( di Francesco Devescovi
, ilfattoquotidiano| 9 luglio 2015 )
Analizziamo l’andamento della televisione nei
primi sei mesi dell’anno. Innanzitutto va rilevato che il numero degli
ascoltatori medi giornalieri (vedi tabella) è rimasto sostanzialmente
immutato rispetto all’anno precedente (anche la popolazione, come indicato
dall’Istat, è rimasta stabile). Un leggero calo è stato fatto registrare dal target
commerciale (25-54 anni), quello teoricamente più sensibile alle novità
mediatiche e predisposto ad accogliere le proposte dei new media e che, secondo
alcuni esperti, avrebbe dovuto, in tempi anche celeri, abbandonare
definitivamente la Tv.
La televisione non è morta e non sembra nemmeno
prossima la sua fine. D’altronde era assurdo ipotizzare una tale conclusione.
Quale comodità è più ‘comoda’ della Tv per distrarsi e informarsi, oltretutto
gratuitamente! Cambiano di certo i modelli di televisione (vedi la crisi della Tv
generalista), le modalità di accesso ai video, grazie al web, che
porteranno al ridimensionamento del classico televisore. Pensare però che il
web sostituisca la televisione è assurdo. Addirittura è forse la Tv a insidiare
internet. Non a caso sui principali social, il “gioco” che va per la maggiore,
proprio fra i giovani (gli stessi che, a parole, rifiutano la Tv come fosse la
“figlia del diavolo”), è commentare cosa accade in televisione. Eravamo
un paese di commissari tecnici, siamo ora il paese di critici televisivi!
Sulla Tv e sulle sue prospettive pesa molto il giudizio,
largamente negativo, sulla nostra televisione. L’invito di tanti di astenersi
dal video nasce proprio da questa constatazione. La realtà però è un po’
diversa. Abbiamo una discreta-buona televisione, come valore medio, per quanto
riguarda l’intrattenimento, la fiction, i documentari (su questo genere
si sta formando una scuola di bravi professionisti), e una pessima, ma proprio
pessima televisione per quanto riguarda l’informazione, e ciò oscura
anche il buono che c’è negli altri generi.Ed è proprio l’informazione (Tg,
programmi d’informazione, talk) della Rai a essere sotto accusa
(esclusi i programmi di Gabbanelli e Iacona). Dal servizio
pubblico si aspetterebbe il racconto più fedele della realtà e non, come
avviene spesso, l’esposizione di verità precostituite; dal servizio pubblico si
aspetterebbero conduttori equilibrati e non schierati.
Le avvisaglie fanno presagire che, con i prossimi
vertici, la situazione potrebbe anche peggiorare. Ipotizzare allora la privatizzazione della Rai, diventata una “favola al servizio non del pubblico ma dello Stato”
(Aldo Grasso), non sarà più una sola opzione accademica. Riuscirà il management
della Rai, finora piegato agli interessi dei potenti, ad avere un sussulto di
orgoglio? C’è da dubitare, la lottizzazione ha come spento anche le persone
libere: la difficoltà, come si sa, non sta nel credere alle nuove idee, ma nel
fuggire dalle vecchie.
L’andamento degli ascolti (vedi tabella) evidenzia che
il mercato Tv non è più immutabile come un tempo. Rai e Mediaset insieme
arrivano ora al 70% di share contro il 79% di cinque anni fa. Si salvano grazie
ai canali tematici, spesso, in particolare da Rai, non adeguatamente
sfruttati (segnalo comunque per Raisport le belle telecronache del
basket e del ciclismo). Raiuno, nonostante il Festival di Sanremo, è solo al
17%. L’unica novità è il successo del gruppo Discovery, passato in pochi
anni al 6% di share.
La sensazione è che, sottotraccia, si stia ridisegnando
(vedi la proposta di legge sulla governance e sul canone Rai)
un nuovo assetto della televisione, con nuovi protagonisti e qualche vecchia
gloria ridimensionata. Di questo parleremo in un successivo post.
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