di Davide
Mazzocco *
La Giornata
mondiale per la lotta alla desertificazione e alla siccità 2018 è l’occasione
per scoprire l’ambizioso progetto
che coinvolge 20 paesi africani della regione sahelo-sahariana
La storia ci
ha abituato a muri fatti per dividere e difendere, per separare ciò che
dovrebbe e potrebbe stare insieme, ma la Grande Muraglia Verde che sta
nascendo in Africa non ha nulla a che fare con quella cinese eretta
dell’imperatore Qin Shi Huang, con i muri costruiti nel secolo scorso o
con le barriere innalzate in tempi più recenti nel maldestro e anacronistico
tentativo di arginare i flussi migratori. Già perché il progetto della Great
Green Wall for the Sahara and Sahel Initiative che coinvolge 20 paesi della
regione sahelo-sahariana (Algeria, Burkina Faso, Benin, Ciad, Capo Verde,
Gibuti, Egitto, Eritrea, Etiopia, Ghana, Libia, Mali, Mauritania, Niger,
Nigeria, Senegal, Somalia, Sudan, Gambia, Tunisia) ha come principale obiettivo
la lotta ai cambiamenti climatici
e alla desertificazione.
Nei
territori della fascia sahariana e saheliana a vocazione agro-silvo-pastorale
lo sviluppo socio-economico, la sicurezza alimentare e i bisogni alimentari
sono fortemente connessi alla disponibilità di risorse naturali (terre
arabili, risorse idriche, forestali e pastorali) e ai modi di
gestione delle stesse. Il progetto della Grande Muraglia Verde è nato per
contrastare gli effetti della desertificazione, della variabilità climatica e
della pressione antropica in atto nel Sahel da decenni. Dall’idea di partenza –
creare una barriera di alberi – il progetto della Grande Muraglia Verde si è
evoluto in una pianificazione di più ampio respiro finalizzata al rafforzamento
degli ecosistemi della regione, alla protezione del patrimonio rurale e al
miglioramento della sicurezza alimentare e delle condizioni di vita della popolazione
dei Paesi coinvolti. Il primo a ipotizzare la creazione di una barriera verde
nell’Africa sub-sahariana fu l’ambientalista Richard St. Barbe Baker:
nel 1952, durante una spedizione nel Sahara, propose la creazione di una fascia
verde di 50 km in opposizione all’avanzata del deserto. Per mezzo secolo l’idea
visionaria di St. Barbe Baker rimase lettera morta. Nel 2002, al summit
straordinario tenutosi a N’Djamena, in Ciad, l’idea è stata riproposta in
occasione della Giornata mondiale per la lotta alla desertificazione e
alla siccità che, come oggi, si celebra ogni 17 giugno. Tre anni dopo, alla
Conferenza dei capi di Stato e di Governo della Comunità degli stati del Sahel
e del Sahara tenutasi l’1 e il 2 giugno 2005 a Ouagadougou (Burkina Faso), il
progetto è stato finalmente approvato.
La Grande
Muraglia Verde è, senza ombra di dubbio, il più ambizioso progetto di contrasto
alla desertificazione al mondo: con i suoi 8000 km è qualcosa di più di un
semplice impianto di alberi. Gli obiettivi potrebbero essere riassunti
in sette punti: 1) sviluppare un territorio fertile, 2) migliorare
la sicurezza alimentare delle popolazioni africane, 3) sviluppare i lavori “green”, 4) ridurre le ragioni che
costringono le popolazioni africane a migrare, 5) aumentare le opportunità
di business e delle imprese commerciali, 6) proporre un simbolo di pace
in un contesto in cui i conflitti smembrano le comunità, 7) aumentare la
resilienza ai cambiamenti climatici in un’area in cui ci si attende che
le temperature aumentino più rapidamente che in qualsiasi altro luogo sulla
Terra. Il progetto è sicuramente molto ambizioso e per raggiungerlo si stanno
applicando le più moderne tecniche di captazione e distribuzione delle risorse
idriche.
Nel 2015 i
paesi membri delle Nazioni Unite si sono accordati per includere fra gli
obiettivi dello sviluppo sostenibile iniziative volte a ridurre e invertire i
processi di desertificazione. Anche in Cina si sta lavorando a una Grande
Muraglia Verde per arginare l’espansione del deserto del Gobi cresciuto,
dal 1950 a oggi, di un milione di chilometri quadrati (una superficie superiore
a quella di Francia e Italia). Attualmente le terre aride rappresentano
il 40% della superficie delle terre emerse, interessano più di 100 Paesi e
ospitano 2,3 miliardi di persone. Progetti analoghi a quelli di Africa e Cina
sono attualmente in atto in Cile, Perù, Colombia, Madagascar, Sri Lanka,
Thailandia e Cambogia. Un paradosso se si pensa alle deforestazioni in atto in Amazzonia, Argentina e Indonesia per
far posto a monocolture come quella della soia e delle palme da olio. Recuperare
aree desertificate come quella della Grande Muraglia Verde significa assorbire
carbonio, ricostruire la biodiversità e gli equilibri idrici, l’agricoltura e i
mercati, in poche parole creare i presupposti perché la gente non debba
abbandonare la propria terra e mettersi in viaggio verso luoghi più accoglienti
e un futuro migliore.
Pubblicato
il 17 giugno 2018 in Agricoltura|Biodiversità
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