La procura di Istanbul chiede la messa al bando della storica piattaforma We Will Stop Femicide per «atti contro la morale». Domani manifestazione di protesta. Intanto nel paese gli uomini uccidono una donna al giorno e l'Akp di Erdogan progetta riduzioni di pena
Solo a marzo
in Turchia uomini hanno ucciso 25 donne. Più della metà tra le mura domestiche.
Nel 2021 ne hanno ammazzate 339, praticamente una al giorno. A tenere il conto,
da 12 anni, dei femminicidi commessi in Turchia, a denunciare sparizioni
forzate, a guidare le donne nei procedimenti penali e a occuparsi delle vittime
di abusi e violenze è We Will Stop Femicide Platform.
ASSOCIAZIONE
BATTAGLIERA, in prima linea contro le (volute) disfunzioni dello Stato turco in
materia, anima delle proteste di piazza e della battaglia seguita all’uscita,
nel luglio 2021, di Ankara dalla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la
lotta contro la violenza sulle donne, ora quella piattaforma rischia di
chiudere. Per decisione di un giudice. La procura di Istanbul, ieri, ha
formalmente accusato il movimento femminista di «agire contro la legge e la
moralità», trascinandolo in tribunale. Quell’accusa è il cappello, l’ombrello a
una serie di sotto-accuse che vanno da «disintegrazione della struttura
familiare ignorando il concetto di famiglia» a «compromissione della famiglia
mascherandola per difesa dei diritti delle donne» fino a «forte sospetto di
crimine» (sic – dopotutto per la Convenzione di Istanbul il governo turco parlò
di «normalizzazione dell’omosessualità»).
NESSUNA
PROVA APPARENTE ma tutte buone ragioni, agli occhi della procura, per metterlo
al bando. Una guerra alle donne sotto altra forma, a cui la piattaforma ha
reagito immediatamente con un comunicato: «Sappiamo che non cammineremo mai da
sole di fronte a simili attacchi alla nostra lotta giusta. Facciamo appello a
tutte le donne, le persone Lgbtqi+ e ai cittadini che sostengono la battaglia
delle donne perché si uniscano a noi contro questa denuncia». «Abbiamo
cominciato il nostro viaggio 12 anni fa – continua la nota – Abbiamo svelato la
verità dietro femminicidi sospetti. Abbiamo ottenuto leggi sulle donne. Con i
dati pubblicati ogni mese, abbiamo mostrato che combattiamo per la vita. Questa
denuncia non è un attacco solo alla nostra lotta, è un attacco all’intero
sistema democratico». Sui social la risposta è arrivata, in tanti – tra loro
politici e intellettuali – hanno preso parola a difesa di We Will Stop
Femicide. E domani a Istanbul si scenderà in piazza a Kadikoy, una protesta che
– visti i precedenti – si immagina già tesa: da anni le manifestazioni
femministe sono occasione di sfoggio della violenza della polizia, con
barricate, manganelli e cannoni ad acqua.
A DARNE
RIPROVA è stata ieri la notizia che 40 donne, detenute l’8 marzo proprio a
Kadikoy dove stavano per imbarcarsi in direzione di Taksim e la marcia
femminista, sono state incriminate per «partecipazione a manifestazione
illegale disarmata» e per «mancata dispersione nonostante gli avvisi». Secondo
quanto riportato da Women’s Defence Network, nell’incriminazione si scrive che
la marcia (40 donne che stavano raggiungendo un battello) avrebbe bloccato
veicoli e pedoni. Nel mirino anche i contenuti dei loro cartelli: «Creiamo un
mondo femminista», «Resisti con la rivolta femminista», «Non stare in silenzio,
le lesbiche esistono». Agenti antisommossa, ha aggiunto l’associazione, «hanno
circondato le donne e non le hanno nemmeno fatte salire a bordo». È in tale
contesto di repressione che cade il tentativo di silenziare la piattaforma
femminista. Che intanto continua a pubblicare i numeri che imbarazzano il
governo: nel 2021 sono state uccise in Turchia almeno 339 donne, 96 sono state
stuprate (dati relativi alle sole denunce sporte), 772 costrette a
prostituirsi. In 20 casi di femminicidio, l’uomo era sottoposto a ordini
restrittivi.
A MARZO IL
PARTITO del presidente Erdogan, Akp, ha inviato al parlamento un disegno di
legge contro la violenza sulle donne, aspramente criticato dai movimenti
femministi. Tra le proposte, una riduzione della sentenza per l’uomo che mostra
rimorso e un incremento nel caso sia il coniuge, senza prevedere lo stesso nel
caso di fidanzati o ex. Nessuna solida riforma né riferimenti all’eguaglianza
di genere, aveva commentato Fidan Ataselim di We Will Stop Femicide: «Di recente,
una donna è stata accoltellata a morte per non aver accettato una proposta di
matrimonio. La Corte suprema ha ridotto la sentenza di primo grado dicendo che
se avesse accettato sarebbe ancora viva. I giudici stanno già riducendo le
sentenze, è inaccettabile»
* da il
manifesto 14 aprile 2022 - nella foto:
8 marzo a Istambul
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