Un decreto ministeriale pubblicato pochi giorni fa in Gazzetta Ufficiale
permette alle compagnie di modificare in corsa il programma di sviluppo:
possibili altri pozzi. È il contrario di quanto deciso da Renzi per svuotare la
consultazione del 17 aprile scorso.
Trivelle
entro le 12 miglia dalla costa, ora si può. È stato pubblicato pochi giorni fa
in Gazzetta ufficiale un decreto ministeriale che, di fatto, dà alle compagnie
petrolifere la possibilità di dmodificare il programma di sviluppo previsto
al momento del rilascio di una concessione e recuperare le riserve
esistenti. Che significa costruire nuovi pozzi e nuove piattaforme, al contrario di quello che per mesi aveva
dichiarato il Governo Renzi prima del referendum sulle trivelle del 17
aprile scorso. Stando al testo, dunque, nuove
trivellazioni saranno possibili eccome, anche nelle aree ricadenti entro le 12
miglia marine, già date in concessione. È scritto nero su bianco nel Disciplinare
tipo per il rilascio e l’esercizio dei titoli minerari per la prospezione,
la ricerca e la coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in
terraferma, nel mare territoriale e nella piattaforma continentale. “Fatta la
legge, trovato l’inganno, altro che transizione energetica ed accordo di
Parigi” ha commentano il Coordinamento No Triv. E se a ilfattoquotidiano.it Enzo
Di Salvatore, costituzionalista ed estensore dei quesiti referendari, aveva
già annunciato prima e dopo la consultazione del 17 aprile scorso la
possibilità che la vittoria del ‘no’ al referendum potesse comportare il via libera a quelle attività necessarie
per portare a termine i programmi delle compagnie petrolifere anche
entro le 12 miglia, questo nuovo decreto va persino oltre.
“Il nuovo Disciplinare – spiega ora Di Salvatore – consente non solo di
terminare un progetto, ma persino di modificarlo, eludendo così il divieto
di legge”.
IL TESTO DEL DECRETO – Al Capo III, articolo 15 si illustrano le attività consentite. “Fermo
restando il divieto di conferimento di nuovi titoli minerari nelle aree
marine e costiere protette e nelle 12 miglia dal perimetro esterno di tali
aree e dalle linee di costa lungo l’intero perimetro costiero nazionale –
recita il testo – sono consentite, nelle predette aree, le attività da
svolgere nell’ambito dei titoli abilitativi già rilasciati, anche apportando
modifiche al programma dei lavori originariamente approvato”. Tanto per
fare un esempio: se una compagnia aveva previsto di portare a termine
un’attività che necessitava di tre piattaforme e 12 pozzi, il programma
andrà rispettato. Ma c’è di più. Non solo si garantisce alle compagnie
petrolifere di portare a compimento i propri piani, ma si lascia aperta la
possibilità di ‘varianti’. Modifiche “funzionali a garantire l’esercizio dei
lavori – continua il decreto – nonché consentire il recupero delle
riserve accertate, per la durata di vita utile del giacimento e fino al
completamento della coltivazione, nel rispetto degli standard di sicurezza e di
salvaguardia ambientale”.
LA REAZIONE DEI NO-TRIV – “Per titoli già rilasciati – sottolinea il Coordinamento No Triv – le compagnie
potranno presentare e farsi autorizzare una qualsiasi ‘variante’ al programma
originario di lavoro, che preveda la perforazione di nuovi pozzi sempre
entro le 12 miglia marine dalle linee di costa e fino alla fine del ciclo di
vita del giacimento”. I No Triv annunciano battaglia: “Il governo
straparla di obiettivi al 2030, di ‘Winter package’ e di rispetto
degli accordi di Parigi, ma nella prassi continua sistematicamente a
creare corsie preferenziali per le energie fossili eludendo i divieti di
legge. Con questa norma il governo ha raggirato 14 milioni di italiani e
10 regioni”.
IL COSTITUZIONALISTA: ‘SI ELUDE LA LAGGE’ – Secondo Enzo Di Salvatore in questo modo si elude il divieto di legge.
Cosa dice la norma? “Prevede che entro le 12 miglia marine sia possibile
solo continuare a estrarre con i pozzi esistenti e portare a termine il programma
di sviluppo – spiega – mentre l’utilizzo di nuovi pozzi e nuove piattaforme
è consentito solo se già previsto dal programma di sviluppo originariamente
presentato”. Questo aveva confermato anche il Consiglio di Stato nel
2011, in un parere dato al Governo Berlusconi che chiedeva
spiegazioni in merito ai limiti imposti dal divieto di ricerca ed estrazione
entro le 5 miglia marine introdotto nel 2010. Secondo il Consiglio di Stato,
per quanto riguardava i titoli già rilasciati, il divieto non
comprendeva l’esecuzione del programma di sviluppo del campo di coltivazione
e del programma dei lavori di ricerca, così come allegati alla domanda di
concessione originaria, la costruzione di impianti e opere necessarie, gli
interventi di modifica, le opere connesse e le infrastrutture
indispensabili all’esercizio, oltre alla realizzazione di attività di
straordinaria manutenzione degli impianti e dei pozzi che non comportino
modifiche impiantistiche. “E questa è l’unica possibile interpretazione
ammessa – aggiunge Di Salvatore – nonostante l’esito negativo del referendum
del 17 aprile 2016. Eppure ora ci ritroveremo a fare i conti con tutti i progetti
passibili di modifica. Che non sono pochi”.
da ilfattoquotidiano.it
, 5 aprile 2017
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