di Alessandro Graziadei *
Nonostante
l’enorme sviluppo economico dell’India nel 2020 la povertà è ancora un problema cruciale per il
Governo di Nuova Delhi visto
che quasi il 22% della popolazione, circa 284 milioni di indiani che
abitano per lo più nelle zone rurali, vive in condizioni economiche precarie.
Un altro 40% vive situazioni molto critiche e oltre il 20%, più di 258 milioni
di persone, non riesce a procurarsi le 2.000 kcal al giorno necessarie per
scongiurare il rischio della malnutrizione cronica.
In particolare, secondo un recente rapporto della Oxford Poverty and Human Development
Initiative, circa il 31% dei bambini poveri a
livello mondiale vive in India. Il problema della povertà in India ha
effetti drammatici sullo sfruttamento minorile e
sull’istruzione principalmente
delle giovani donne, una piaga che nello stato indiano del West
Bengal sta progressivamente peggiorando visto che negli ultimi anni il
numero di ragazze che hanno abbandonato la scuola prima ai sette anni di età
invece che diminuire è salito di circa due milioni ogni anno e il traffico di
esseri umani, secondo i dati del National Crime Record Bureau, coinvolge
più di 10.000 persone all’anno. La maggior parte di queste donne
soggette a tratta sono bambine o ragazze che vengono sfruttate nei bordelli
indiani o vendute come schiave domestiche o come giovani mogli in paesi
stranieri.
I
trafficanti di esseri umani nel West Bengal hanno vita facile visto che le
piantagioni di tè del Bengala nascondono spesso gravi violazioni dei diritti umani. Quest’area rurale è soggetta a forte migrazione da altri territori indiani, dove la
popolazione giunge in cerca di impieghi più remunerativi. Qui le
organizzazioni della società civile che combattono il traffico di
esseri umani riportano che almeno 400 ragazze vengono trafficate ogni anno
dalle piantagioni. Gli sfruttatori, non a caso, prediligono le aree dove
fame e povertà sono più elevate, piuttosto che le località dotate di scuole e
strutture sanitarie. Per questo una scuola salesiana il Salesian College di Sonada del
Darjeeling, nel West Bengal, ha stipulato un accordo con l’azienda di tè Rimpocha
Tea di proprietà di Rajah Banerjee, con sede a
Siliguri, con l’obiettivo di prevenire il traffico di donne sfruttate
nelle piantagioni grazie a corsi di formazione per ragazze adolescenti a
rischio. L’istituto cattolico è situato nel villaggio di Gorabari ed è
stato fondato nel 1938. Oltre il 95% dei suoi studenti proviene dalle colline
del Darjeeling, note in tutto il mondo per la qualità delle foglie di tè che
qui viene prodotto. Nel distretto si trovano almeno 83 piantagioni di tè,
disseminate su un’area di 190 km quadrati e capaci di dare lavoro a più di
52mila persone, tra raccoglitori e trasformatori delle foglie.
Per
padre George Thadathil, preside della scuola, “L’educazione e la
formazione delle competenze sono l’unica soluzione per evitare che le ragazze
diventino preda di trafficanti di esseri umani, che le seducono con false
promesse di guadagni veloci e un futuro migliore”. Una tesi sposata in
pieno da Banerjee che discende da una lunga dinastia di coltivatori di tè del
Darjeeling ed è uno dei pionieri dell’agricoltura biologica e sostenibile nella regione. Per lui “Rimpocha
non è solo tè, ma anche una filosofia di vita che si basa su cinque pilastri di
sostenibilità: terreno sano, donne economicamente indipendenti, concime
biodinamico e combustibile dalle vacche sacre, prezzi giusti e il sostegno ai
coltivatori emarginati attraverso l'assistenza tecnologica nella vendita
diretta dei loro prodotti”. La scuola salesiana in questo modo potrà
contribuire allo sviluppo del Paese, non solo con questo nuovo percorso di
formazione e avviamento ad un lavoro che risponde ai criteri del commercio equo e solidale,
ma anche con il sostegno a famiglie, giovani e malati che negli anni ha
caratterizzato l’impegno di questo tipo di scuola. Una goccia nel mare, ma
importante per il futuro di centinaia di ragazze nate nella quarta potenza
economica a livello mondiale, ma in una “potenza” caratterizzata, forse proprio
per via di questo sviluppo scorsoio, da un ampio divario culturale ed economico che
ha reso il 30% della popolazione disoccupato, analfabeta o privo di una
qualsiasi istruzione.
A combattere
questa situazione si impegna da 50’anni anche la St. Joseph’s High
School di Alipurduar, nel distretto di Jalpaiguri, sempre in West Bengal.
La scuola cattolica di St. Joseph, riservata a studenti maschi, è nata nel
piccolo villaggio di Damanpur, alle pendici dell’Himalaya e sotto la guida di
padre Eduardo Tagliabue è diventata la prima scuola di tutta
la regione e ha registrato un progressivo aumento delle iscrizioni. Per
monsignor Vincent Aind, che qui ha studiato, “Eravamo giovani e
poveri, in maggioranza tribali e indù che abitavano nei villaggi vicini e la
scuola è stata la nostra unica opportunità per cambiare un destino di
sfruttamento già scritto”. La scuola in seguito è stata affidata alla diocesi
di Jalpaiguri, secondo le indicazioni del Pime che
vuole sviluppare le comunità, per poi consegnarle alla Chiesa locale.
Oggi il numero di studenti è di circa 700 e come ricorda Aind rispetta la
filosofia delle sue origini: “Qui i missionari hanno voluto una scuola non
solo per i cristiani, ma per tutte le religioni. Insegnavano e insegnano a tutti
l’etica e la moralità. Lo scopo è cambiare la società e migliorare la vita dei
ragazzi, nn evangelizzare”. Un’altra goccia nel mare di quest’India che
cerca di sconfiggere lo sfruttamento con l’istruzione.
* da unimondo.org – 20 marzo 2020 - Foto:
Asianews.it
Nessun commento:
Posta un commento