La nuova legge urbanistica esautora i Comuni che non
avrebbero modo di impedire né selvagge intensificazioni in aree urbane già
congestionate, né lo sparpagliamento di strutture commerciali, stabilimenti
industriali, insediamenti residenziali attorno ai centri urbani.
La giunta dell’Emilia-Romagna il 27
febbraio ha deliberato il disegno di una nuova legge urbanistica regionale,
proponendolo all’approvazione dell’Assemblea legislativa. Secondo l’assessore
alla programmazione territoriale Raffaele Donini, che l’ha presentata, la nuova
legge sarebbe fondamentale per affermare il principio del consumo di suolo a
saldo zero, promuovere la rigenerazione urbana e la riqualificazione degli
edifici, semplificare il sistema di disciplina del territorio, garantire la
legalità. Sono slogan che mascherano l’obiettivo essenziale del disegno di
legge, ovvero l’impianto di un regime privilegiato a favore delle iniziative
immobiliari private.
Proclamando risparmio di suolo e
qualificazione urbana, la legge va in senso opposto. Il limite del tre per
cento posto all’espansione dei territori urbani, già in sé molto elevato, è
aggiuntivo, non alternativo all’ulteriore occupazione di suolo che i piani
urbanistici ammettono. E l’«addensamento» indiscriminato, concepito e ribadito
come unico modo della rigenerazione urbana, non promette qualità, ma ecomostri.
La realizzazione di nuovi
insediamenti residenziali, produttivi, commerciali, e le operazioni di
addensamento e rigenerazione urbana mediante la demolizione e ricostruzione di
edifici o di interi isolati, sarebbero esenti da qualsiasi condizionamento e
disciplina urbanistica cogenti, e interamente rimesse ad «accordi operativi»
congegnati a esclusivo vantaggio della parte privata. Ai comuni sarebbe
tassativamente vietato disporre una disciplina urbanistica cogente per i nuovi
insediamenti e per la «rigenerazione» di parti urbane.
Esautorati dai poteri di
pianificazione urbanistica e obbligati a raggiungere l’accordo con i privati
entro scadenze brevi e perentorie, i comuni non avrebbero modo di impedire né
selvagge intensificazioni in aree urbane già congestionate, né lo
sparpagliamento di strutture commerciali, stabilimenti industriali,
insediamenti residenziali attorno ai centri urbani. E per di più sarebbero defraudati
di contributi oggi dovuti per questo genere di iniziative dai privati
proprietari, che la proposta di legge intenderebbe invece esonerare, in tutto o
in parte secondo i casi. Le implicazioni per le centinaia di comuni di minore
dimensione nella nostra regione, e per sistemi insediativi policentrici o
diffusi, come nelle realtà montane, sono totalmente ignorate. Sostanzialmente
invariata resterebbe invece la condizione delle trasformazioni diffuse del
patrimonio edilizio esistente. L’adeguamento di abitazioni, capannoni, uffici e
negozi alle esigenze di famiglie e attività economiche resterebbe soggetto alle
consuete e non sempre razionali limitazioni disposte dalla disciplina
urbanistica ed edilizia, e ai consueti oneri.
L’autentico intento dalla proposta
legge sta dunque nell’impianto di un doppio regime urbanistico, in cui le
iniziative immobiliari poste in atto da imprese di costruzione e promotori
godrebbero di privilegi e arbitrio inusitati, lasciando le esigenze di famiglie
e attività economiche soggette ai vecchi dispositivi, del cui rinnovamento è in
certa misura avvertita la necessità, ma non sono nemmeno intravisti i modi.
Con queste finalità il disegno di
legge non esita a porsi in frontale contrasto con l’ordinamento nazionale, e
violare con ciò la Costituzione. La diffusione di leggi analoghe in altre
regioni andrebbe a soverchiare i fondamentali istituti di tutela e disciplina
del territorio nel nostro paese, dalla periferia riuscendo in ciò che ripetuti
tentativi parlamentari hanno fallito.
Non serve una nuova legge
urbanistica regionale. La legge 20/2000, dall’origine mal compresa, peggio
attuata e poi variamente pasticciata, ha certamente bisogno di una robusta
rielaborazione, ma per fermare il dispendio di suolo e qualificare il territorio,
in particolare quello urbano, servono buone politiche di cui i comuni siano
attori principali, con rinnovati strumenti e nel quadro di solidi riferimenti
nel piano territoriale regionale e nei piani di area vasta. La consegna del
territorio agli interessi della speculazione fondiaria va in senso del tutto
opposto.
***Firmatari: Ilaria Agostini, Pier
Giovanni Alleva, Rossanna Benevelli, Jadranka Bentini, Antonio Bonomi, Paola
Bonora, Sergio Caserta, Piero Cavalcoli, Pierluigi Cervellati, Mauro Chiodarelli,
Vezio De Lucia, Paolo Dignatici, Marina Foschi, Mariangiola Gallingani, Michele
Gentilini, Giulia Gibertoni, Giovanni Losavio,Tomaso Montanari, Ezio Righi,
Giovanni Rinaldi, Piergiorgio Rocchi, Edoardo Salzano, Maurizio Sani, Sauro
Turroni, Daniele Vannetiello
Il manifesto del 10 marzo 2017
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