di Alessandro Graziadei *
“Smettiamo di fingere che queste ragazze siano
apparse dal nulla. Smettiamo di fingere che non ci sia una chiara e
riconosciuta catena di sfruttamento delle donne. Queste ragazze vengono da qualche
parte. E noi sappiamo da dove”. Con queste parole suor Annie Jesus Mary
Louis, delle suore francescane missionarie di Maria (Fmm), ha denunciato la
struttura logistica dietro la tratta di esseri umani. L’occasione per questa
sua testimonianza è stata la conferenza “Preventing
Human Trafficking among Rural Women and Girls: Integrating Inherent Dignity
into a Human Rights Model”, tenutasi il 13 marzo nella Sala Conferenze del
quartier generale dell’Onu, a New York. Suor
Annie è una persona "informata sui fatti" semplicemente perché
lavora in una zona rurale dell’India centrale, nel Chhattisgarh, fra le popolazioni tribali di
un’area che, insieme a molte altre zone rurali dell’Indocina, è l’origine della
catena di approvvigionamento del commercio sessuale. Ha collaborato per anni con Ong impegnate nella lotta contro la tratta
degli esseri umani, sforzo che nel 2016 le è valso il riconoscimento del
governo indiano come “Miglior operatrice sociale”.
Non siamo davanti ad un caso
isolato. Le popolazioni in molte zone povere dell’Asia
non hanno istruzione, accesso alle cure sanitarie e a molti altri servizi
pubblici di base. I trafficanti sanno che i genitori dei bambini in un contesto
di ignoranza e povertà sono facili da imbrogliare, e a
volte così disperati da vendere spontaneamente i loro figli. “Miei cari
amici, - ha spiegato suor Annie all’Onu - sono qui per dire che
queste donne e ragazze non si sono svegliate un giorno e hanno deciso di
spostarsi in città per entrare nel giro della prostituzione. Sono state
manipolate e convinte con l'inganno a lasciare le loro case. La nozione di
libertà di scelta qui è un’illusione”. Per suor Annie, quindi, “Lo sfruttamento spesso minorile
del sesso è solo un grande business. Ed è governato dagli stessi principi di
qualsiasi altra attività commerciale: domanda e offerta”. Se hai un prodotto
qualcuno compra e qualcuno vende anche se il prodotto è l’accesso sessuale a un
altro essere umano. Di fatto, oggi, la tratta di giovani donne esiste perché
“ci sono molti uomini - giovani, di mezza età, vecchi - che vogliono i loro
servizi. La vera soluzione è la conversione dei cuori, tagliare la domanda e
prosciugare il mercato”.
Per suor Annie però “non si sta
facendo abbastanza per impedire che queste ragazze vengano vendute” e all’Onu
ha lanciato un invito ad agire, per combattere le catene di approvvigionamento
dello sfruttamento sessuale con serietà visto che “I lavori di prevenzioni
in zone come la mia sono quasi inesistenti. Queste famiglie hanno bisogno di
accompagnamento amorevole. Hanno bisogno di opportunità. Hanno bisogno di
sentire che la società ha cura di loro”. Una situazione non diversa da
quella che esiste in molte zone della Cambogia. Qui accanto allo
sfruttamento della prostituzione è drammaticamente attuale il ricorso allo
sfruttamento di genere per fini commerciali attraverso la
maternità surrogata. Nonostante questa pratica sia illegale dal 2016, la
Cambogia resta una destinazione popolare per le coppie sterili per lo più
cinesi che cercano di avere figli e lo scorso mese le Forze di sicurezza di
Phnom Penh hanno scoperto 33 donne cambogiane che portavano in
grembo bambini per conto di clienti disposti a pagare migliaia di
dollari Usa. Per Keo Thea, direttore dell'ufficio anti-tratta di
Phnom Penh, “Le autorità hanno già incriminato le persone fermate per tratta di
esseri umani ed intermediazione in maternità surrogata” mentre le donne
incinte, come spesso accade, sono le prime vittime di questo commercio e “al
momento non dovranno rispondere di alcuna accusa”.
Come ha spiegato Thea normalmente ad
ogni mamma “vengono promessi 10mila dollari Usa”. Una volta incinta, ciascuna donna riceve 500
dollari e dopo il parto e la consegna del bambino, i termini dell’accordo
prevedono 300 dollari al mese, fino al raggiungimento della cifra pattuita, che
raramente però viene saldata. La rete criminale aveva già portato a termine
20 gravidanze e anche se non vi sono dati ufficiali sul numero di bambini
cinesi partoriti da madri surrogate, gli esperti affermano che ogni anno nella
sola Cambogia è possibile siano circa 10.000. Paesi come Thailandia e
India impediscono già da alcuni anni agli stranieri di accedere ai servizi di
maternità surrogata commerciale in seguito a una serie di scandali e conflitti sulla custodia dei neonati, per questo
le agenzie di maternità surrogata si sono spostate con rapidità nella
vicina Cambogia, che solo tre anni fa ha vietato un business che ancora
oggi continua illegalmente.
Negli ultimi mesi il mercato della
maternità surrogata sembra essersi spostato in Laos, un Paese al momento ancora
senza restrizioni in materia. Le autorità laotiane solo un anno fa
avevano ordinato la chiusura di una clinica della capitale Vientiane accusata
dello sfruttamento di alcune donne thailandesi per servizi illegali di
maternità surrogata per coppie sterili. La clinica, che offriva “servizi di consulenza” a ricche coppie e donne
incinte, è ancora oggetto delle indagini dei reparti della polizia nazionale
con l’accusa di "tratta di esseri umani". Le autorità thailandesi
hanno cominciato a sospettare che la clinica di Vientiane fornisse servizi di
surrogazione transfrontaliera in seguito ad alcuni arresti eseguiti tra l’aprile
e il maggio del 2017. Da tali fermi è emersa l’esistenza un traffico
internazionale di liquido seminale, ovuli e madri surrogate diretto in Laos e,
si suppone, alla clinica incriminata un anno fa. In attesa di una
legislazione che definisca il tema della maternità surrogata anche in Laos, il
ministero della Sanità continua a vietare qualsiasi pratica di fecondazione
artificiale e ha comunicato l’intenzione di costituire una specifica unità per
impedire che cliniche ed agenzie offrano tali servizi, spesso a scapito di
donne e madri non sempre al corrente del loro ruolo in questo autentico mercato
del corpo delle donne.
* da www.unimondo.org , 13 Luglio 2018 - foto: Avvenire.it
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