di Olivier Turquet
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Davide
Grasso, giornalista torinese, nel 2016, per 7
mesi, si è unito alle Forze curde e siriane democratiche per combattere l’Isis
(esperienza ricostruita in Hevalen. Perché sono andato a combattere l’Isis in
Siria, pubblicato dalle edizioni Alegre) ha scritto recentemente per Carmillaonline un interessante
articolo che ricostruisce la storia dimenticata di Idlib. Approfondiamo qui con
lui alcune questioni molto dibattute e altre poco note.
Davide,
intanto un po’ di notizie fresche, che sta succedendo ora a Idlib?
Al momento
nella provincia c’è una calma apparente dovuta al cessate il fuoco siglato tra
Russia e Turchia qualche giorno fa. Bisogna sapere che dal 2018 la Turchia,
d’accordo con la Russia (e l’Iran) ha il permesso di mantenere alcuni
check-point nella provincia, a protezione di una “de-escalation” che in realtà
Erdogan vede come protezione dei jihadisti che in questi anni ha armato e
finanziato, e che a Idlib si sono rifugiati dal resto della Siria in seguito
alle loro sconfitte. Il regime siriano ha lanciato un’offensiva per liberare la
provincia il 18 dicembre e da allora, con l’aiuto della Russia, si è spinto
fino alle porte del capoluogo. C’è da aspettarsi che tra qualche giorno
l’offensiva ricominci, e a poco serviranno le proteste di Erdogan: il regime e
la Russia, aiutati anche da consiglieri militari iraniani e dal movimento libanese
Hizbollah, riconquisteranno tutta la provincia, oggi in gran parte governata da
Al-Qaeda.
E in un
altro punto a te caro, il Rojava?
La
situazione è opposta sul piano politico, ma analoga su quello internazionale.
Mentre la sfortunata Idlib è stata completamente sottomessa dai jihadisti nel
2015, le zone curde dette Rojava sono sotto il controllo del Movimento per la
società democratica, di ispirazione socialista e femminista, dal 2012. Questo
movimento è famoso soprattutto per l’esercito curdo femminile e maschile che lo
protegge, le Ypg-Ypj (Unità di protezione del popolo e delle donne). Dal 2016
il movimento ha costituito la Federazione democratica del nord che comprende
anche milioni di abitanti arabi e assiri e, oltre a formare l’enorme esercito multi-linguistico
e multi-religioso delle Forze siriane democratiche, ha implementato eccezionali
riforme economiche, politiche, educative e di genere. Le città di Afrin, Tell
Abyad e Serekaniye (detta in arabo Ras al-Ain), che facevano parte della Federazione,
sono state però occupate dalla Turchia tra il 2018 e il 2019 grazie alla
criminale approvazione di Russia e Stati Uniti, che fanno a gara per
intrattenere buone relazioni con Erdogan. La Federazione si è rinominata
Amministrazione democratica del nord-est ed è territorialmente mutilata.
L’invasione turca si è servita di decine di migliaia di fondamentalisti
islamici di diverse nazionalità, inquadrate in una milizia chiamata “Esercito
nazionale siriano” (da non confondere con l’Esercito arabo siriano, che è
quello di Assad). È lo stesso “Esercito nazionale” che co-gestisce Idlib
assieme ad Al-Qaeda per intenderci.
Gli attacchi
turchi al Rojava hanno prodotto negli ultimi due anni mezzo milione di profughi
che vivono in condizioni disastrose e senza assistenza internazionale. La
rivoluzione democratica è accarezzata dai media occidentali ed è stata la forza
determinante nel distruggere lo Stato islamico (e lo è tuttora per reprimerne
l’attività clandestina in Siria e verso l’Europa), ma si trova oggi sola, anche
perché non esistono movimenti di solidarietà internazionale davvero in grado di
fare pressioni sui rispettivi governi. Il Rojava patisce tanto l’isolamento
delle forze capitaliste quanto la non sussistenza di forze rilevanti di altra
natura nel resto del mondo.
Come a
Idlib, il regime intende muoversi per riprendere il controllo del nord del
paese, cacciando la Turchia ma sottomettendo anche le Ypj-Ypg. In questo è
supportato dalla Russia che, in Rojava come a Idlib, è il mediatore ambiguo tra
i due presunti nemici. Dico “presunti” perché non si può escludere che le zone
curde siano affidate alla Turchia in via permanente, per ricollocarvi i
dissidenti islamisti siriani e le loro famiglie, e che il regime si accontenti
di “riconquistare” le zone arabe del nord, smembrando e distruggendo
l’Amministrazione democratica. Il popolo curdo, e soprattutto il socialismo
democratico dei suoi partiti progressisti, sono un grattacapo tanto per
l’islamismo di Erdogan quanto per il fascismo di Assad.
Il popolo
siriano può ragionevolmente sperare dell’autodeterminazione? E, se si, su quali
mezzi può contare?
La vicenda
egiziana ha mostrato dal 2011 ad oggi che un popolo senz’armi è impotente di
fronte all’esercito e ai colpi di stato. Quella siriana che un popolo in armi
deve cedere parte della sua autonomia a chi lo arma. L’eccezione del Rojava
che, secondo una mentalità rivoluzionaria oggi eccezionale, ha mantenuto la sua
autonomia ideologica e strategica, paga adesso con un assalto militare da tutti
i lati; e questo nonostante gli enormi sforzi e le enormi capacità diplomatiche
di cui il movimento curdo sa dotarsi.
La
narrazione recente sulla Siria è spesso una narrazione di scontro di potenze
dove sembra che i popoli, la gente non conti nulla. Mi pare che tu porti avanti
un’altra narrazione, ce la spieghi?
Sono state
dette tante cose demenziali, ad esempio che la ribellione popolare del 2011 in
Siria, e in generale le “primavere arabe” siano state un complotto o eventi
provocati da servizi segreti stranieri. Soltanto chi non conosce la politica
fatta tra le persone, e soprattutto le guerre e le rivoluzioni vissute
dall’interno, può immaginare cose del genere. Nessuno può prevedere o
“provocare” i comportamenti di milioni di persone. Quello che fanno i governi è
semmai cercare di comprendere, gestire e se possibile cavalcare le crisi
sociali, i movimenti, le contraddizioni, le rivoluzioni.
Se si adotta
questa visione realistica, si comprende che la vicenda siriana non si
identifica solo con la guerra, ma anche con forme di trasformazione sociale e
politica nei diversi territori (alcune belle, altre terribili). Neanche la
guerra si sovrappone al cento per cento con l’intervento internazionale. Nelle
battaglie contro i jihadisti nel 2012-2014, ad Afrin nel 2018, a Tell Abyad e
Serekaniye nel 2019 le Ypj-Ypg hanno resistito da sole (e sono state sconfitte
solo negli ultimi due anni, perché fronteggiavano un’aviazione senza
equipaggiamento aereo o anti-aereo).
È chiaro
però che l’intervento internazionale crea una spirale bellica senza uscita.
L’esempio essenziale è l’intervento indiretto della Turchia dal 2011, con
l’appoggio dei governi della Nato, nell’armare, foraggiare e addestrare i
miliziani fondamentalisti anti-Assad. Se questo non fosse stato fatto la guerra
non sarebbe forse iniziata, e forse anche la componente democratica della
rivoluzione siriana sarebbe ancora in piedi. Tuttavia la politica non si fa
principalmente, purtroppo, con i “se” e i “ma”. Ogni scontro politico è
globale, nella nostra epoca: e in questo scontro le élites mondiali sono
organizzate, mentre le masse sono più divise e disorganizzate che mai, in Siria
e nel resto del mondo.
Nel tuo
articolo dettagli molto le varie componenti del fondamentalismo. Ci sono forse
tratti di differenziazione forti che sfuggono alla visione classica tra i buoni
e i cattivi, potresti approfondire?
No, non ci
sono. Il fondamentalismo non è decente in nessuna sua declinazione, e quale che
sia la religione da cui trae le mosse. Le conseguenze sull’essere umano e sulla
società sono devastanti, dall’uccisione della libertà di ricerca e di pensiero
all’uccisione fisica delle persone. L’urgenza non è mettere ulteriormente in
crisi la capacità etica di distinguere il bene dal male, ma anzi recuperarla.
In Siria il Rojava è il bene (e il bene è sempre imperfetto) mentre i jihadisti
sono il male: non servono a niente se non a creare danni.
Ho
analizzato a fondo la composizione a Idlib perché non sono schierato né con chi
mente, parlando di “ribelli” e “opposizione siriana”, né con chi semplifica
senza fornire dati, accontentandosi di parlare di “tagliagole” (termine che di
per sé è appropriato, ma si presta all’accusa di inaccuratezza se non è circostanziato).
Unica soluzione per il militante (e per il giornalista che possiede un ideale
di giornalismo) è tracciare una mappa e chiamare ciascuno con il proprio nome,
così tutti sono chiamati alle proprie responsabilità: tanto coloro che portano
quei nomi, quanto coloro che li mistificano o li proteggono.
Che
possibilità vedi che si chiuda a breve il conflitto siriano e in che modo?
Credo che la
Turchia e i jihadisti verranno ricacciati da Idlib. La Turchia dovrà accogliere
ancora più profughi e miliziani, quindi farà la voce grossa con la Russia,
l’Onu e l’Ue per ricollocarli in Rojava cacciando i curdi e le loro forze di
protezione. Presenterà l’operazione come umanitaria, benché si tratti di una
sostituzione etnica immane, e anche come anti-terrorismo, dicendo che le Ypg
sono una forza pericolosa per la Turchia, sottointendendo che qualunque Stato
farebbe lo stesso con i “propri” rivoluzionari.
Né alla
Russia, né al regime, né all’Onu o all’Ue piace che un movimento rivoluzionario
anti-capitalista, che afferma di lottare anche per il superamento dello
Stato-nazione, sia un attore internazionale. Sul piano regionale, dopo aver
sconfitto l’Isis, la rivoluzione del Rojava è ingombrante per molti motivi.
Alla fine tutti potrebbero acconsentire all’azione turca a Kobane e nelle altre
aree curde ancora libere, e la pandemia da Covid-19 giustificherà la censura,
visto che l’opinione pubblica mondiale, soprattutto in Europa e Nord America
dove è un po’ più informata su questo, è molto favorevole al Rojava.
Come si potrebbe
evitare questo scenario? Ci vorrebbero forze internazionali militarmente
organizzate che giungessero in aiuto, che esercitassero quella protezione che
Russia e Stati Uniti hanno esercitato fino a un anno fa o poco più in Rojava
(gli Usa a Kobane e dintorni, la Russia ad Afrin). Quali potrebbero essere
queste forze? A quali interessi risponderebbero? Da quale progetto politico
sarebbero sostenute? Temo che la sinistra mondiale vedrà passare di fronte a sé
questa nuova Bosnia senza rendersi conto che l’eventuale soffocamento nel
sangue del Rojava confederale dimostrerà al Medio oriente – e al mondo che sarà
sintonizzato – che l’unica tragica “alternativa” mondiale al modello liberale è
oggi tragicamente l’estrema destra, islamica in Medio oriente e anti-islamica
da noi.
* da volerelaluna.it
– 19 marzo 2020
L’intervista
è già stata pubblicata su Pressenza.com del 14 marzo
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