Alternative.
Solo poco più del 40% della plastica da imballaggi differenziata nelle nostre
case viene effettivamente riciclata. La maggior parte fa il giro del mondo
illegalmente e abbandonata in Turchia, Polonia e perfino in Malesia
di Giuseppe Ungherese *
Che
l’inquinamento da plastica sia ormai un problema è noto a tutti noi. Quasi ogni
giorno vediamo le immagini di spiagge in giro per il mondo coperte da grandi
quantità di rifiuti, oppure quelle di animali marini come balene, capodogli e
tartarughe che soffrono l’inquinamento da plastica sia perché la ingeriscono,
sia perché restano intrappolati in cumuli di rifiuti.
CI SONO
DIVERSI MODI PER COMBATTERE questa
contaminazione che assume proporzioni sempre più allarmanti. Gran parte delle
persone pensa di fare la sua parte non abbandonando i rifiuti nell’ambiente e
facendo una corretta raccolta differenziata. Iniziative lodevoli che fanno
parte del dovere civico di ognuno di noi, ma che sono veramente sufficienti?
Purtroppo no. Se analizziamo il sistema di riciclo nel nostro Paese, nemmeno
tra i peggiori a livello europeo, scopriamo che solo poco più del 40 per cento
della plastica da imballaggi che differenziamo correttamente ogni giorno nelle
nostre case viene effettivamente riciclata. Ma perché così tanta plastica non
viene riciclata? Le ragioni possono essere molteplici. Ad esempio, molti
imballaggi sono costituiti da più materiali, come plastica e metallo, i
cosiddetti poliaccoppiati di difficile riciclo. Alcuni casi? La stragrande
maggioranza dei tubetti di dentifricio, oppure la confezione grigia che
contiene sottovuoto il caffè in polvere. Anche il prezzo delle materie prime
influenza il sistema di riciclo, e nello specifico la domanda di plastica
riciclata sul mercato.
COME
DOCUMENTATO DA UN RECENTE rapporto
Ocse, a seconda del prezzo del petrolio, la plastica vergine potrebbe essere
più conveniente rispetto a quella riciclata. E infine c’è il problema delle
plastiche eterogenee miste (film, pellicole e plastiche monostrato) che possono
rappresentare una quota consistente dello scarto della raccolta degli
imballaggi (tra il 20 e il 50 per cento a seconda della piattaforma di selezione).
Quest’ultima tipologia di plastiche è, sì, tecnicamente riciclabile ma molto
spesso non viene richiesta sul mercato, finendo per rappresentare una sorta di
rifiuto del rifiuto che crea non pochi problemi di gestione. In alcuni casi
viene spedita addirittura all’estero, viaggiando per migliaia di chilometri via
terra o via mare, per essere avviata a riciclo. Ma quella spedita oltre i
confini nazionali viene effettivamente riciclata?
SECONDO LE
ULTIME INDAGINI condotte
dall’unità investigativa di Greenpeace sembrerebbe di no. Nelle scorse
settimane abbiamo infatti scoperto un traffico illegale di rifiuti in plastica
spediti dall’Italia ad aziende malesi, pari a più di 1.300 tonnellate solo nei
primi nove mesi del 2019 quando, su un totale di 65 spedizioni dirette in
Malesia, 43 sono state inviate a impianti privi dei permessi per importare e
riciclare rifiuti stranieri. Oltre all’analisi documentale, un nostro team si è
recato in Malesia e – con l’ausilio di telecamere nascoste – è riuscito
raccogliere testimonianze video in alcune delle aziende malesi disposte a
importare illegalmente i nostri rifiuti, tra cui plastica contaminata e rifiuti
urbani. Inoltre, ha documentato la presenza di rifiuti plastici provenienti
dall’estero, Italia inclusa, abbandonati all’aperto in enormi discariche a
cielo aperto senza alcuna sicurezza per l’ambiente e la salute umana, in barba
ai regolamenti europei vigenti. Infatti, secondo la normativa comunitaria di
riferimento (Regolamento n. 1013/2006), i Paesi europei possono spedire i
propri rifiuti fuori dall’Ue esclusivamente per “riciclo e recupero”, in
impianti con standard ambientali e tecnici pari a quelli comunitari e che
operano con “metodi ecologicamente corretti” ovvero “in conformità di norme in
materia di tutela della salute umana e ambientale grosso modo equivalenti a
quelle previste dalla normativa comunitaria”. Ma come è possibile che i nostri
rifiuti possano viaggiare senza intoppi e raggiungere nazioni così lontane non
rispettando la normativa europea? Secondo quanto riportato dalla Direzione
Distrettuale Antimafia, interpellata da Greenpeace, una delle ragioni è da
individuare nei pochi controlli. Infatti, meno del 2,5 per cento dei container
che spediamo dai porti italiani è ispezionato con visita merci e molti porti
non hanno addirittura aree adatte per aprire e controllare i container.
QUELLO
DOCUMENTATO IN MALESIA non è però
un caso isolato. Nei mesi scorsi ci siamo imbattuti in un caso analogo in
Turchia, scoprendo un sito illegale di stoccaggio di rifiuti in plastica molto
probabilmente provenienti dalla nostra raccolta differenziata, e nel sud della
Polonia dove almeno cinquanta balle di rifiuti in plastica di provenienza
italiana erano abbandonate in un ex distributore di carburante.
QUESTE
SITUAZIONI SONO INACCETTABILI e non
appartengono a un Paese che può definirsi civile e inoltre evidenziano, ancora
una volta, alcune delle numerose criticità legate alla gestione delle materie
plastiche a fine vita. Se consideriamo che di tutta la plastica prodotta al
mondo a partire dagli anni Cinquanta, solo il 9 per cento è stato
effettivamente riciclato, non sorprende imbattersi in pratiche di presunto
riciclo. Il sistema di riciclo su scala globale, più volte invocato da aziende
e governi come la principale soluzione per risolvere il problema
dell’inquinamento da plastica, da solo non può essere considerato una soluzione
efficace. Con una produzione di plastica globale che, entro il 2050,
quadruplicherà i volumi del 2015, è possibile che la situazione peggiori
ulteriormente e le pratiche illegali aumentino in modo vertiginoso. Che fare
allora? Continuare a differenziare correttamente i rifiuti è doveroso ma, anche
per non vanificare gli sforzi quotidiani di milioni di cittadini italiani,
bisogna che governi e aziende riducano subito la produzione di plastica
monouso, spesso inutile e superflua, che da sola oggi costituisce il 40 per
cento della produzione globale. Solo così riusciremo a impedire che la Terra si
trasformi in un Pianeta di plastica.
*
responsabile campagna Inquinamento di Greenpeace Italia
da il
manifesto – 26 marzo 2020
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