Servono 240 Kmq di superficie per produrre l’energia necessaria al consumo domestico non ancora garantita dalle alternative. Lo spazio sulle abitazioni private c’è
di Roberto D’Agostino *
Esistono alternative
tra il riempire la Sardegna e le altre regioni del sud di pale eoliche e
coprire vaste porzioni di territorio di pannelli fotovoltaici allo scopo di
garantire la transizione verde o mantenere sostanzialmente l’impostazione
fossile attuale. Così come esistono alternative all’affidare la soluzione del
problema alle grandi agenzie energetiche che il problema hanno generato o alle
logiche speculative e di profitto delle multinazionali.
Una alternativa (non
la sola) è mettere nelle mani dei cittadini la gestione di un bene comune così
prezioso come l’energia, realizzando una produzione democratica e diffusa e
impedendo che a deciderne la gestione siano grandi gruppi privati. Propongo un
esempio e una simulazione.
IL CONSUMO DOMESTICO di energia in
Italia non coperto dall’attuale produzione di energia alternativa è calcolabile
in circa 50 TeraWh: per farvi fronte occorrerebbe una superficie di pannelli
fotovoltaici di circa 240 kmq.
Nel 2021 Ispra calcolava la superficie di tetti in Italia in 5.400 kmq di cui
il 50% circa di residenziale; vale a dire 2.700 kmq. Se sottraiamo a questa
cifra il 50% di inusabile o di già usato e un ulteriore 50% per cause varie
come cattiva esposizione, centri storici o altro, resta la disponibilità di 660
kmq di tetti utilizzabili. Un valore ben superiore ai 240 kmq necessari per
coprire il fabbisogno di energia nazionale per usi domestici.
L’intera operazione a
livello nazionale avrebbe un costo di circa 115 miliardi e coinvolgerebbe circa
15 milioni di famiglie. Come si potrebbe procedere? Incentivando le famiglie
che installano, ad esempio, 3 KW attraverso pannelli solari con l’abolizione
per un anno delle bollette di luce e gas. Istituendo una linea di credito
esigibile in tutti gli sportelli bancari e postali e garantita dallo Stato o
dalla Regione a disposizione delle famiglie che aderiscono all’iniziativa, che
finanzi al 100% la realizzazione degli impianti da restituire in 15 anni. Chi
aderisce all’iniziativa risparmia somme considerevoli calcolabili sulla base
dei consumi medi familiari in ottocento euro all’anno per il primo anno, di
trecento per i successivi quattordici anni e ottocento per i dieci successivi.
FACENDO L’IPOTESI che un milione
di famiglie aderissero all’iniziativa, verrebbero attivati 7 miliardi circa di
lavori con un costo per lo stato di 800 milioni (pagamento di un anno di
bollette a un milione di famiglie). Questa cifra verrebbe più che compensata
dai 700 milioni di recupero Iva sui 7 miliardi di lavori e 200 milioni di
recupero Irpef dovuto dalle imprese e le aziende che vendono e fanno i lavori.
Va inoltre considerato
che (secondo i dati del ministero della transizione ecologica) nel 2021 un
miliardo di euro investito in fotovoltaico ha generato oltre seimila Ula (unità
di lavoro) temporanee ed altrettante a tempo pieno. In altre parole, 7 miliardi
di lavori genererebbero 84mil posti di lavoro. Con ulteriore recupero da parte
dello Stato, espresso in minore assistenza e maggiore contribuzione. Dunque
l’intera operazione si risolverebbe in un utile netto per lo Stato e per le
famiglie, oltre che nel risparmio di 450mila tonnellate di CO2 all’anno e 250
milioni di metri cubi di metano.
Fantasie? Fate pure i calcoli.
Se alle coperture
residenziali si aggiungessero le superfici utilizzabili sulle coperture
industriali le conseguenze sarebbero spettacolari. Un esempio. A Porto Marghera
è stata calcolata la disponibilità di 130 ettari di coperture utilizzabili per
il fotovoltaico. Il più esteso campo fotovoltaico italiano con una produzione
che coprirebbe l’8% del fabbisogno di rete della città e produrrebbe un
risparmio di circa 35mila tonnellate annue di CO2, l’equivalente di un milione
e mezzo di alberi.
Si tratta di un
approccio diverso al problema energetico, che punta alla valorizzazione dei
pro-sumer, ovvero a trasformare il consumatore anche in un produttore,
limitando una frammentazione del mercato che inevitabilmente ha portato a forti
distorsioni.
Non si tratta solo di puntare ad una virtuosa autosufficienza, ma anche a un
diverso approccio al consumo (più consapevole), rivisto con un atteggiamento
diffuso che da una parte riduce la distruzione del territorio (con meno
infrastrutture costosissime e impattanti) e dall’altra evita pericolose
concentrazioni economico finanziarie, che inevitabilmente fanno dello scambio
ineguale una ragione di (ingiusto) profitto.
APPARE IMPORTANTE in tale
approccio la governance del sistema: un’azione virtuosa deve tenere conto di
tutti gli aspetti dell’intervento, non solo quello energetico, che ne è il
motore. Va dunque promossa la formazione nel settore, incentivando le aziende
nazionali di ricerca e produzione (non in una visione autarchica, ma per
ridurre impatti ambientali e dipendenze), così come quelle gestionali e di
riciclo (seguendo il prodotto «dalla culla alla tomba»), chiudendo il ciclo
economico e creando esternalità positive.
Dai dati
sinteticamente enunciati appare assolutamente realistico un approccio olistico,
dove si possa puntare ad una completa autosufficienza elettrica con uno sforzo
importante, ma non impossibile, anche tenendo conto della partecipazione
statale alle grandi imprese energetiche e finanziarie, da governarsi in
funzione di una produzione diffusa, certamente meno speculativa, ma altrettanto
certamente più consona ad una approccio economico sano.
Risultati? La
decarbonizzazione integrale del fabbisogno domestico di energia elettrica; il
risparmio per le famiglie sui costi dell’energia e un corrispondente aumento
delle capacità di spesa; l’attivazione di investimenti per decine di miliardi
di euro; l’aumento di centinaia di migliaia di posti di lavoro; l’attivazione
di nuove filiere industriali e anche significativi utili per lo Stato in
termini di recupero fiscale.
* da il manifesto - 14
agosto 2024
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