Da tempo nel mirino per una speculazione di lusso, ora quei territori vengono assegnati dal presidente alle forze armate e al loro impero economico. Rischio sgombero per centinaia di migliaia di egiziani poveri, contadini e pescatori, che da anni si battono per restare
di Chiara Cruciati*
Con un decreto presidenziale, Abdel Fattah
al-Sisi fa un altro regalo alla fonte della sua legittimità: all’esercito
assegna la proprietà di 37 isole del fiume Nilo, riserve naturali. Cresciuto
nelle forze armate, nominato prima generale e poi ministro della Difesa (da un
ignaro Morsi che poi da quell’uniforme fu deposto), nel 2013 ha guidato le
forze armate verso i vertici delle istituzioni egiziane: (ri)preso il potere, è
ripartita spedita la scalata all’economia.
Un oligopolio
puntellato da riforme legislative che hanno ulteriormente ampliato le capacità
commerciali delle forze armate (che già producono di tutto, dalla pasta ai
fertilizzati fino alle tv), una fetta di Pil che si aggira sul 40%, grazie
anche alla disponibilità di manodopera a basso costo (decine di migliaia di
reclute pagate poche decine di dollari al mese) e alla garanzia di appalti
milionari per le mega infrastrutture tipiche della strategia economica di
al-Sisi. Ora si aggiudicano 37 isole su cui da tempo hanno messo gli occhi,
luogo ideale per una speculazione edilizia di lusso. Ma quelle isole non sono
vuote: ci abitano centinaia di migliaia di egiziani, per lo più poverissimi,
pescatori, contadini, lavoratori a giornata. Hanno costruito spesso da soli le
loro case, con mattoni di fango e lamiere, uno sviluppo urbano che le autorità
hanno finto di non vedere per decenni, incapaci di fornire alternative. E così
ormai da anni quelle isole sono divenute terreno di scontro, politico e fisico.
Operazioni di
demolizioni e minacce di espropri hanno provocato proteste e ribellioni, a
partire dall’isola al-Warraq che il governo vorrebbe
destinata a ben altri scopi (il progetto Horus), un grande hub turistico e
residenziale dedicato alle classi alte e finanziato, pare, anche con i soldi
del Golfo. Il decreto presidenziale, una paginetta, cita un documento del
ministero delle Risorse idriche, come riporta Middle East Eye, che
suggerisce di trasferire la proprietà delle isole all’esercito «per proteggerle
da diverse minacce». Non è chiaro quali siano. Dal 1998 – al potere c’era
ancora ben saldo Hosni Mubarak – erano state tutte catalogate come riserva
naturale, di proprietà dunque dello Stato.
Tra le 37 isole c’è
Badrashin, la più grande, e Qursaya, appena 5mila abitanti. Pescatori e
contadini, da tempo minacciati di sfratto: nel 2007 l’isola era stata promessa
a una grande compagnia perché la tramutasse in un fiore all’occhiello
turistico, con lo zampino delle forze armate. Un tentativo fallito nel 2010
quando i residenti di Qursaya vinsero in tribunale contro il governo: avevano
il diritto di rimanere. Diritto ribadito di nuovo in tribunale nel 2013. Ora
temono che il trasferimento della proprietà all’esercito, finora bloccato dalle
corti egiziane – si legge sull’agenzia indipendente egiziana Mada Masr –
permetterà gli sgomberi e la costruzione di case con prezzi impossibili da
pagare per i poveri di Qursaya.
***
Ramy Shaath: «Egitto
Stato terrorista» A 20 giorni dal suo rilascio, dopo due anni e mezzo in detenzione
cautelare, l’attivista palestinese egiziano Ramy Shaath rilascia la sua prima
intervista alla Cnn. E nonostante le minacce alla sua famiglia,
racconta i lunghi mesi nelle carceri del regime: «L’Egitto sta diventando uno
Stato terrorista».
Per lunghi periodi in
isolamento o in celle da 23 metri quadrati con altri 32 prigionieri e un buco a
terra come «bagno», Shaath ha descritto i suoi compagni di prigionia:
all’inizio attivisti della società civile o membri dei Fratelli musulmani, ma
poi le celle si sono riempite di persone arrestate anche solo per un like sui
social. «Non posso andare a dormire la sera pensando a migliaia di innocenti
egiziani che marciscono all’inferno».
nella foto: il presidente
egiziano al-Sisi
* da il manifesto 2022
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