di Patrick Cockburn *
I miliziani jihadisti appoggiati dalla Turchia, che
hanno preso il controllo dell’enclave curda di Afrin nella Siria
settentrionale, nel marzo di quest’anno, avevano appeso dei manifesti che
riportavano istruzioni sull’ubbidienza alla legge islamica (la sharia). I manifesti hanno innescato
rabbiose proteste nelle strade da parte dei Curdi che sono per la maggior parte
musulmani, ma che hanno una tradizione laica e che sono rimasti ad Afrin fin
dall’invasione dell’esercito turco e dei miliziani siriani, spesso membri di
gruppi jihadisti, dei quali l’Isis ed al-Qaeda sono gli esempi estremi. I
manifesti sono stati tolti pochi giorni dopo dalla polizia militare turca, ma
sono soltanto il segnale più recente della pressione sulle donne curde da parte
degli jihadisti per far accettare il loro status di second’ordine e di
indossare la hijab (il velo) o il niqab (velo che copre la donna, dalla testa
ai piedi)**
Gulistan, una insegnante di Afrin di 46 anni, ha detto
a The Independent che lo scopo di quella che descriveva come “la campagna per
portare l’hijab”, è di costringere le donne a stare in casa e a non prendere
parte alla vita pubblica come le donne curde sono state in grado di fare
tradizionalmente. “Soltanto perché indosso i jeans, sento sempre parole come
“puttana, miscredente, cane di Assad e degli Sciiti, pronunciate dagli
stranieri in strada,” dice. “Un gruppo di donne ha tenuto veglie di protesta
per chiedere la rimozione dei manifesti,” aggiunge, spiegando che portare il
niqab è un’abitudine sociale più che religiosa e non fa parte della tradizione
curda.
La richiesta che le donne curde, che sono per lo più
Musulmane sunnite, portino la hijab o il niqab, arriva dai miliziani arabi e
dai coloni con analoghe convinzioni fondamentalista islamiche, che sono state
costrette ad andarsene dalla Goutha orientale da un’offensiva del governo
siriano A quanto si dice, 35.000, si sono presi le case di proprietà dei Curdi
e la terra abbandonata da circa 150.000 Curdi, fuggiti dall’invasione turca che
è iniziata il 20 gennaio ed è terminata con la presa della città di Afrin il 18
marzo. Le Nazioni Unite dicono che si stima che 143.000 Curdi siano
rimasti nell’enclave.
Bave Misto, un agricoltore di 65 anni della città di
Bulbul, a nord della città di Afrin, conferma che i Curdi sono sotto pressione
per far loro abbandonare le pratiche laiche. La sua famiglia è una delle meno
di 100 famiglie curde che restano a Bulbul, in confronto delle 600 che c’erano
prima dell’invasione. Dice che soltanto alle persone anziane viene ora permesso
di ritornare nelle loro case, e che i miliziani arabi che dicono di appartenere
all’Esercito Siriano Libero, stanno vietando agli uomini giovani e alle donne
di fare questo. Bave Misto dice che i miliziani stanno facendo appello agli
abitanti curdi di Bulbul di frequentare la moschea, e le famiglie arabe
trasferite da Damasco e da Idlib pregano lì cinque volte al giorno e “chiedono
alle nostre donne di mettersi la hijab”. Uno dei suoi nuovi vicini, Abu
Mohammad, di Goutha est, ha detto a Bave Misto di convincere sua moglie a
mettere la hijab, dicendo: “E’ meglio per questa vita e per la sua vita
nell’aldilà.”
Molti Curdi ad Afrin sospettano che l’attuazione delle
norma sociali fondamentaliste islamiche riguardo ai Curdi laici, è previsto per
incoraggiare la pulizia etnica dei Curdi di Afrin. Durante l’invasione varie
unità della milizia araba si sono filmati mentre scandivano slogan settati
anti-curdi, usati comunemente dall’Isia e da al-Qaida. I Curdi che vivono ad
Afrin affrontano difficoltà estreme per guadagnarsi da vivere. Il Signor Misto
ha un piccolo campo alla periferia di Bulbul, nel quale ci sono alberi di ulivo
e di ciliegie, ma quando ha cercato di entrarvi, gli è stato detto dai
miliziani arabi che era pieno di mine messe dal PKK (l’organizzazione curda
turca, chiamata Partito dei Lavoratori del Kurdistan), anche se il Signor Misto
era scettico circa questa informazione, perché i miliziani vi facevano
pascolare il bestiame. Il Signor Misto è stato in grado di recuperare la sua
casa da una famiglia araba che se ne era impossessata con l’aiuto della polizia
locale, con a capo un turco, Questa potrebbe essere un’indicazione delle
divisioni tra le diverse parti dell’Esercito Siriano Libero che è
un’organizzazione ombrello, sul modo di trattare i Curdi e se confiscare la
loro proprietà oppure no.
L’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani (SOHR), di
base nel Regno Unito, riferisce che Ahrar al-Sham, un movimento jihadista strettamente
alleato con la Turchia, ha sfrattato, sotto la minaccia delle armi, sette
famiglie di persone rimosse dalla Ghouta orientale, che avevano abitato in case
di Afrin, perché insistevano a pagare l’affitto ai proprietari curdi. Le
persone trasferite dalla Ghouta che sono state portate in convogli
ad Afrin, hanno detto che loro stesse erano state sfrattate dalle loro case dal
governo siriano, ma che non pensavano fosse giusto prendere le case di altri. Il
SOHR dice che Ahrar al-Sham ha minacciato di imprigionare le persone evacuate
dalla zona est della Ghouta se tornano nelle case che avevano affittato, con
l’accusa di “trattare con le forze siriane”. Anche se ad Afrin c’è una
sporadica attività di guerriglia da parte delle Unità di Protezione Popolare
curde, è improbabile che i cambiamenti demografici accaduti dopo l’invasione
turca, saranno annullati. Gulistan dice che la vita per i Curdi che sono
rimasti nell’enclave è cronicamente non sicura perché sono alla mercé di gruppi
come Ahrar al-Sham. Dice che suo zio ha un negozio di alimentari, ma che è
pesantemente tassato dalle milizie che spesso comprano la merce senza pagarla. Quando
si è rivolto alla polizia, i miliziani lo hanno maltrattato ancora di più. Gulistan
dice che uno dei suoi vicini è stato rapito tre settimane fa e che sua moglie e
suo fratello hanno ricevuto la richiesta di 50.000 dollari di riscatto per la
sua liberazione. Il SOHR conferma che ci sono saccheggi e combattimenti tra le
fazioni della milizia, e che un ufficiale curdo è stato torturato a morte.
* da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo - www.znetitaly.org
18 giugno 2018
Originale: The Independent - Traduzione di Maria
Chiara Starace
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