Referendum in Turchia. Domani si vota sulla riforma
costituzionale voluta dall’Akp. Campagna elettorale a senso unico ma tra sì e
no è testa a testa. Se le modifiche passeranno, il presidente controllerà
giudici e parlamento Alla vigilia dell’apertura dei seggi in tutta la Turchia
per il referendum costituzionale, i sondaggi vedono un serratissimo testa a
testa tra i due schieramenti, con pochi punti percentuali a separarli.
SI VOTERÀ
SULLA MODIFICA alla
costituzione approvata dal parlamento lo scorso gennaio. I voti favorevoli dei
parlamentari si sono rivelati insufficienti per un’approvazione diretta, ma
abbastanza per convocare le urne e passare dunque la parola ai cittadini. Se
approvata, la Turchia assumerà una forma presidenziale centralizzata, che ha
destato preoccupazioni circa la tenuta delle istituzioni democratiche del
paese.
CON LA
RIFORMA il presidente della Repubblica
assume il potere esecutivo e allunga le mani verso i poteri legislativo e
giudiziario: governa tramite decreti legge, sceglie i ministri, nomina le alte
cariche della burocrazia statale, abbandona il ruolo super partes e mantiene
appartenenza e leadership del partito, elegge sia la maggioranza dei membri
della corte costituzionale chiamata eventualmente a giudicarlo, sia quelli del
consiglio superiore della magistratura che distribuisce giudici e procuratori
sul territorio. Inoltre è al comando delle forze armate. Resistono ancora
alcune prerogative del parlamento. Ma con la perenne presenza della spada di
Damocle dello scioglimento dell’assemblea, altro potere presidenziale, quanta
dialettica ci si può attendere e quanta subordinazione? I fautori della riforma
ne invocano i benefici facendo affidamento sulla necessità di una Turchia
forte, governata da un partito forte e da un uomo forte. Recep Tayyip Erdogan
si appresta a coronare il suo sogno politico personale e quello di almeno tre
generazioni di militanza politica islamica.
LARGO ALLA
NUOVA TURCHIA, fondata su
un legame senza intermediari tra il leader e il suo popolo, che non è però
tutto il popolo, perché chi non accetta e condivide questo legame non ha
patria. Verrà marginalizzato, come sta accadendo alla decadente vecchia élite,
rinchiusa nei club e nelle ville ad ammirare il proprio declino. Oppure verrà
spazzato via, come le opposizioni kurde, come i vecchi amici e alleati oggi
considerati traditori, come chi si batte e deve scegliere tra il carcere o
l’esilio.
UN CAMBIAMENTO di tale dimensione storica verrà votato in un clima
sociale arroventato e traumatizzato: dalla guerra in molte regioni del sud est
a maggioranza kurda, da un’operazione di sradicamento dallo Stato di uno
scomodo ex alleato che non poteva essere indolore, l’imam Gülen, da uno stato
di emergenza che ha annullato la certezza del diritto e dato spazio
all’arbitrarietà e all’abuso di potere di chi obbedisce, per sincero timore o
per desiderio di compiacenza. L’Akp fonda la sua campagna sulla propria capacità
organizzativa, attraverso le sue organizzazioni di quartiere e la sua
mobilitazione dal basso, nonché su una vasta disponibilità economica grazie ai
legami con una borghesia rampante cresciuta in simbiosi con chi è al governo
ormai da quindici anni.
ACCANTO A
TUTTO CIÒ c’è l’ostruzione delle opposizioni,
a cominciare da quella interna. Rarissimi i No che si sentono nell’Akp, con gli
avversari di Erdogan preferiscono trincerarsi dietro una silenziosa
marginalizzazione. Vincesse il sì, probabilmente pagheranno la loro mancata
militanza a fianco del leader, ma assai meno che con un’esplicita presa di
posizione. L’ostruzione avviene anche negli spazi pubblicitari, nei canali
delle tv dominati dall’Evet (Sì in turco), dove la timida comparsa una tantum
di due esponenti dell’Hdp martedì scorso sul canale statale Trt1 viene
vissuta come un’inspiegabile eccezione, o forse un blando tentativo di
apparente pluralismo.
L’OSTRUZIONE
È NEL CAOS di almeno 500mila sfollati del sud
est, tra quartieri distrutti e seggi continuamente spostati, dove ci si deve
legittimamente chiedere come possano convivere bombe e urne elettorali. Ed è
anche nelle decine di migliaia di epurati che languono in carcere o ci muoiono,
etichettati nemici dello Stato e difficilmente potranno votare. Il referendum
di domenica avviene nelle peggiori condizioni possibili, eppure i popoli di
Turchia sono chiamati a dare una risposta: evet o hayir.
Dimitri Bettoni su il manifesto , 15 aprile 2017
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