10 settembre 2015

Una scarpa nella rete



Parley for the Oceans. Un nome che così com’è non ci suona familiare e che, se lo traduciamo in italiano con un generico “Spazio di discussione per gli Oceani” ci lascia intravedere il focus principale, ma poco altro. Diverso è se diciamo che si tratta di una community di “ambientalisti creativi” che ha recentemente sottoscritto un partenariato con una ben più nota azienda: Adidas. Per quale ragione? Per concepire una nuova sneaker, quasi interamente prodotta da riciclo di rifiuti in plastica e reti da pesca recuperati dagli Oceani.

Conosciamo purtroppo bene, e ne abbiamo già parlato anche noi di Unimondo, il grave problema dell’inquinamento dei nostri mari dovuto agli scarti delle attività umane. Abbiamo sentito parlare delle plastic island, abbiamo visto gli effetti provocati sulla fauna marina, abbiamo provato a calcolare che cosa significhino più di 20 tonnellate di frammenti di plastica che galleggiano nelle acque del pianeta e… ribadiamo ancora una volta la gravità del fenomeno legato, ahinoi, anche alla pesca. Le reti utilizzate per operazioni a strascico, infatti, oltre a rappresentare un serio pericolo per l’ecosistema marino e per molte specie a rischio (tartarughe, delfini, etc.), disturbano il delicato equilibrio dei fondali e costituiscono anche una significativa minaccia dal punto di vista dell’inquinamento. Ecco quindi la scelta di riutilizzarne gran parte riciclandone le fibre e recuperando, grazie all’aiuto di Sea Shepherd, circa 72 chilometri di tramagli che i “pastori del mare” hanno raccolto mentre erano da più di 110 giorni sulle tracce di pescatori di frodo ricercati dalla polizia, mentre li stavano inseguendo lungo le coste dell’Africa occidentale: quando la barca dei “predatori” è affondata, gli attivisti li hanno salvati e… consegnati nelle mani delle autorità.

Dalle reti sono nate fibre ricilate che andranno a costituire, proprio con la collaborazione di Adidas, un paio di sneakers completamente sostenibili. L’azienda era stata infatti, insieme ad altri nomi illustri dell’industria dello sport come Nike e Puma, accusata da Greenpeace di contribuire in maniera significativa all’inquinamento del pianeta, utilizzando sostanze tossiche per la produzione dei loro prodotti. La speranza è quindi che questo sia da parte di Adidas un passo necessario nella giusta direzione, anche se, per adesso, nessun paio di questa nuovo modello è stato prodotto, ma si è solo strappata la promessa che le fibre derivanti dal riciclo delle plastiche marine dovrebbero entrare nel ciclo della produzione dall’inizio del 2016. Sul sito l’attenzione punta alla sostenibilità per quanto riguarda il riciclo delle proprie calzature dismesse, ma ora sembra approfondire l’impegno anche nelle prime fasi della catena di assemblaggio: la parte superiore della calzatura, quella morbida, sarà infatti completamente “lavorata a maglia” utilizzando le reti di riciclo, compresi fili e fibre, e l’aspirazione è quella di realizzare l’intero processo senza produzione di rifiuti.

Non si tratta quindi solo di riciclo e riuso, che pure sono e rimangono ottime ragioni da considerare nelle fasi sia di costruzione che di acquisto delle calzature. Si tratta anche di evitare la produzione del rifiuto plastico che, per essere smaltito, chiede il tempo di circa 450 anni. Una scarpa da ginnastica che, dunque, nel gergo della moda si chiamerebbe concept shoe e che non si esclude possa essere il prodotto di lancio di una linea completa che includa anche magliette, pantaloncini e altri indumenti sportivi.

Che un’azienda come Adidas abbia virato la rotta verso prodotti più sostenibili e interessanti da un punto di vista di materie prime utilizzate fa ben sperare: certo, non si raggiungono ancora i livelli del marchio Patagonia, per citare l’esempio più significativo, ma speriamo che sia solo una questione di tempo. Ripulire gli oceani non significa solo proteggere numerosi ecosistemi interconnessi, ma vuol dire anche impegnarsi per una migliore redistribuzione delle risorse alimentari, per lavori che rispettino i diritti di chi li compie e per il sostegno delle economie locali. 

Fonte: Unimondo.org    9 settembre 2015

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