L’accordo
Usa-Taleban. La situazione delle afghane, che hanno sostituito il burqa con
l’hijab, non fa più notizia e non rientra nell’agenda dei negoziati
di Giuliana Sgrena *
L’Onu e
diversi studi a livello internazionale sostengono che la presenza delle donne
nei negoziati di pace per risolvere i conflitti fa la differenza, non solo per
la riuscita e la qualità dell’accordo ma anche per la formazione dell’agenda
delle trattative. Purtroppo, il contrario di quel che accade in Afghanistan. Le
donne sono scarsamente rappresentate nei negoziati dove a prevalere è la forza
dei signori della guerra. E non ci si poteva certo aspettare che alle
trattative tra Usa e Taleban, in Qatar, partecipassero delle donne! Le
posizioni dei Taleban sono note, purtroppo: ma gli Usa non erano andati in
Afghanistan per liberarle dal burqa? Era il 2001 e le immagini delle afghane
nascoste sotto il burqa, che permetteva loro di vedere il mondo solo a
quadretti, facevano il giro del mondo.
Ora, dopo
quasi diciotto anni di guerra, si ricomincia da capo. Gli Usa non hanno una
soluzione per uscire «vittoriosi» dall’Afghanistan e puntano sull’accordo di
«pace» come scappatoia per liberarsi di un fardello diventato costoso
finanziariamente e politicamente. I Taleban ufficialmente legittimati possono
tornare al potere, del resto controllano già circa il 40 per cento del paese.
Certo, il ritorno dei Taleban dovrà essere digerito dallo sgangherato governo
finora ignorato nelle trattative, ma il potere contrattuale non è a favore di
Kabul. Resta da vedere se i Taleban – come stabilito nell’accordo di Doha –
saranno in grado di impedire azioni jihadiste sul territorio viste le loro
divisioni interne e il supporto di una parte allo Stato islamico.
Parlare di
pace quando i firmatari sono autori di crimini contro la popolazione civile e
soprattutto contro le donne è arduo. Certo, la tregua si fa trattando con i
nemici ma non la pace. Non c’è pace senza giustizia. Gli Usa nel 2001 hanno
biecamente strumentalizzato i diritti delle donne per intervenire militarmente.
Da allora la lotta e gli sforzi per la loro emancipazione hanno incontrato
molti ostacoli e ancora oggi circa due terzi delle bambine non vanno a scuola,
il 70/80 per cento delle ragazze viene data in matrimonio spesso prima dei 16
anni, per non parlare delle violenze subite quotidianamente, senza la
possibilità di rivolgersi alla giustizia. Anche gli aiuti internazionali sono
stati spesso vanificati a causa di un sistema corrotto. Ma ci sono anche ong
afghane che hanno fatto miracoli per educare gli orfani della guerra e salvare
donne dalla violenza. Ma il governo le ostacola perché l’insegnamento è laico e
le donne sono ospitate in luoghi segreti per sottrarle alle minacce dei mariti.
Questo non basta, ancora oggi l’Afghanistan viene considerato il peggior posto
per nascere donna. Ormai la situazione delle afghane, che hanno sostituito il
burqa con l’hijab, non fa più notizia e non rientra nell’agenda dei negoziati.
Non interessa agli Stati uniti governati dal presidente sessista Trump e tanto
meno ai Taleban che risolveranno il problema con l’imposizione delle leggi
islamiche – comprese nell’accordo – e purtroppo sappiamo di che si tratta.
*
da il manifesto, 3 marzo 2020
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