«Donne, vita, libertà» contro la repressione. Moradi, Azizi e Jalalian, dopo confessioni estorte, sono state condannate a morte
di Ester Nemo *
Dalle proteste del 2022 in
seguito all’omicidio di Masha Amini da parte della polizia morale iraniana la
popolazione carceraria nel braccio femminile della prigione di Evin è in
aumento costante. Impossibile ottenere dati specifici su quante donne siano al
momento detenute nel carcere dove la giornalista italiana Cecilia Sala è
rinchiusa dal 19 dicembre, ma è certo che la risposta della repressione
iraniana alle enormi manifestazioni di piazza condotte al grido in lingua curda
di «Jin, jiyan, azadi» («Donna, vita, libertà») è stata procedere con numerosi
arresti esemplari per scoraggiare un movimento rivoluzionario femminile partito
dal Kurdistan in grado di aggregare in Iran decine di migliaia di donne.
Le attiviste curde in questo
contesto soffrono di una somma di discriminazioni letale: sono donne, sono
politicamente e socialmente attive e appartengono a una minoranza etnica che,
assieme a quella del Balocistan, è tra le più represse del panorama iraniano.
Sono tra le donne con più difficoltà ad avere accesso all’istruzione e a vedere
i propri diritti fondamentali rispettati sia in libertà sia, soprattutto, nelle
istituzioni carcerarie come quella di Evin.
Un dossier recentemente
stilato dall’Ufficio d’informazione del Kurdistan in Italia (la onlus Uiki) fa
luce sulla storia e sulle condizioni carcerarie di tre tra le tante donne curde
attualmente rinchiuse nella prigione di Evin: Verishe Moradi, attivista
arrestata nel 2023; Pakshan Azizi, assistente sociale e femminista arrestata
nell’agosto del 2023; e Zeinab Jalalian, attivista arrestata nel 2008. Tutte e
tre sono state condannate alla pena di morte.
L’iter giudiziario di Moradi,
Azizi e Jalalian segue un copione comune a centinaia di donne arrestate dalle
autorità iraniane: accuse gravissime – «diffusione di propaganda» o «ribellione
contro il governo» – formulate senza prove, niente accesso tempestivo a legali,
confessioni fasulle estorte con torture fisiche o psicologiche.
Il caso di Moradi è
emblematico: arrestata nell’agosto del 2023, ha potuto incontrare il proprio
avvocato solo al termine della fase di interrogatorio in cui, secondo quanto
riporta Uiki, è stata costretta a rilasciare una confessione scritta sotto
minaccia e pressioni psicologiche. Confessione poi usata contro di lei in
tribunale.
Secondo il Kurdistan human rights network (Khrn), poco dopo l’arresto Moradi è
stata portata nel carcere di Evin, dove per cinque mesi è stata rinchiusa in
una cella in isolamento. Dal maggio del 2024, sempre secondo Khrn, le autorità
carcerarie non le permettono alcuna visita di amici o familiari.
Nel novembre del 2024 il
Tribunale rivoluzionario di Teheran l’ha condannata a morte nonostante Moradi
abbia più volte dichiarato che le accuse contro di lei erano infondate e che la
sua confessione era stata estorta sotto costrizione.
La sua condanna ha portato a
numerose proteste e scioperi della fame sia in Iran sia all’estero e ha spinto
numerose organizzazioni per i diritti umani, tra cui Amnesty international, a
chiederne immediatamente la revoca.
nella foto: Una donna nel carcere di Evin * da il manifesto – 31 dicembre 2024
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Iran : Confermata la condanna
a morte per l’attivista curda Pakhshan Azizi
Continua la repressione della dissidenza nella Repubblica islamica. Pena capitale ad Azizi confermata dalla Corte suprema mentre Cecilia Sala veniva liberata
di Francesca Luci
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La cella, la piccola
finestrina in alto, il raggio di luce, l’insonnia, l’auto-rimprovero e quel
martellio del pensiero, diventeranno un ricordo nella memoria di Cecilia Sala.
Il carcere di Evin rimarrà là, imponente, con i suoi abitanti, con le loro storie
e dolori, con centinaia di intellettuali, scrittori, giornalisti, artisti e
attivisti colpevoli delle loro idee, col grigio del carcere che tenta di
sbiadirne i colori. Per loro il dramma si consuma anche dopo la liberazione:
rinunciare o rischiare di tornarci. Chi abbandona il paese salva la voce ma
porta con sé la ferita del taglio delle radici, che non si rimarginano mai.
I molti attivisti e giornalisti iraniani gioiscono insieme all’Italia per la
liberazione di Cecilia Sala, ma sanno che la strada per l’affermazione della
libertà di parola e di opinione nel loro paese è lunghissima e piena di
insidie. Scrivere sull’Iran e sulla Repubblica islamica non è mai stato facile,
né per chi risiede nel paese né per chi non si accontenta di rimanere dietro la
sua scrivania e osservare il paese da lontano. Per fortuna, nonostante tutto,
nel panorama dell’informazione e dell’arte iraniana palpitano numerosi talenti
che fanno salti mortali per conservare la loro integrità morale, essere critici
e onesti senza cadere nella rete della censura del sistema.
Ma alcuni rischiano di non
tornare più. Quando Cecilia Sala lasciava il carcere di Evin dopo 21 giorni di
prigionia, arrivava la notizia che la Corte suprema aveva confermato la
condanna a morte di Pakhshan Azizi, attivista per i diritti delle donne e assistente
sociale. Azizi era stata condannata dal Tribunale rivoluzionario di Teheran il
24 luglio con l’accusa di «ribellione armata contro lo Stato» e per il suo
coinvolgimento in gruppi di opposizione al regime. L’accusa di appartenenza ai
gruppi separatisti curdi o beluci è ripetutamente utilizzata dai tribunali
iraniani per non provocare empatia tra la popolazione.
Azizi, nata a Mahabad, nell’Iran nord-occidentale, fu arrestata per la prima
volta nel 2009 durante una manifestazione di protesta degli studenti curdi
dell’Università di Teheran contro l’esecuzione di un prigioniero politico
curdo. Dopo quattro mesi di detenzione fu rilasciata su cauzione. All’epoca era
una studentessa di scienze sociali presso l’Università Allameh Tabatabai di
Teheran. In precedenza aveva collaborato con associazioni non governative
attive nel campo sociale e in quello delle problematiche relative alle donne.
Nel 2008 faceva parte di un gruppo che conduceva ricerche e studi sul tema
della «circoncisione femminile». Insieme a un gruppo di attivisti per i diritti
delle donne nel Kurdistan iracheno, e in collaborazione con alcune ong e il
governo della regione del Kurdistan, raccoglie informazioni significative su
questo tema. Si trasferì nel Kurdistan iracheno dopo aver completato gli studi
e iniziò a collaborare con associazioni femminili coinvolte nelle attività
sociali. Nell’autunno del 2014 si recò nel nord della Siria, nella città di
Qamishli, per prestare aiuto nei campi dei rifugiati, assistendo donne e
bambini traumatizzati.
Nell’estate del 2023, dopo
circa dieci anni, tornò in Iran per incontrare la sua famiglia. La mattina del
5 agosto fu arrestata insieme al padre e a altri due membri della sua famiglia.
Fu sottoposta a interrogatori presso l’intelligence detention center prima
di essere trasferita al reparto 209 della prigione di Evin e successivamente al
reparto femminile. In una sua lettera pubblicata dai media Kurdpa riferì
che le avevano legato le mani dietro la schiena e le avevano puntato un’arma
alla testa.
Nessuna delle obiezioni sollevate riguardo al suo caso ha ricevuto attenzione
dalla Corte suprema, scrive l’avvocato dell’attivista Reisiian: «La Corte non
ha preso in considerazione che le sue attività nel nord della Siria, nei campi
dei rifugiati di Shengal e in altri campi dei rifugiati della guerra contro
Isis, sono state azioni pacifiche, senza alcun aspetto politico, finalizzate ad
aiutare le vittime degli attacchi di Isis», conclude l’avvocato.
Il premio Nobel per la pace Narges Mohammadi, in congedo per malattia dal
carcere di Evin, ha scritto sul suo account Instagram: «Con l’esecuzione di una
“donna prigioniera politica” il regime vuole punire il movimento di Donna,
Vita, Libertà. Gli iraniani, i sostenitori della libertà in tutto il mondo, le
organizzazioni internazionali per i diritti umani e le Nazioni unite devono
unirsi contro la politica delle esecuzioni. È nostro dovere non rimanere in
silenzio».
nella
foto: Pakhshan Azizi
* da il manifesto – 10 gennaio 2025
leggi anche: Il regime debole e la diplomazia degli ostaggi
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