Spagna,
Podemos: Lo scontro. Alla base della
crisi interna ci sono gli stessi cinque elementi che hanno permesso l’ascesa
del partito: il nucleo fondatore era troppo ristretto per sostenere la
costruzione di un partito nazionale, e ora è diviso; pratica
elettorale-istituzionale e rapporto con i movimenti sono difficili da
coordinare; la logica dei media può assorbire le dinamiche interne di un
partito; la distanza tra il contesto latino-americano e quello spagnolo si è
rivelata significativa; è difficile mantenere nel tempo un’immagine di novità
ed estraneità rispetto agli attori politici tradizionali; il concetto di
«populismo», e l’interpretazione che ne va data, sono diventati un terreno di
disputa ideologica
di Loris
Caruso *
Podemos ha
segnato la vita politica degli ultimi due anni: è un’invenzione politica che
può costituire uno spartiacque tra un «prima» e un «dopo» nell’organizzazione
politica della sinistra; anche per questo, per le èlite spagnole ed europee è
un esperimento che deve fallire il prima possibile. La sua ascesa è stata
velocissima: l’8% dei voti nelle europee del 2014, il 14% nelle regionali del
2015, il 20% nelle elezioni nazionali del 2015, il 21% (con Izquierda Unida)
nel 2016, e la conquista del governo delle principali città spagnole.
Podemos si è
collocato, piuttosto che lungo l’asse sinistra/destra, nella linea di frattura
che divide basso e alto della società, e per questo è stato definito (e a volte
si è definito) populista. La sua retorica è incentrata sulla contrapposizione
tra «puro popolo» ed élite corrotta, declinata in dicotomie quali gente comune/privilegiati,
produttori/parassiti, maggioranza sociale/élites, virtù/corruzione,
democrazia/oligarchia.
Alla base
della sua costituzione e della sua crescita ci sono cinque elementi precisi. Il
nucleo fondatore Il primo è il suo nucleo fondatore, costituito da ricercatori
(quasi tutti giovani) dell’Università Complutense di Madrid. Un nucleo molto
compatto, di cinque persone, diventati poi massimi dirigenti del partito.
Podemos è
l’impresa politica pensata da un gruppo di intellettuali marxisti o ex marxisti,
militanti o ex militanti della sinistra radicale e dei movimenti sociali, che
hanno pensato che per cogliere la «finestra d’opportunità» offerta dalla
concomitanza della crisi economica e della crisi politica in Spagna, a cui si
era aggiunta l’emergenza decisiva del più grande movimento sociale europeo
degli ultimi 10 anni (gli Indignados), fosse necessario costruire
un’organizzazione radicalmente innovativa dal punto di vista del discorso e
dell’organizzazione, che non mostrasse traccia delle vecchie esperienze e delle
sconfitte storiche della sinistra.
La televisione
Il secondo
elemento è la televisione. Iglesias ha fondato nel 2010 una web-Tv, e grazie a
questo è diventato, dal 2013, opinionista abituale in canali televisivi
nazionali. Se Iglesias non fosse diventato noto grazie ai dibattiti Tv in prime
time, Podemos non sarebbe nato, perché il «capitale mediatico» accumulato
dal leader è stato la risorsa fondamentale per tentare l’iniziale «blitz»
elettorale.
I movimenti
Il terzo
elemento sono i movimenti spagnoli del 2011-2013: gli Idignados, le
mobilitazioni in difesa di sanità e istruzione, il movimento anti-sfratti della
PAH. Questi movimenti sono il luogo simbolico a cui gli esponenti del partito
si richiamano come a un’origine, un’epica, un mito fondativo. Hanno adottato le
principali parole d’ordine, rivendicazioni ed elaborazioni simboliche di questi
movimenti, integrandone attivisti e portavoce. Senza gli Indignados, non ci
sarebbe stato il partito.
Teoria politica
C’è poi il
ruolo della teoria politica, e nello specifico il ruolo della teoria sul
populismo di Ernesto Laclau. Per Laclau il populismo è la politica, perché la
politica è sempre la costruzione di un Discorso in cui uno spettro molto ampio
di istanze, domande e identità possa riconoscersi, definendo un «popolo» più
ampio possibile.
Podemos ha
applicato la «ricetta» di Laclau nella sua definizione della frontiera politica
(cittadini/élite privilegiata), nella centralità assegnata al discorso e alla
comunicazione, e nella rappresentazione della funzione del partito nella
società (ristabilire, su nuove basi, un ordine civile e sociale lacerato dalle
élite).
Il modello empirico
Infine,
Podemos ha come retroterra un modello empirico: i partiti e i governi
«bolivariani» dell’America Latina (Ecuador, Venezuela, Bolivia). Il partito è
stato anche un tentativo di tradurre quelle esperienze nel contesto spagnolo.
I fondatori
hanno ritenuto – e qui c’è grande parte della loro scommessa politica – che la
crisi economica e l’emergere in Spagna di ampi fenomeni di corruzione potessero
determinare un processo di latino-americanizzazione della società.
Il 15-M
poteva quindi svolgere in Spagna il ruolo che in America Latina è stato giocato
dalle grandi mobilitazioni indigene, contadine e urbane. Iglesias poteva
svolgere il ruolo di Morales, Chavez e Correa. Podemos quello dei loro
rispettivi partiti.
L’unione di
questi cinque elementi ha rappresentato il punto di forza del partito, che nel
suo primo anno ha goduto di una curva ascendente con pochi precedenti. In un
anno è passato dall’8% delle europee al 27% nei sondaggi. In quel momento sono
iniziati i problemi.
L’inizio dei problemi
Il suo
nucleo fondatore ha iniziato a essere colpito da campagne mediatiche e
inchieste giudiziarie (tutte archiviate) molto efficaci nell’incrinarne
l’immagine. Monedero, uno dei fondatori e figura tuttora centrale, ne è stato
la prima vittima. Accusato di elusione fiscale, si è dimesso dalle cariche
esecutive nel marzo 2015, lamentando una scarsa difesa da parte del proprio
partito: il «nucleo della Complutense» si rompe. È, questa, una ferita
originaria che si trascina a oggi.
Il secondo
problema è stato l’ascesa di Ciudadanos (il «Podemos di destra»), sostenuta da
èlite e media. Ciudadanos comincia a salire nei sondaggi togliendo a Podemos il
ruolo di unico partito rappresentante del cambiamento.
Con le
elezioni regionali Andaluse del marzo 2015 si apre poi un ulteriore fronte di
disputa interna: un dibattito tra l’area di Errejon, fautrice di un appoggio
esterno al governo socialista, e l’area di Iglesias, contraria. Emerge così una
frattura che riguarda il modo di intendere la vita istituzionale e il rapporto
con il Psoe. Anch’essa arriva fino a oggi.
In quella
fase la curva ascendente di Podemos si è già interrotta. Il periodo
dell’irruzione nel sistema politico è chiuso, e il partito è ormai percepito
come una presenza stabile nel panorama politico. Le elezioni amministrative e
regionali del Maggio 2015 hanno esiti ambivalenti. Podemos elegge in coalizione
con altre forze i sindaci delle più grandi città spagnole. Dove si presenta da
solo, però, i risultati sono meno brillanti. Alle regionali catalane di
settembre registra il suo risultato peggiore: solo l’8%, a tre mesi delle
elezioni generali.
Il momento più difficile
È questo il
momento più difficile nella storia di Podemos, collocato al quarto posto nei
sondaggi e descritto dai media come esperienza definitivamente declinante. Per
le elezioni nazionali di dicembre, però, il partito si inventa una campagna
elettorale eccellente, giocata tutta in attacco. In un mese guadagna 5-6 punti
percentuali, arriva a 5 milioni di voti ed elegge 70 deputati.
Si apre una
nuova fase e con essa nuove fratture: bisogna preservare la propria immagine di
outsider (Iglesias) o interagire in Parlamento con altre forze per ottenere
risultati concreti (Errejon)? Bisogna cercare o meno l’intesa con il Psoe per
formare un governo, e in che modo? Incalzandolo (Iglesias) o «seducendolo» (Errejon)?
Che rapporto mantenere con la società civile?
Per Errejon,
le piazze devono essere dei movimenti, mentre il partito deve dare un’immagine
di efficacia e affidabilità istituzionale. Per Iglesias il partito deve
inventare nuove forme di contropotere sociale.
Il nuovo fronte interno
Nel giugno
2016, come noto, si vota di nuovo. Si apre un nuovo fronte interno: come
intendere l’alleanza con Izquierda Unida? È un’episodica e strumentale
relazione elettorale (Errejon), o la costruzione di un «blocco storico»
gramsciano (Iglesias)?
La perdita
di 1 milione di voti rispetto a dicembre fa precipitare le faglie di divisione
accumulate nel tempo. Si arriva così al congresso che si apre domani, in cui si
confrontano tre candidature principali (Iglesias, Errejon e gli
anticapitalisti). Il confronto è durissimo e l’esito del congresso non è
affatto scontato.
Alla base
della crisi interna ci sono gli stessi cinque elementi che hanno permesso
l’ascesa del partito: il nucleo fondatore era troppo ristretto per sostenere la
costruzione di un partito nazionale, e ora è diviso; pratica
elettorale-istituzionale e rapporto con i movimenti sono difficili da
coordinare; la logica dei media può assorbire le dinamiche interne di un
partito; la distanza tra il contesto latino-americano e quello spagnolo si è
rivelata significativa; è difficile mantenere nel tempo un’immagine di novità
ed estraneità rispetto agli attori politici tradizionali; il concetto di
«populismo», e l’interpretazione che ne va data, sono diventati un terreno di disputa
ideologica.
Al congresso
di Vistalegre il compito di trovare un nuovo equilibrio.
* da il manifesto del 10 febbraio 2017
Nessun commento:
Posta un commento