Partiti terremotati. Valls si propone come candidato En Marche, a destra la
corsa al. soccorso del vincitore è iniziata, per ora più moderata. L'accordo
Mélenchon-Pcf esplode. Marion Maréchal-Le Pen abbandona la politica
di
Anna Maria Merlo *
L’elezione di Emmanuel Macron
all’Eliseo si sta trasformando in una bomba a frammentazione per i due
principali partiti politici tradizionali, che già erano stati esclusi dal ballottaggio
delle presidenziali. L’accordo France Insoumise-Pcf esplode invece da solo.
L’EX PRIMO MINISTRO Manuel Valls, ha annunciato, ieri mattina, l’intenzione di essere il
candidato della «maggioranza presidenziale», a Evry, che è il suo «feudo» (è
stato a lungo sindaco). Per Valls è «la morte» del Ps, il partito socialista «è
dietro di noi». «Chi resta in mezzo al guado sarà travolto», ha affermato l’ex
primo ministro, che aveva già invitato a votare Macron al primo turno,
bypassando Hamon, dopo aver teorizzato le «due sinistre inconciliabili». La
reazione di En Marche! è stata molto però fredda: «Faccia domanda, ha 24 ore di
tempo». En Marche! deve rendere pubbliche giovedì le 577 candidature delle
legislative per tutte le circoscrizioni. Quella di Evry è già stata attribuita.
Freddezza estrema anche nel Ps, dove il segretario, Jean-Christophe Cambadelis,
ha risposto un secco «no» alla possibilità di avere la tessera Ps e presentarsi
sotto la sigla En Marche!. Il primo ministro, Bernard Cezeneuve, ha ingiunto a
Valls di «scegliere», non è solo per decenza politica, ma anche per una
banalissima questione di soldi: i finanziamenti pubblici versati per ogni voto
ottenuto a chi vanno se un candidato ha una doppia fedeltà?
IL PS, IERI, ha presentato la piattaforma programmatica per le legislative, dove
rischia di passare dai 285 seggi attuali a 20-80: lasciate tra parentesi alcune
proposte di Benoît Hamon, come l’uscita dal nucleare o l’abbandono del diesel,
Macron viene messo in guardia sul ricorso alle «ordinanze» che snelliscono
l’iter parlamentare, per riformare il codice del lavoro e abbattere la
patrimoniale.
ANCHE A DESTRA è cominciata la corsa alle cariche attorno a Macron, anche se per il
momento in misura minore che nel Ps. L’ex ministro Bruno Le Maire offre i suoi
servizi e vuole portare a destra il nuovo governo: «Mi ritrovo in molte sue
proposte, in particolare riformare il mercato del lavoro o abbassare i
contributi delle imprese». Ma Le Maire mette una condizione: il primo ministro
deve venire dalla destra. Il nome verrà rivelato solo dopo l’insediamento
all’Eliseo domenica prossima. Per Macron è la prova del nove, secondo il
politologo Dominique Reynié, la scelta, se sbagliata, può far fallire la
presidenza Macron ancora prima che cominci. Il primo ministro dovrà essere
qualcuno di esperto, ma anche un nome relativamente nuovo, una donna sarebbe un
segnale positivo, deve saper guidare la campagna delle legislative per dare ai
«macronisti» l’agognata maggioranza. Vari nomi circolano. Visto che il Ps è
ormai esploso, Macron potrebbe pescare a destra, per distruggere Les
Républicains.
Xavier Bertrand, presidente Lr
della regione Nord-Pas-de-Calais-Picardie, uomo di terreno, eletto contro il
Fronte nazionale grazie al ritiro del Ps? Edouard Philippe, sindaco di Le
Havre, seguace di Juppé, per poter staccare l’ala moderata di Lr? Altri nomi
circolano (Sylvie Goulard, eurodeputata centrista, grande esperta di Europa,
Anne-Marie Idrac, dirigente ed ex politica, persino l’improbabile Christine
Lagarde, alla testa dell’Fmi. Lr spera nella rivincita e di rappresentare
l’opposizione. Stesso obiettivo per il Fronte nazionale.
ANCHE JEAN-LUC MÉLENCHON punta a questo ruolo. Ma ieri si è consumata la rottura con il Pcf. Pierre
Laurent, segretario dei comunisti, ha «rinnovato l’appello a France Insoumise
per un accordo». «Gli elettori non capiscono» dice Laurent, che ricorda la
posizione del Pcf: «quasi i due terzi degli elettori di Mélenchon hanno votato
per Macron, come avevamo indicato, abbiamo contribuito a battere Marine Le Pen,
abbiamo avuto ragione», ma la «minaccia» resta e «la battaglia contro la
banalizzazione del Fronte nazionale ha senso solo se continuiamo». Senza
accordo, ci saranno dei candidati di France Insoumise contro il Pcf, che spera
di poter mantenere i quindici seggi attuali (che avevano conquistato grazie
all’intesa con il Ps). Ieri sono volati gli insulti, su un tweet di France
Insoumise che ha paragonato l’uso della foto di Mélenchon da parte di candidati
Pcf ai falsi volantini del Fronte nazionale, diffusi per nuocere a Mélenchon
nel 2012. «Una dichiarazione scandalosa» ha commentato Laurent (ma France
Insoumise minaccia una denuncia).
TERREMOTO anche nel Fronte nazionale: Marine Le Pen è contestata, mentre Marion
Maréchal-Le Pen, la nipote che poteva incarnare il ritorno ai «fondamentali»
identitari e l’abbandono della linea «sociale», rinuncia a ripresentarsi alle
legislative.
Macron ha di fronte una forte
«dissidenza elettorale», secondo Reynié, che si è espressa anche al secondo
turno: 56,3% dei voti (sommando il voto Le Pen, l’astensione e le schede
bianche). Secondo un sondaggio, il 61% degli elettori non vuole che En Marche!
abbia la maggioranza assoluta all’Assemblée.
* da il manifesto 10 maggio 2017
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