Le imprese spendono 24,6 miliardi annui, le multinazionali versano 206 milioni
di Stefania Valbonesi *
Tasse, quanto pagano
le nostre Pmi e quanto i giganti del web? Mentre il tema delle imposte
scalda la politica e costringe la premier a stare sulla difensiva assicurando
che nessuno aumenta le tasse agli italiani, il Centro Studi della Cgia
di Mestre fa i conti in tasca ai giganti del web, li confronta con le
tasse pagate dalle Pmi, e rilancia in qualche modo, necessariamente, il tema di
“dove andare” a prendere i soldi che mancano disperatamente al tessuto
produttivo italiano e alla manovra di bilancio.
In sintesi, ciò che
emerge è che questi gruppi, a differenza delle nostre Pmi,” continuano a fare
ricavi da capogiro, senza versare al fisco quanto dovuto”.
“Sino alla fine
dell’anno scorso, infatti, hanno continuato a trasferire buona parte degli
utili realizzati in Italia nei paesi a fiscalità di vantaggio – scrivono i
ricercatori di Cgia Mestre – Risultato? Grazie a queste operazioni elusive, il
nostro erario ha incassato da queste WebSoft solo le briciole”.
Sì, ma quante
“briciole”? Dai
numeri emersi dal confronto operato dall’Ufficio studi della CGIA.. le Pmi
italiane pagano ogni anno 24,6 miliardi di tasse, mentre le 25 multinazionali
del web presenti in Italia versano, secondo l’Area Studi di Mediobanca, 206
milioni di euro. I ricercatori di Cgia non si scompongono neanche all’ovvia
obiezione che le dimensioni economiche di queste due realtà sono molto diverse,
ma, ribattono, “dal punto di vista degli artigiani mestrini, il risultato che
emerge è sconsolante. Se le aziende italiane prese in esame producono un
fatturato annuo 90 volte superiore a quello riconducibile alle big tech, in
termini di imposte, invece, le prime ne pagano ben 120 volte più delle
seconde”, E sebbene la comparazione presenti “una serie di limiti metodologici e
non ha alcun rigore scientifico”, tuttavia, prosegue la nota, .”il ricorso
sistematico all’elusione praticato negli anni ha aumentato questa disparità di
trattamento, mettendo in evidenza in misura inequivocabile che, in Italia, alle
grandi multinazionali, in questo caso tecnologiche, continua a essere riservato
un prelievo fiscale ingiustificatamente modesto
Cosa succederà con
l’arrivo della Global minimum tax (Gmt)? Secondo il dossier curato dal Servizio
Bilancio dello Stato della Camera e cui fa riferimento la nota di Cgia Mestre,
“il gettito previsto dalla sola applicazione dell’aliquota del 15 per cento
sulle multinazionali sarà molto contenuto. Si stima che nel 2025 il nostro
erario incasserà 381,3 milioni di euro, nel 2026 427,9 e nel 2027 raggiungerà i
432,5. Nel 2033, ultimo anno in cui nel documento si stimano le entrate, le
stesse dovrebbero sfiorare i 500 milioni di euro”. Per quanto riguarda l’area
interessata dalla Gmt, nel 2024 interesserà 19 paesi UE: Spagna e Polonia nel
2025 si adegueranno, mentre Estonia, Lettonia, Lituania, e Malta hanno ottenuto
una proroga sino al 2030. “Cipro e Portogallo, infine, sono chiamate a
rispondere alla sollecitazione giunta da Bruxelles che ha recapitato loro una
lettera di messa in mora. Appare evidente che per le grandi holding presenti
nei paesi UE rimane ancora la possibilità, almeno per i prossimi 5/6 anni, di
spostare parte degli utili in alcuni paesi membri dove la tassazione continua
essere molto favorevole”.
Tirando le fila, i
giganti del web a fronte di profitti elevati, versano poche tasse. Non è una gran
notizia, ma ciò che lascia perplessi è il “ricorso a tecniche elusive che hanno
consentito di spostare una parte degli utili ante imposte realizzati in Italia
nei paesi a fiscalità di vantaggio”, scrivono gli studiosi della Cgia. .”Sappiamo
che le regole della Gmt sono molto articolate ed è verosimile ritenere che ogni
norma di carattere nazionale potrebbe non essere sufficiente a rendere il
prelievo fiscale più equo. Nonostante ciò è indispensabile trovare un
compromesso che non pregiudichi la fuga di queste aziende dal nostro Paese, ma
allo stesso tempo le costringa a pagare il giusto, o quasi. L’elusione è una
pratica che riguarda ormai tutti i grandi player”.
Infatti, alcuni grandi player italiani da qualche anno hanno
trasferito la sede fiscale o quella legale “magari solo di una consociata“,
in Paesi europei che prevedono un trattamento fiscale più favorevole.
Fra questi, i Paesi Bassi, che adottano una legislazione societaria molto
favorevole, che permette, spiegano dall’Ufficio Studi, “agli azionisti storici
di avere il doppio dei voti in assemblea, modalità che consente di difendersi
meglio da eventuali scalate provenienti da investitori stranieri”, ma anche,
eventualmente, di godere di un trattamento tributario molto interessante, che
il governo olandese riserva a ogni big company disposta ad aprire la sede
fiscale ad Amsterdam. Operazioni che, vogliamo sottolinearlo, sono “formalmente
ineccepibili da un punto di vista fiscale-societario”, ma riducono
inevitabilmente la base imponibile di coloro che pagano le tasse in Italia. E a
essere penalizzate, come ha ben spiegato la ricerca della Cgia mestrina, sono
in particolare “le realtà imprenditoriali di piccola e piccolissima dimensione
che, a differenza delle grandi aziende, non hanno la possibilità di lasciare
armi e bagagli e trasferirsi altrove”.
E in Italia? Dallo studio emerge
che in Molise e Valle d’Aosta le big tech pagano più delle imprese locali. Una
particolarità che si ferma a queste due regioni , risultato della comparazione
operata dai ricercatori sebbene “risenta di alcune fragilità presenti nella metodologia
di calcolo adottata”.
Il quadro ipotizzato
dall’Ufficio Studi della Cgia sarebbe il seguente: se in Molise il
gettito delle principali imposte pagate dalle aziende residenti è “pari a 175
milioni di euro e in Valle d’Aosta a 1907, nel 2022 i giganti del WebSoft hanno
prodotto 9,3 miliardi di fatturato e versato al fisco italiano complessivamente
206 milioni di euro. Nulla a che vedere con quanto “contribuiscono” le imprese
lombarde che, invece, pagano all’erario 125 volte in più di quanto versano
questi 25 colossi digitali, quelle laziali 56,7 in più, quelle
emiliano-romagnole 38 e quelle venete 36,8”.
* da www.thedotcultura.it - 18 ottobre 2024
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