denaro da Gheddafi in aiuto alla sua campagna elettorale, ma non è stato ancora imputato per il suo ruolo nella guerra.
Bernard-Henri Levy, il filosofo considerate da alcuni il padrino intellettuale dell’intervento occidentale – e che si vantò “di essere i primi a dire che Gheddafi non è più il rappresentante legale” – è impegnato in un assolo anti-Brexit, mentre il paese che ha contribuito a ‘liberare’ brucia.

Negli Stati Uniti e nei circoli ‘liberal’ dell’Occidente, Barack Obama e Hillary Clinton sono trattati da celebrità perché non sono Donald Trump, ma quel che il duo ha fatto alla Libia è molto peggio di qualunque cosa Trump abbia combinato finora.

E il ministro britannico dell’Interno, sotto la cui vigilanza furono revocati gli ordini di controllo sui membri del Gruppo Combattente Islamico Libico anti-Gheddafi, tal Theresa May, è adesso primo ministro e cerca di esibire un livello morale superiore contro la Russia. Come beffa oltre al danno, è invece un politico che s’oppose all’azione NATO del 2011, Jeremy Corbyn, ad essere sotto costante attacco mediatico e dipinto come aldilà di ogni limite. Quant’è disonesto tutto ciò?

Tornando all’attuale violenza, mentre scrivo risulta che tenga una tregua mediata dall’ONU ai combattimenti nel sud di Tripoli, ma tenendo conto di come sono crollate tregue precedenti non si può essere ottimisti. Parte del problema è che il paese è zeppo di armi. La triste verità è che la Libia è a pezzi e probabilmente non verrà mai più rimessa insieme. È stato commesso un grosso crimine, ma non lo si direbbe giudicando dall’attenzione negatagli dai media.

Abbiamo avuto un gran dibattito quest’estate in Gran Bretagna sul ‘diritto ad esistere’ d’Israele – e se dubitarne renda ‘antisemiti’, ma la realtà è che la Libia – come stato moderno, funzionante – ha cessato d’esistere. E nessuno nei circoli d’élite, istituzionali, sembra preoccuparsene minimamente. Considerate quanti centimetri d’articoli sono stati dedicati a ‘salvare’ la Libia nei preparativi dell’intervento ‘umanitario’ NATO sette anni e mezzo fa, rispetto alla carenza di opinioni espresse sul paese oggi. Provate a evocare in qualche motore di ricerca i nomi di qualche eminente falco mediatico e ‘Libia’ e trovate che tendono ad essere come assenti dopo il 2011 – spostando l’attenzione alla propaganda del ‘cambio di regime’ in Siria. La sola conclusione che si può trarre è che il loro unico interesse nel paese era vedere rovesciato Muammar Gheddafi. Dopo che questo è stato raggiunto, chi se ne frega?

 * da  www.serenoregis.org - traduzione di Miki Lanza - 21 settembre 2018

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Neil Clark è giornalista, scrittore, titolare di trasmissioni e blogger.Ha scritto per molti giornali e riviste nel Regno Unito e in altri paesi, fra cui The Guardian, Morning Star, Daily and Sunday Express, Mail on Sunday, Daily Mail, Daily Telegraph, New Statesman, The Spectator, The Week, eThe American Conservative. E’ opinionista regolare suRT [RussiaToday/RadioTimes?] ed è anche apparso alla tv e alla radio BBC, Sky News, Press TV  ela Voice of Russia. E’ co-fondatore della Campagna per la Proprietà Pubblica @PublicOwnership. Il suo blog titolare di riconoscimenti: www.neilclark66.blogspot.com.

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