Tutto sui fossili - Importatori netti di gas liquido fino al 2015, gli Stati uniti hanno invertito il trend a discapito dell’ambiente. L’Italia sta investendo per diventare hub di transito e consumo.
La chiusura del gasdotto tra Russia ed Europa attraverso l’Ucraina ha acceso un faro utile a cogliere come sta cambiando il mercato del gas: nel 2024, gli Usa hanno esportato ben 88,3 milioni di tonnellate metriche di gas naturale liquefatto (Gnl), in aumento del 4,5% rispetto al 2023. È un mercato in cui il Paese è leader e, con tutta probabilità, lo resterà dopo l’insediamento alla presidenza di Donald Trump, in programma il 20 gennaio: un governo negazionista, che sarebbe pronto a uscire nuovamente dall’Accordo di Parigi sul clima, non potrà che continuare a spingere sulle fonti fossili.
A dicembre 2024, tra l’altro, l’export Usa di Gnl ha raggiunto livelli quasi record, salendo a 8,5 milioni di tonnellate metriche, anche grazie all’avvio di due nuovi impianti. E poco importa se la letteratura scientifica certifichi che «l’impronta di gas serra» del Gnl come fonte di combustibile è del 33% superiore a quella del carbone, da sempre considerato come il più «sporco» tra i combustibili fossili. L’espansione del gas naturale liquefatto dipende anche dal sostegno delle banche, che continuano a pompare finanziamenti illimitati nel settore: fra il 2021 e il 2023, secondo il report «Frozen gas, boiling planet», a livello globale sono stati concessi al settore finanziamenti per 213 miliardi di dollari. Le banche italiane hanno fornito 6 miliardi di dollari, senza preoccuparsi che il trasporto di gas liquefatto (che arriva anche in Italia, a Piombino, a La Spezia, presto anche a Ravenna) aumenta il rischio di fuoriuscita di metano, cioè di un gas serra che è in media 80 volte più potente dell’anidride carbonica in un periodo di 20 anni.
L’espansione del Gnl avviene nonostante le proiezioni dell’Agenzia internazionale per l’Energia mostrino una sovracapacità del settore: a volerlo sono società petrolifere e del gas, come Eni, TotalEnergies e QatarEnergy, specialisti del Gnl come Venture Global e anche società di servizi, come Enel, che hanno in programma un’espansione massiccia delle loro attività, con 156 nuovi terminali entro il 2030. Secondo Justine Duclos-Gonda, attivista di Reclaim finance, «le compagnie petrolifere e del gas stanno scommettendo sui progetti di Gnl, ma ognuno dei loro progetti mette in pericolo il futuro dell’Accordo di Parigi. Le banche affermano di sostenere le compagnie petrolifere e del gas nella transizione, invece stanno investendo miliardi di dollari in future bombe climatiche. Il Gnl è un combustibile fossile e non ha alcun ruolo da svolgere in una transizione sostenibile. Le banche devono assumersi le loro responsabilità e smettere immediatamente di sostenere gli sviluppatori di Gnl e i loro terminali di esportazione».
Il rapporto accende un faro sugli Usa: nel maggio 2024, gli investitori statunitensi rappresentavano il 71% degli investimenti totali nell’espansione del gas liquefatto, con i fondi BlackRock, Vanguard e State Street in testa. Insieme questi tre soggetti (che raccolgono anche in Italia i risparmi di milioni di persone) sono responsabili del 24% di tutti gli investimenti nell’espansione del Gnl. Anche per questo, dei 156 nuovi terminali in corso di realizzazione o progettati da qui al 2030, destinati a collegare i mercati di produzione ed esportazione con quelli d’importazione (come il nostro), oltre il 50% della nuova capacità di export si concentra negli Usa, in Canada e in Messico.
Alcune ricerche universitarie, però, dimostrano che dal 2005 a oggi se gli Stati Uniti hanno a disposizione gas da esportare, ciò è dovuto principalmente all’aumento della produzione usando la tecnica del fracking, per ottenere quello che viene chiamato shale gas, gas di scisto: gli Usa, importatori netti di gas naturale dal 1985 al 2015, dal 2016 sono esportatori netti. Una leadership di mercato che ha un forte impatto ambientale, dato che il fracking (fratturazione idraulica) è molto oneroso in termini di emissioni. Eppure, ieri c’è stato chi ha voluto ricordare che anche l’Italia avrebbe dovuto sfruttare fino in fondo tutti i giacimenti di gas, anche quelli più delicati, anche usando tecniche come il fracking: «La nostra follia è stata scegliere di non usare il gas che potremmo estrarre nel nostro paese, e che col referendum del 2016 abbiamo deciso di non usare. Questo è il vero fallimento del sistema paese» ha affermato in un’intervista Davide Tabarelli, presidente Nomisma Energia.
nella foto: Rifle (Colorado, Usa), operazioni di fracking
* da il manifesto - 4 Gennaio 2025
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Rigassificatori e
gasdotti, l’Italia rinuncia a transizione e ambiente
di Luca Martinelli *
Tutto sul fossile Il
metanodotto di Popoli passa attraverso aree di uso civico interessando il più
grande bacino imbrifero regionale. Proteste a Ravenna e Savona per gli impianti
nei rispettivi porti
Sull’albero di Natale
che sta facendo il giro di Savona (fino al 6 gennaio è di fronte al
ristorante-focacceria Bella Recco) i messaggi sono chiari: «Fermiamo il
mostro», «ostacola la transizione ecologica», «impianto a rischio di incidente
rilevante». Sono i messaggi dei cittadini contrari alla realizzazione di un
rigassificatore offshore a pochi chilometri dalla costa ligure, tra il
capoluogo e Vado Ligure, un’infrastruttura che rischia di avere un impatto
negativo anche sul Santuario internazionale dei mammiferi marini Pelagos, area
protetta di circa 96mila chilometri quadrati istituita con un accordo
internazionale, firmato nel 1999 da Italia, Francia e Principato di Monaco, per
la protezione dei mammiferi marini e del loro habitat.
Il rigassificatore che
arriverebbe in Liguria è quello finora piazzato a Piombino, in Toscana, dove a
dicembre è attraccata la 50esima nave da quando l’impianto è entrato in
funzione: la nave rigassificatrice si chiama Italis Lng di proprietà di Snam,
l’ex monopolista pubblico del gas, oggi controllato da Cassa depositi e
prestiti con una partecipazione della compagnia cinese State Grid Corporation
of China.
L’ultimo carico
arrivato dall’Algeria è pari a 164mila metri cubi di gas naturale liquefatto.
L’infrastruttura è in funzione da luglio 2023 e a oggi, informa Snam, «il
totale immesso in rete dalla Italis Lng è pari a circa 4,3 miliardi di metri
cubi di gas». Il dato complessivo è quindi inferiore alla capacità di
rigassificazione di 5 miliardi di metri cubi l’anno, una quantità che sarebbe
pari a circa un sesto dei volumi importati negli ultimi anni dalla Russia
ovvero l’8% del fabbisogno nazionale. Una quantità, insomma, cui l’Italia
potrebbe ovviare riducendo i consumi, cosa che in effetti sta avvenendo negli
ultimi anni.
Un conflitto sociale
parallelo a quello ligure – i cui cittadini a luglio 2024 sono stati
protagonisti di una lunga catena umana in spiaggia per ribadire il proprio no –
va avanti a Ravenna, dove sono in corso di realizzazione le infrastrutture per
collegare un secondo rigassificatore alla rete metaniera nazionale. A fine
dicembre, sempre Snam ha informato che è arrivata in Italia la nave BW
Singapore, che dovrebbe entrare in funzione nell’area portuale nella primavera
di quest’anno. Per l’amministratore delegato di Snam, «l’arrivo della nave in
acque italiane è un ulteriore tassello della strategia di diversificazione
delle forniture di gas avviata nel 2022, che ha consentito di affrontare con
successo la crisi energetica derivante dal conflitto russo-ucraino, anche
grazie al contributo del Gnl».
Ravenna, intanto, è
stata nel 2023 la seconda città italiana per consumo di suolo, complice il
cantiere per la realizzazione del metanodotto. E se il Pd in Liguria ha
manifestato in piazza con i cittadini, contro un intervento voluto dalla giunta
Toti, in Emilia-Romagna l’ex sindaco di Ravenna De Pascale (oggi presidente
della Regione) ha sempre sostenuto l’intervento Snam: una schizofrenia che non
tiene conto dei dati reali, che vedono i consumi di gas in Italia in calo del
30% negli ultimi vent’anni. C’è questa considerazione anche dietro la
mobilitazione dei cittadini di Sulmona e dell’Abruzzo, che protestano contro il
famigerato gasdotto della Linea Adriatica che dovrebbe collegare il sud Italia
attraverso lo snodo abruzzese con Minerbio, in Pianura Padana. Nella bella
cittadina della Valle Peligna che ha dato i natali al poeta latino Ovidio la
mobilitazione va avanti da quasi un decennio, in rete con le tante
organizzazione che in tutta Italia fanno parte della rete Per il clima, fuori
dal fossile.
L’ultima denuncia
presentata riguarda il taglio di 317 alberi di ulivo, sacrificati da Snam per
la costruzione della centrale di compressione a Case Pente. In nome di una
presunta emergenza energetica, «nella sola Valle Peligna andranno persi circa
100 ettari di terreno agricolo. La provincia de L’Aquila e una parte di quella
di Pescara saranno attraversate dal metanodotto per 106 chilometri. Ciò
significherà la perdita di centinaia di ettari non solo di terreni agricoli ma
anche di boschi. In diverse aree, come a Paganica, la presenza molto estesa
dell’uso civico con le relative tartufaie rappresenta una consistente risorsa
per la popolazione, una risorsa pesantemente colpita. A Popoli il metanodotto
interessa non solo aree di uso civico ma anche il più grande bacino imbrifero
regionale. Il progetto Snam – denuncia il comitato – prevede un tunnel di 1,6
chilometri tra Popoli e Collepietro, il che comporta un elevato rischio di
alterazione della falda idrica». Altro che transizione.
* da il
manifesto - 2 gennaio 2025
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