Lo sa, ma non lo dice in pubblico. E la notizia non compare né sul suo sito personale, né sul portale Passo dopo passo e nemmeno tra “I risultati che
contano” messi in bella mostra con tanto di infografiche da Italia in cammino. Eppure è stata la miglior performance
del suo governo. Nei 1024 giorni di permanenza a Palazzo Chigi, Matteo Renzi
ha raggiunto un primato storico di cui però, stranamente, non parla: ha
sestuplicato le autorizzazioni per esportazioni di armamenti. Dal giorno
del giuramento (22 febbraio 2014) alla consegna del campanellino al successore
(12 dicembre 2016), l’esecutivo Renzi ha infatti portato le licenze per
esportazioni di sistemi militari da poco più di 2,1 miliardi ad oltre 14,6
miliardi di euro: l’incremento è del 581 per cento che significa, in
parole semplici, che l’ammontare è più che sestuplicato. Una vera manna per
l’industria militare nazionale, capeggiata dai colossi a controllo statale
Finmeccanica-Leonardo e Fincantieri. È tutto da verificare, invece, se le
autorizzazioni rilasciate siano conformi ai dettami della legge n. 185 del 1990
e, soprattutto, se davvero servano alla sicurezza internazionale e del nostro
paese.
Renzi e il motto di BP
Un fatto è certo: è un record storico dai tempi della nascita della
Repubblica. Ma, visto il totale silenzio, il primato sembra imbarazzare
non poco il capo scout di Rignano sull’Arno che ama presentarsi ricordando il motto di Baden Powell (BP è il fondatore
degli scout): “Lasciare il mondo un po’ migliore di come lo abbiamo trovato”.
L’imbarazzo è comprensibile: la stragrande maggioranza degli armamenti non è
stata destinata ai paesi amici e alleati dell’Ue e della Nato (nel 2016 a
questi paesi ne sono stati inviati solo per 5,4 miliardi di euro pari al 36,9
per cento), bensì ai paesi nelle aree di maggior tensione del mondo, il Nord
Africa e il Medio Oriente. È in questa zona – che pullula di dittatori,
regimi autoritari, monarchi assoluti sostenitori diretti o indiretti del
jihadismo oltre che di tiranni di ogni specie e risma – che nel 2016 il governo
Renzi ha autorizzato forniture militari per oltre 8,6 miliardi di euro,
pari al 58,8% del totale. Anche questo è un altro record, ma pochi
se ne sono accorti.
Il basso profilo della sottosegretaria Boschi
Eppure non sono cifre segrete. Sono tutte scritte, nero su bianco e
con tanto di grafici a colori, nella “Relazione sulle operazioni autorizzate e
svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei
materiali di armamento per l’anno 2016” inviata
alle Camere il 18 aprile. L’ha trasmessa l’ex ministra delle Riforme e attuale Sottosegretaria di
Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Maria Elena Boschi. Nella
relazione di sua competenza l’ex catechista
e Papa girl si è premurata di
segnalare che “sul valore delle esportazioni e sulla posizione del Kuwait come
primo partner, incide una licenza di 7,3 miliardi di euro per la fornitura di
28 aerei da difesa multiruolo di nuova generazione Eurofighter Typhoon
realizzati in Italia”. Al resto – cioè ai sistemi militari invitati in 82
paesi del mondo tra cui soprattutto quelli spediti in Medio Oriente – la
Sottosegretaria ha riservato solo un laconico commento: “Si è pertanto
ulteriormente consolidata la ripresa del settore della Difesa a livello
internazionale, già iniziata nel 2014, dopo la fase di contrazione del triennio
2011-2013”. La legge n. 185 del 1990, che regolamenta la materia, stabilisce
che l’esportazione e i trasferimenti di materiale di armamento “devono essere
conformi alla politica estera e di difesa dell’Italia”: autorizzare
l’esportazione di sistemi militari a paesi al di fuori delle principali
alleanze politiche e militari dell’Italia meriterebbe pertanto qualche
spiegazione in più da parte di chi, durante il governo Renzi e oggi col governo
Gentiloni, ha avuto la delega
al programma di governo.
I meriti della ministra Pinotti
Non c’è dubbio, però, che gran parte del merito per il boom di
esportazioni sia della ministra della Difesa, Roberta Pinotti. È alla “sorella
scout”, titolare di Palazzo Baracchini, che va attribuito il pregio di aver
consolidato i rapporti con i ministeri della Difesa, soprattutto dei paesi
mediorientali. La relazione del governo non glielo riconosce apertamente, ma la
principale azienda del settore, Finmeccanica-Leonardo, non ha mancato di
sottolinearne il ruolo decisivo. Soprattutto nella commessa dei già citati
28 caccia multiruolo Eurofighter Typhoon: “Si tratta del più grande
traguardo commerciale mai raggiunto da Finmeccanica” – commentava l’allora
Amministratore Delegato e Direttore Generale di Finmeccanica, Mauro Moretti. “Il
contratto con il Kuwait si inserisce in un’ampia e consolidata partnership tra
i Ministeri della Difesa italiano e del Paese del Golfo” – aggiungeva il
comunicato ufficiale di Finmeccanica-Leonardo. Alla firma non
poteva quindi mancare la ministra, nonostante i
slittamenti della data dovuti – secondo fonti
ben informate – alle richieste di
chiarimenti circa i costi relativi “a supporto tecnico, addestramento, pezzi di
ricambio e la realizzazione di infrastrutture”.
Anche il Ministero della Difesa ha posto grande enfasi sui “rapporti
consolidati” tra Italia e Kuwait: “rapporti – spiegava il
comunicato della Difesa – che potranno essere ulteriormente rafforzati, anche alla luce
dell’impegno comune a tutela della stabilità e della sicurezza nell’area
mediorientale, dove il Kuwait occupa un ruolo centrale”. Nessuna parola,
invece, sul ruolo del Kuwait nel conflitto in Yemen, in
cui è attivamente impegnato
con 15 caccia, insieme alla coalizione a guida saudita che nel marzo del 2015 è
intervenuta militarmente in Yemen senza alcun mandato internazionale. I meriti
della ministra Pinotti nel sostegno all’export di sistemi militari non si
limitano ai caccia al Kuwait: va ricordato anche l’accordo di cooperazione
militare con Qatar per la fornitura da parte di Fincantieri
di sette unità navali dotate di missili MBDA per un valore totale di 5 miliardi di euro, che
però non compare nella Relazione governativa. Ma, soprattutto, non va
dimenticata la visita della ministra Pinotti in Arabia Saudita per
promuovere “affari
navali” (ne ho parlato qualche mese fa e rimando in proposito ai miei
precedenti articoli).
Le dichiarazioni dell’ex ministro Gentiloni
Una menzione particolare spetta all’ex ministro degli Esteri e attuale
presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni. È lui, ex catechista ed ex sostenitore
della sinistra extraparlamentare, che più di tutti si è speso in difesa delle
esportazioni di sistemi militari. Lo ha fatto nella sede istituzionale preposta:
alla Camera in riposta a due Question Time. Il primo risale al 26
novembre 2015, in riposta a
un’interrogazione del M5S, durante la quale il titolare della Farnesina, dopo
aver ricordato che “… abbiamo delle Forze armate, abbiamo un’industria della
Difesa moderna che ha rapporti di scambio e esportazioni con molti paesi del
mondo…” ha voluto evidenziare che “è importante ribadire che l’Italia comunque
rispetta, ovviamente, le leggi del nostro paese, le regole dell’Unione europea
e quelle internazionali (pausa) sia per quanto riguarda gli embargo che i
sistemi d’arma vietati”. Già, ma la legge 185/1990 e le “regole Ue e
internazionali” non si limitano agli embarghi, anzi pongono una serie di
specifici divieti sui quali Gentiloni ha bellamente sorvolato.
Nel secondo, del 26 ottobre 2016, in risposta ad un’interrogazione del
M5S che riguardava nello specifico le esportazioni di bombe e materiali bellici
all’Arabia Saudita e il loro impiego nel conflitto in Yemen, Gentiloni ha
sostenuto che “l’Arabia Saudita non è oggetto di alcuna forma di embargo,
sanzione o restrizione internazionale nel settore delle vendite di armamenti”.
Tacendo però sulla Risoluzione
del Parlamento europeo, votata ad ampia maggioranza già nel febbraio del 2016, che ha invitato
l’Alta rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di
sicurezza e Vicepresidente della Commissione, Federica Mogherini, ad “avviare
un’iniziativa finalizzata all’imposizione da parte dell’UE di un embargo sulle
armi nei confronti dell’Arabia Saudita”, in considerazione delle gravi accuse
di violazione del diritto umanitario internazionale perpetrate dall’Arabia
Saudita nello Yemen. Questa risoluzione, finora, è rimasta inattuata anche per
la mancanza di sostegno da parte del Governo italiano.
Ventimila bombe da sganciare in Yemen
Rispondendo alla suddetta interrogazione, Gentiloni ha però dovuto
riconoscere le “la ditta RWM Italia, facente parte di un gruppo tedesco, ha
esportato in Arabia Saudita in forza di licenze rilasciate in base alla
normativa vigente”. Un’assunzione, seppur indiretta, di responsabilità da
parte del ministro. Il quale, nonostante i vari organismi
delle Nazioni Unite e lo stesso Ban
Ki-moon abbiano a più riprese condannato i bombardamenti della coalizione
saudita sulle aree abitate da civili in Yemen (sono più di 10mila
i morti tra i civili), ha continuato ad autorizzare le forniture belliche a Riad. E non vi è
notizia che le abbia sospese, nemmeno dopo che uno specifico rapporto
trasmesso al Consiglio di Sicurezza dell’Onu non solo ha dimostrato
l’utilizzo anche delle bombe della RWM Italia sulle aree civili in Yemen, ma ha
affermato che questi bombardamenti “may amount to war crimes” (“possono
costituire crimini di guerra”).
Nella Relazione inviata al Parlamento spiccano le autorizzazioni all’Arabia
Saudita per un valore complessivo di oltre 427 milioni di euro. Tra queste
figurano “bombe, razzi, esplosivi e apparecchi per la direzione del tiro”
e altro materiale bellico. La relazione non indica, invece, il paese
destinatario delle autorizzazioni rilasciate alle aziende, ma l’incrocio dei
dati forniti nelle varie tabelle ministeriali, permette di affermare che una
licenza da 411 milioni di euro alla RWM Italia è destinata proprio all’Arabia
Saudita: si tratta, nello specifico, dell’autorizzazione all’esportazione
di 19.675 bombe Mk 82, Mk 83 e Mk 84. Una conferma in questo senso è contenuta
nella Relazione Finanziaria della Rheinmetall (l’azienda tedesca di cui fa
parte RWM Italia) che per l’anno 2016 segnala un ordine “molto significativo”
di “munizioni” per 411 milioni di euro da un “cliente della regione MENA”
(Medio-Oriente e Nord Africa).
La legge n. 185/1990 vieta espressamente l’esportazione di sistemi militari
“verso Paesi in conflitto armato e la cui politica contrasti con i princìpi
dell’articolo 11 della Costituzione”, ma – su questo punto – nessun commento
nella Relazione. E nemmeno da Renzi. Men che meno da Gentiloni. Che
l’attuale capo del governo si sia dato come obiettivo quello di migliorare la performance
di Renzi nell’esportazione di sistemi militari?
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