di Fernando D'Aniello *
A meno di sette mesi dalle elezioni federali, sembra
prendere consistenza l’ipotesi di una coalizione tra Spd, Verdi e Linke, la
cosiddetta R2G, cioè rosso-rosso-verde. Non solo, ma una serie di sondaggi danno la Spd in ripresa e qualcuno
azzarda persino la possibilità che sia addirittura in vantaggio rispetto
all’Union di Cdu e Csu, uno scenario, fino a qualche settimana fa, del tutto
irrealistico, visto che il partito socialdemocratico era in caduta libera nei
consensi.
Si parla di «effetto Martin
Schulz», il nuovo candidato socialdemocratico alla Cancelleria e segretario del
partito, in seguito alle dimissioni di Sigmar Gabriel, ex segretario, da poco
nuovo ministro degli Esteri, dopo una «staffetta» con il socialdemocratico
Frank Walter Steinmeier, eletto nuovo presidente federale.
Schulz ha indubbiamente ricompattato
il partito, rimasto per mesi attonito e incapace di fronteggiare la
ricandidatura di Angela Merkel, confermata e approvata da un Congresso della
Cdu già nello scorso autunno. Nelle scorse settimane Schulz ha detto, però,
qualcosa di talmente importante da monopolizzare le prime pagine di quotidiani
e settimanali tedeschi (dallo «Spiegel» a «WirtschaftsWoche»). Schulz ha
ammesso che con Agenda 2010, il pacchetto di riforme volute dal governo
socialdemocratico di Gerhard Schröder (1998-2005), sono stati fatti «errori»
ai quali è necessario provvedere.
Nulla di particolarmente
significativo, ma è la prima volta che un candidato cancelliere parla, seppur
in termini molto blandi, di errori nei provvedimenti fatti dal governo
rosso-verde tra il 1998 e il 2005: in ogni caso sono state sufficienti per dare
nuova linfa all’ipotesi della R2G.
Le parole di Schulz sono state
immediatamente commentate dalla Linke che – anche questa è a suo modo una
notizia – le ha accolte con favore. Se Katja
Kipping, segretaria del partito, ha chiarito che «l’uscita dalla Nato non è una
precondizione per l’accordo con la Spd», Sahra Wagenknecht, da sempre tra le
voci più critiche con la socialdemocrazia, si è detta soddisfatta delle parole
di Schulz e non ha escluso una coalizione di governo se dovessero crearsi le
condizioni per un accordo che vada nella direzione di poter effettuare
politiche sociali più incisive nel senso della giustizia sociale.
Duri nei confronti di Schulz sono
stati, invece, quasi tutti i media, che hanno
provato a spiegare che la Germania non attraversa una fase poi così difficile,
che le disuguaglianze alle quali il candidato socialdemocratico fa riferimento
sono in realtà molto meno accentuate di quello che si pensi, sino ad affermare
che le ricette di Schulz possono mettere in pericolo la stabilità e la tenuta
del Paese. Fin qui le dichiarazioni dei protagonisti. Tuttavia è bene forse
qualche considerazione ulteriore per meglio precisare senso e portata di questo
dibattito.
Innanzitutto le dichiarazioni di
Schulz sono abbastanza generiche – lo ha
fatto notare anche Wagenknecht – e ancora prive di un vero programma di
governo. Certamente si tratta di un passaggio importante, ma rivolto più alla
discussione tra forze politiche che all’elettorato tedesco. Non è chiaro, ad
esempio, in cosa consistano questi errori e come s’intende provvedere: Schulz
ha affermato, ad esempio, che si sarebbe dovuto introdurre da subito il salario
minimo, una misura che, però, è stata realizzata dalla Grande coalizione nel
corso di questa legislatura e ha taciuto sugli interventi da realizzare quanto
agli aspetti più contestati delle riforme (ad esempio il sistema di sanzioni
per coloro che beneficiano dell’assicurazione di base Alg II).
Il dibattito, dunque, è interamente
tra specialisti della materia: in fondo si parla di una critica ad Agenda 2010,
cioè una serie di provvedimenti con i quali, a inizio 2000, il governo
rosso-verde di Gerhard Schröder tentava di riformare il Paese per renderlo più
competitivo proprio nel 2010. La Linke è nata proprio in opposizione a quei
provvedimenti ed è quindi ovvio che consideri un superamento di Agenda 2010 una
precondizione per un ingresso nella compagine di governo. Tuttavia oggi, a
quasi dieci anni dall’inizio crisi, la questione se e in che misura Agenda
2010 contenga degli errori è in gran parte superata: lo stesso Tribunale
costituzionale federale ne ha sanzionato alcune parti ed è opinione della
stessa componente sociale della Cdu che urgano correttivi.
La sensazione, però, è che manchi
ancora un’idea di Germania 2025, capace di
mobilitare l’elettorato, di togliere consenso ad Alternativ für Deutschland, e
rappresentare un’ipotesi credibile di governo alternativo non solo all’Union ma
anche a una riedizione della Grande coalizione. Ancora nulla sulla questione
abitativa, su quella sanitaria, sul problema del precariato: l’ipotesi di un
governo R2G spaventa perché metterebbe a rischio la competitività e il bilancio
federale con una crescita eccessiva della spesa pubblica (le critiche della
stampa si sono concentrate su quest’ultimo aspetto) ma non riesce a trasmettere
l’idea di una società diversa, più giusta e più equa.
Il rischio è, per la Linke, di
restare una forza residuale, le cui
proposte si rivolgono al reinserimento sociale di soggetti in grande
difficoltà, come disoccupati di lungo periodo e assegnatari di aiuti dello
Stato: un compito certamente encomiabile e necessario ma che, da solo,
renderebbe il partito incapace di rivolgersi a una platea di soggetti più
ampia. Mentre sulla Spd grava il rischio di non riuscire a convincere gli
strati di salariati e autonomi a rischio proletarizzazione della bontà
delle proprie ricette, sottraendo così voti non solo ai conservatori ma anche
ad AfD. Tutto ciò, senza citare la totale assenza di una riflessione comune tra
le forze progressiste sulla «questione europea», che a oggi è diventata, a
tutti gli effetti, una questione di politica interna.
Sulle possibilità di una coalizione
R2G, ci sono da considerare ancora tre aspetti. Non è ancora chiaro,
innanzitutto, se la strategia di Schulz punti effettivamente a un cambio di
governo o, più modestamente, a raccogliere più consensi dell’Union per poi
riproporre l’ipotesi della Grande coalizione magari a guida socialdemocratica.
Le dichiarazioni di Schulz, quindi, possono essere lette al momento come pura
tattica politica: il candidato socialdemocratico sembra volersi lasciare
aperta la strada della possibilità di un accordo a sinistra, forse per
rendere più credibile la propria autonomia e distanza dall’attuale Grande
coalizione, di cui la Spd è comunque parte, ed evitare l’errore di apparire un
candidato privo di alternative all’accordo con i conservatori, errore che
condannò quattro anni fa il socialdemocratico Peer Steinbrück.
In secondo luogo, c’è da considerare
il ruolo dei Verdi (la G della formula sta per Grünen): il partito sino a oggi
non si è espresso a favore di questa ipotesi e, anzi, i suoi principali
esponenti non escludono la possibilità di un accordo con la stessa Union e con
i liberali della Fdp che potrebbero rientrare al Bundestag. Attualmente
coalizioni tra verdi e conservatori governano in due Länder molto importanti
come Baden Württemberg e Hessen.
Infine, non è detto che un
avanzamento della Spd costituisca un avanzamento complessivo delle forze di
un’ipotetica coalizione R2G: è possibile, anzi, che una nuova crescita
della Spd danneggi elettoralmente la Linke, finendo per rendere indispensabile
l’ipotesi – ad avviso di chi scrive nefasta – di una nuova Grande coalizione.
·
da
www.rivistailmulino.it , 7 marzo 2017
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