Ispra: «Non
si verifica l’auspicabile disaccoppiamento tra l’andamento delle emissioni e la
tendenza dell’indice economico»
di Luca
Aterini *
Con 136 voti
favorevoli, 93 contrari e 2 astensioni, il
Senato ha approvato oggi il ddl di conversione del cosiddetto
decreto Clima, sul quale il Governo è al lavoro da settembre e
che ora deve passare all’esame della Camera. Il ministro dell’Ambiente Sergio
Costa parla di «grande soddisfazione», rimarcando come il provvedimento
costituisca il «primo pilastro del Green new deal. Il dibattito parlamentare lo
ha arricchito e migliorato», anche se nel corso di questi mesi il decreto Clima
ha finito per perdere entrambi i principali elementi che lo qualificavano: la
normativa sull’End of waste (assorbita dal decreto sulle Crisi aziendali) e
soprattutto il taglio dei sussidi ai combustibili fossili, rimandato a data da
destinarsi.
Inizialmente
la bozza di decreto prevedeva di azzerare tutti i
sussidi ambientalmente dannosi entro vent’anni, partendo dal 2020 con tagli
annui di almeno il 10%, il che avrebbe significato recuperare il prossimo anno
1,93 miliardi di euro dato che nell’ultimo report pubblicato nel merito dal
ministero dell’Ambiente vengono censiti sussidi ambientalmente dannosi per 19,3
miliardi di euro, ovvero 4,1 miliardi di euro in più di quanto l’Italia spende
ogni anno in sussidi ambientalmente favorevoli.
Ciò che
rimane nel decreto Clima sono articoli di legge positivi se presi
singolarmente, ma dalla portata complessiva assai limitata: si spazia da misure
per incentivare la mobilità sostenibile nelle aree metropolitane con una
dotazione finanziaria complessiva di 255 milioni di euro a 20 milioni di euro
l’anno per sostenere il trasporto scolastico con mezzi di trasporto ibridi o
elettrici, da un programma sperimentale per la riforestazione delle città
metropolitane per un importo di 15 milioni di euro a contributi economici (fino
a 5mila euro) a fondo perduto per quegli esercenti commerciali che optano per
la vendita di detergenti o prodotti alimentari sfusi o alla spina.
Buone
pratiche dunque, ma ben lontane da configurare un Green new deal. Il
confronto con le iniziative messe in campo in Germania per il corrispettivo del
decreto Clima – ovvero il Klimaschutzprogramm – è
impietoso: l’iniziativa tedesca concorre all’obiettivo di un taglio delle
emissioni tedesche di gas serra del 55% rispetto al 2030 (il Pniec italiano si
ferma a circa -37%), prevede investimenti da 54 miliardi di euro nei prossimi
dieci anni e l’introduzione di una carbon tax.
E se
l’Italia sul clima tentenna, le nostre emissioni di gas serra hanno ripreso
a crescere. Non solo non declinano praticamente da cinque anni – erano circa 426 Mt nel 2014, lo stesso dato del 2018
– ma l’Ispra certifica adesso che «nel terzo trimestre
del 2019 la stima tendenziale delle emissioni dei gas serra prevede un
incremento rispetto all’anno precedente, pari allo 0,6% a fronte di una
crescita del Pil pari a 0,3% rispetto all’anno precedente. Non si verifica
l’auspicabile disaccoppiamento tra l’andamento delle emissioni e la tendenza
dell’indice economico».
Nel mentre i
cambiamenti climatici continuano a correre molto più velocemente nel nostro
Paese rispetto al resto del mondo: se nel 2018 l’aumento della temperatura
media globale rispetto al periodo 1961-1990 è stato di 0,98°C a livello
globale, in Italia l’incremento è stato di 1,71°C.
* da
greenreport.it -21 Novembre 2019
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