di Marco Travaglio *
Ma abbiamo vinto o abbiamo perso? In
una politica ridotta a derby calcistico, che scambia il vertice europeo per
una partita dei mondiali, è impossibile ragionare. Da un lato ci sono i tifosi
del Pd&FI, ormai unificate nella squadra degli scapoli, con le loro
grancasse di Repubblica, Stampa, Giornale e Libero, che esultano per la
tremenda sconfitta di Conte (“un pollo” che si è fatto “prendere per il culo”)
e l’isolamento dell’Italia populista”.
Dall’altra ci sono grillini e
leghisti che spacciano la campagna di Bruxelles come una marcia
trionfale del premier (“vittoria al 70” o forse “all’80”) e Macron come
il vero “clandestino” respinto al mittente. La verità sta nel mezzo:
Conte non ha vinto né al 70 né all’80%, ma non è neppure stato sconfitto,
isolato e raggirato. Ha combattuto con stile pragmatico, ha usato bene il
potere di veto sulle conclusioni del vertice, che giovedì non contenevano
nemmeno un accenno ai migranti per mancanza di accordo, e invece venerdì hanno prodotto sul tema 12 punti di
sintesi fra le posizioni molto diverse dei 27 Stati
membri.
Punti in parte vaghi, in parte
contraddittori, in parte precisi. Ma un passo in avanti sia sulle previsioni
nere della vigilia (nessun accordo) sia sullo zero assoluto raccolto dai
governi precedenti: quelli bravi, competenti, non populisti. Fino all’altro
ieri i cosiddetti premier, da B. a Letta, da Renzi
a Gentiloni, partivano per Bruxelles annunciando fuoco e fiamme,
sfracelli e pugni sul tavolo. Poi arrivavano lì e, come Fantozzi davanti
all’ufficio del megadirettore galattico, non osavano neppure bussare alla porta
(“non ho le mani…”). Non aprivano bocca, firmavano tutto e sorridevano
sculettanti nella foto di gruppo finale. Poi tornavano in patria e allargavano
le braccia: è andata così, sarà per la prossima volta. Che ora a criticare
Conte siano proprio loro – quelli che hanno impiccato l’Italia, allora sì
isolata e ignorata, ai patti suicidi di Dublino e all’impegno di fare
tutto da soli in cambio di “flessibilità” da sprecare in mance elettorali – è
comico (mentre il Pd parla di fallimento, il Partito socialista europeo di cui
i dem fanno parte esulta per il successo). Anche perché, rispetto al loro
nulla, qualcosa Conte l’ha portato a casa.
1. Nella
dichiarazione finale, per la prima volta, anche paesi del Nord Europa
riconoscono che il flusso migratorio dall’Africa va affrontato non più
dai singoli Stati, ma da tutta l’Ue in modo “globale”, con investimenti per
evitare tragedie umanitarie e sociali. Il primo di 500 milioni è ridicolo. Si
vedrà se ne seguiranno di più seri e se l’impegno – messo per la prima volta
nero su bianco dai 27 – di rivedere Dublino sarà mantenuto.
2. I centri
di accoglienza e identificazione per l’esame delle richieste d’asilo
(hotspot), finora riservati in esclusiva ai paesi di sbarco (Italia, Spagna e
Grecia), potranno essere creati anche negli altri stati Ue. Solo su base
“volontaria”, è vero: ma finora non erano proprio previsti. E Macron
mente quando dice che non sono contemplati in Francia e negli altri paesi
di secondo approdo: l’accordo parla di “territorio dell’Ue”, senza distinzioni.
Se poi gli hotspot continueranno a sorgere solo nei paesi di primo approdo e in
nessun altro, tipo la Francia del maestrino Macron, cadrà la maschera di chi
finora si trincerava dietro gli accordi di Dublino per non fare nulla e darci
pure lezioni. Nessuno potrà più fare contemporaneamente il Salvini o l’Orbàn
a casa sua e l’accogliente coi porti degli altri.
3. Passa il principio, importantissimo, della
“esternalizzazione” degli approdi dei migranti: si dovranno convincere paesi
che aspirano a entrare nella Ue (come Albania e Kosovo) o a più aiuti europei
(Marocco, Algeria, Tunisia e anche Libia) ad accogliere temporaneamente i
naufraghi salvati in mare in strutture necessarie a selezionare le domande
di asilo, sotto il controllo dell’Ue e dell’Onu. Impresa complicata, ma
decisiva per suddividere il peso delle prossime ondate migratorie ed evitare le
chiusure dei porti finora aperti, dall’Italia alla Spagna a Malta.
4. Dopo
l’accordo, il governo Conte potrà prendere subito due iniziative d’intesa
con l’Ue: stanziare fondi per acquistare nuove motovedette per la
Guardia costiera libica, che sarà addestrata da un nuovo, piccolo
contingente di militari italiani e non dovrà più essere “ostacolata” né
aggirata da navi private (come quelle delle pur benemerite Ong); e incontrare
il premier libico al Sarraj per dialogare direttamente con Tripoli senza più le
interferenze di Macron, schiacciato sul pericolante generale Haftar che regna
su Bengasi. Se Salvini ha sbagliato a chiedere a Tripoli di
aprire lì gli hotspot, ora la Farnesina proverà a convincere la Libia ad
accettare fondi europei per migliorare la condizione dei campi Onu già
esistenti e aprire nuovi uffici sotto la bandiera Ue per gestire le richieste
di asilo.
Su 10 richiedenti, solo 1 ne ha
diritto. E ai migranti “economici”, che non possono entrare in Europa,
sarà offerto il rimpatrio “volontario” assistito (un nigeriano che ha
speso 5mila dollari per arrivare in Libia, ne avrà 7-8 mila per tornare in
Nigeria su aerei pagati dall’Ue). Un principio di difficile applicazione, ma
ormai accettato dai partner europei e dunque praticabile, diversamente da
prima. Non è poco, viste le iniziali chiusure del gruppo di Visegrad
(Ungheria & C.) e di Macron ben nascosto lì dietro.
5. Se qualcuno è stato raggirato, non è l’Italia, ma
Spagna e Grecia, che han firmato accordi bilaterali con la Germania per
riprendersi i migranti “secondari” senza garanzie sulla ripartizione dei
“primari”. Conte, diversamente da Tsipras e Sanchez,
l’accordo separato con la Merkel ha rifiutato di siglarlo.
È sempre troppo poco. Ma meglio del
niente di prima.
* da ilfattoquotidiano.it 1
luglio 2018
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