Gli italiani
sono sempre più incollati all’auto. Lo dice il nuovo (16esimo) rapporto Isfort, che anno dopo anno
fotografa le abitudini di mobilità degli italiani. Uno scenario preoccupante:
la maggioranza degli spostamenti è compiuta in auto (59%) e lo share
modale dell’auto è aumentato rispetto allo scorso anno. E’ diminuito l’uso
della bici. Siamo al 37,1% di mobilità sostenibile (piedi, bici, mezzi
pubblici), praticamente come nel 2001. In 20 anni nessun progresso.
di Linda Maggiori *
Nel frattempo,
il numero delle auto aumenta. Invece di diminuire, e ridursi della metà, come
raccomanda Legambiente per rispettare gli Accordi di Parigi, nel
2018 ha superato la soglia di 39 milioni di unità, senza contare i 6,8 milioni
di moto e motorini, anche quelli in aumento. Con sempre più auto in
circolazione, la CO2 immessa nell’aria è destinata a crescere,
inesorabilmente.
L’Italia è un paese a natalità sottozero: non aumentano gli abitanti, ma aumentano le auto. Come sia possibile, nessuno lo sa. Nel 2017 eravamo a 63 auto ogni 100 abitanti, nel 2018 a 64,6 auto ogni 100 abitanti (con punte a Catania di 71 auto ogni 100 abitanti). Ovviamente, con tutte queste auto a disposizione, il car sharing non decolla, e resta confinato a poche grandi città. I morti sulla strada invece sono tantissimi, 3300 ogni anno, 55 per milione di abitanti, contro la media europea di 49 per milione di abitanti. Siamo ben lontani dal target 2020. Un’esagerazione, una follia. Ma quante volte mi sono sentita dire che gli esagerati siamo noi che invochiamo una riduzione del numero delle auto, noi che ci muoviamo prevalentemente a piedi, in bici, coi mezzi pubblici, noi che viviamo senz’auto di proprietà!
L’Italia è un paese a natalità sottozero: non aumentano gli abitanti, ma aumentano le auto. Come sia possibile, nessuno lo sa. Nel 2017 eravamo a 63 auto ogni 100 abitanti, nel 2018 a 64,6 auto ogni 100 abitanti (con punte a Catania di 71 auto ogni 100 abitanti). Ovviamente, con tutte queste auto a disposizione, il car sharing non decolla, e resta confinato a poche grandi città. I morti sulla strada invece sono tantissimi, 3300 ogni anno, 55 per milione di abitanti, contro la media europea di 49 per milione di abitanti. Siamo ben lontani dal target 2020. Un’esagerazione, una follia. Ma quante volte mi sono sentita dire che gli esagerati siamo noi che invochiamo una riduzione del numero delle auto, noi che ci muoviamo prevalentemente a piedi, in bici, coi mezzi pubblici, noi che viviamo senz’auto di proprietà!
Nonostante
le proteste furiose sul caro carburante (sempre secondo il rapporto Isfort), i
consumi di carburante crescono. Un’ubriacatura collettiva che non sembra
vedere il fondo. Se il carburante costasse meno, mi vien da pensare, cosa
potrebbe succedere? Già veniamo bombardati giorno dopo giorno da spot sulle
auto (tra cui alcune vergognosamente violente, come l’ultima dell’Alfa Romeo,
che usa una scena di un film in cui un’auto semina panico a
Firenze, schivando pedoni terrorizzati); a forza di usare l’auto, il corpo si
assuefa, si impigrisce, la mente rallenta la ricerca di alternative, non
si riesce a comprendere come farne a meno, neppure per brevi percorsi, sotto ai
due km. È un’assuefazione vera e propria, il meccanismo psicofisico è lo
stesso. Come democrazia vuole, vanno al potere quei politici che fanno gli
interessi delle quattro ruote. Come da 60 anni a questa parte. E così oltre
alle auto aumenta anche il cemento (un corollario della motorizzazione
crescente). Si costruiscono nuovi insediamenti in periferia, nuovi centri
commerciali, raggiungibili solo con l’auto; nuovi parcheggi, nuove strade,
nuove autostrade. Secondo l’ultimo rapporto Ispra, tra il 2017 e il 2018 sono stati divorati 51 km quadrati di suolo (19 campi da
calcio al giorno).
Se fossimo
sani di mente, ci metteremmo le mani tra i capelli. Chiederemmo a chi ci
governa misure urgenti e drastiche: vietare l’uso di auto in città,
obbligare anche i piccoli e medi centri ad adottare Pums e ampliare le
zone pedonali, creazione di sempre più ampi quartieri car free, aumento
capillare di mezzi pubblici, disinvestire sulle strade e spostare i soldi sulle
rotaie, e sui tram. Incentivi a chi va in bici, piste ciclabili, sensi
unici eccetto bici… ma soprattutto, scenderemmo dall’auto almeno sotto ai due
km.
Eppure,
secondo il rapporto Isfort, la maggior parte della gente non ha intenzione di
modificare le proprie abitudini e vuole mantenere l’uso dell’auto così
com’è. Diminuisce la propensione al cambiamento, dicono gli esperti. Un fatalismo
che raggela, soprattutto alla luce del recente rapporto Onu sui cambiamenti
climatici. La CO2 aumenta di anno in anno, siamo a 405,5 ppm, e l’umanità si
scopre incapace di arrestare i propri comportamenti suicidi. Fa quindi
sorridere che, secondo un’altra indagine, siamo il popolo più ottimista
in Europa sulla possibilità di frenare i cambiamenti climatici. Da che cosa
derivi questo inguaribile ottimismo non è dato sapersi. Gramsci diceva:
“pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà”. Ecco mi pare che noi
stiamo facendo il contrario. “Vispe terese” speranzose che non hanno nessuna
intenzione di cambiare sul serio. Come gridano i ragazzi di Xr nelle piazze,
bisogna dire le cose come stanno, bisogna dire la verità, anche se
scomoda. Le cose da fare sono tante e occorre fare in fretta, sono richiesti
cambi di abitudini, qualche minimo sacrificio e prese di coscienza collettive,
soprattutto da parte della parte più ricca del mondo. C’è in gioco la sopravvivenza:
#Diamociunamossa.
*
Blogger e scrittrice impegnata nella difesa dell'ambiente
da ilfattoquotidiano - 29 Novembre 2019
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