14 marzo 2017

Israele, va bene, hai vinto


 Intervista a Jeff Halper, realizzata da Barbara Bertoncin *

Jeff Halper è un antropologo, già direttore dell’Icahd, è cofondatore di The People Yes! Network

All’indomani della cosiddetta legge furto, approvata dal parlamento israeliano, sembrano ormai venute meno le condizioni per una soluzione a due stati; il rischio di uno scenario in cui Israele si annette l’area C, si proclama lo stato palestinese a Gaza e il resto della Cisgiordania diventa un protettorato internazionale; l’unica alternativa: uno stato binazionale e democratico, dove i popoli di entrambe le nazioni si possano sentire a casa e al sicuro. Intervista a Jeff Halper.
Jeff Hal­per, an­tro­po­lo­go, già di­ret­to­re del­l’I­srae­li Com­mit­tee Again­st Hou­se De­mo­li­tions (Icahd), è co­fon­da­to­re di The Peo­ple Yes! Net­work (Tpyn). Vi­ve a Ge­ru­sa­lem­me.

Tu da tem­po de­nun­ci co­me in Israe­le-Pa­le­sti­na non ci sia­no più le con­di­zio­ni per una so­lu­zio­ne a due sta­ti.
Ab­bia­mo tra­scor­so an­ni e an­ni la­vo­ran­do sul­la que­stio­ne pa­le­sti­ne­se. Ovun­que nel mon­do è uno dei te­mi prin­ci­pa­li di cui la gen­te par­la. Ec­co, io di­co che la so­lu­zio­ne a due sta­ti è an­da­ta. È mor­ta. Ed è co­sì da an­ni. Il pro­ble­ma è che la si­ni­stra non ha an­co­ra de­fi­ni­to un nuo­vo obiet­ti­vo da rag­giun­ge­re. Qual è il no­stro pro­get­to?
Io ho scrit­to mol­to su quel­la che ri­ten­go deb­ba es­se­re la via da per­cor­re­re una vol­ta ve­nu­ta me­no l’op­zio­ne dei due sta­ti. Dob­bia­mo pun­ta­re a uno sta­to de­mo­cra­ti­co bi­na­zio­na­le.
Que­sta è la mia idea, ce ne so­no al­tre in gi­ro. Pur­trop­po la si­ni­stra non si espri­me, in­clu­si i pa­le­sti­ne­si, e noi sia­mo bloc­ca­ti, per­ché io non pos­so ri­ven­di­ca­re nul­la in no­me dei pa­le­sti­ne­si, pos­so spin­ger­mi so­lo fi­no a un cer­to pun­to, ma non pos­so rap­pre­sen­tar­li.
Con­ti­nuo a par­te­ci­pa­re a gran­di con­ve­gni, fra un pa­io di set­ti­ma­ne sa­rò in Ir­lan­da a in­ter­ve­ni­re sul di­rit­to in­ter­na­zio­na­le e i pa­le­sti­ne­si. Gli in­con­tri si sus­se­guo­no, c’è la cam­pa­gna Bds (boi­cot­tag­gio, di­sin­ve­sti­men­ti e san­zio­ni), ci so­no i dos­sier, i rap­por­ti del­l’O­nu, di Hu­man Rights Wat­ch, di Am­ne­sty e mi­lio­ni di al­tri grup­pi dif­fe­ren­ti, c’è la pro­te­sta... Ec­co, il pun­to è che ci so­no so­lo pro­te­ste e do­cu­men­ti! Non c’è un mo­vi­men­to po­li­ti­co pro-at­ti­vo. Non si fa nul­la di po­li­ti­co.
Israe­le non ha più l’ap­pog­gio in­con­di­zio­na­to da par­te del­la co­mu­ni­tà in­ter­na­zio­na­le. Trump si pro­cla­ma suo ami­co, ma non so­no cer­to lo sia dav­ve­ro.
Io con­ti­nuo ad an­da­re al­l’e­ste­ro a par­la­re, e la gen­te mi di­ce: va be­ne, ti ascol­tia­mo da ven­t’an­ni, sap­pia­mo tut­to, ab­bia­mo ca­pi­to, l’oc­cu­pa­zio­ne è una brut­ta co­sa, vìo­la i di­rit­ti uma­ni...  Ma dic­ci co­sa vuoi, dic­ci co­sa vo­glio­no i pa­le­sti­ne­si e gli israe­lia­ni di si­ni­stra. Dic­ci co­sa fa­re e lo fa­re­mo.
Boi­cot­ta­re So­da­stream non li­be­re­rà la Pa­le­sti­na. Ri­pe­to, ser­ve un obiet­ti­vo po­li­ti­co. Il pro­ble­ma è che noi di si­ni­stra non ci ve­dia­mo dav­ve­ro co­me at­to­ri po­li­ti­ci: com­men­tia­mo, ana­liz­zia­mo, scri­via­mo, ma non ci but­tia­mo, non ci im­pe­gnia­mo in un pro­ces­so po­li­ti­co. Co­sì la­scia­mo il ter­re­no li­be­ro a Ne­ta­nya­hu e al­la de­stra.

* da UNA CITTÀ n. 237 / 2017 marzo              Continua qui

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