Gran Bretagna. Testa a testa nell’ultimo
"question time" BBC. «The Guardian» si schiera con il leader Labour.
Si vota giovedì 8. Sondaggio YouGov «Il vantaggio Tory sui laburisti ora a soli
3 punti, dai 12 di un mese fa»
di Leonardo
Clausi *
IERI SERA
c’è stato l’ultimo confronto (a distanza) fra Theresa May e Jeremy Corbyn. In
quest’ordine, i due si sono misurati con una platea di cittadini nell’edizione
straordinaria della trasmissione televisiva della Bbc Question Time. Non c’è
stata la sperata débâcle dell’una, né il trionfo dell’altro. Entrambi sono
stati messi all’angolo nei rispettivi punti deboli. Entrambi hanno tenuto il
campo. Esprimendo perfettamente la psicologia di due partiti tornati finalmente
a essere diametralmente opposti dopo decenni di scimmiottamenti reciproci. E’ vero che in simili contraddittori
il partito del premier in carica ha tutto da perdere, ma May sembra imbarazzata
da quegli stessi cittadini che dovrebbe rappresentare. Per cui, dopo una
settimana in cui ha cercato malamente di tamponare i progressi impensabili
della campagna avversaria, trascinata da un Corbyn in stato di grazia che ha
dimezzato il vantaggio che avevano i Tories un mese fa, si è alfine immolata. Con
decisione, per 45 minuti ha risposto al pubblico su austerity in politica
economica, giustificato i vari voltafaccia su Brexit (era una remainer),
elezioni e sulle più socialmente sciagurate proposte del suo programma
elettorale. Ha deposto l’armatura di androide sputa-soundbites e dato prova di
senso del ridicolo, evitando accuratamente «strong and stable». Che non fosse
proprio Madre Theresa si sapeva. Il nadir lo ha raggiunto quando, rivolgendosi
a un’infermiera con il salario bloccato dal 2009, le ha risposto che «i soldi
non crescono sugli alberi» – l’ultimo slogan Tory sul manifesto
super-keynesiano dei laburisti – dimostrando di avere proprio l’empatia da
ufficiale giudiziario che ci vuole a guidare quel partito. Ma se per lei la
campagna elettorale è una via crucis, sembra una goduria per il brioso Corbyn.
Il quasi settantenne leader ha retto alla pressione dimostrando la naturalezza
e l’apertura che ne hanno fatto un attivista per quarant’anni. Non più
analfabeta mediatico, unisce questa nuova disinvoltura a quello che ai suoi
colleghi socialdemocratici europei manca del tutto: un programma socialista.
NATURALMENTE è finito
sotto attacco per il suo passato di pacifista militante. Più volte gli è stato
chiesto se avrebbe il fegato di difendere la patria incinerendo milioni di
persone: dopotutto, questo è un paese con un arsenale nucleare (obsoleto) che
ancora sostenta l’autorappresentazione di superpotenza. Poi, cosa ancora più grave
per la Middle England, gli hanno puntualmente rinfacciato presunte simpatie con
l’Ira, in una sala immersa nell’oblio collettivo delle merendine sur l’herbe
fra Thatcher e Pinochet.
I SONDAGGI sono in preda in queste
ultime settimane alle convulsioni per una formidabile rimonta Labour, mai così
in alto come negli ultimi tre anni: Corbyn continua a erodere il vantaggio dei
conservatori e certe proiezioni indicano che la mossa machiavellica della
premier – che ha convocato queste elezioni a sorpresa dopo aver ripetutamente
escluso che lo avrebbe fatto – anziché la desiderata slavina di un centinaio di
seggi potrebbe portarne solo pochi in più, rischiando il molto rumore per
nulla. La media dei sondaggi vede i Tories al 43%, il Labour al 36, i Libdem
all’8 e Ukip e Verdi, rispettivamente al 4 e al 2%. L’ultimo pubblicato da YouGov dà il vantaggio Tory sui
laburisti ad appena tre punti, da dodici che erano un mese fa. Un altro
sondaggio, condotto dalla Icm, calcola il vantaggio ancora a 12 punti, ma per
quanto ampio sia il margine d’errore, queste ultime due settimane sono state un
crescendo per Corbyn, perfettamente a suo agio nel bucare la bolla denigratoria
in cui lo avevano chiuso tutti i media mainstream. Tanto che ora, dopo aver passato gli ultimi due anni a
massacrarlo, uno a uno i commentatori neoliberal-cosmopoliti del Guardian sono
saliti a bordo: il giornale ha annunciato venerdì sera che lo appoggerà. Mossa
dettata da buon senso, oltre che da opportunismo: con i Libdem inchiodati
all’8% l’Ukip sgonfiato e i Verdi ininfluenti, questa è tornata una classica
corsa inglese a due partiti. (Quasi) gli stessi che erano mezzo secolo fa:
gettata la maschera finta e solidale, ora i Tories promettono di tagliare la
tassa sul reddito ai più abbienti, mentre il Labour ha abbandonato la
sottomissione agli Stati uniti in politica estera e la prudenza fiscale con cui
ha corteggiato il centro in questi ultimi vent’anni in politica economica. Ma
questo significa anche che il Parlamento «appeso» senza cioè la maggioranza
assoluta dell’uninominale secco, resta l’alternativa più probabile a una
vittoria plebiscitaria dei Tories. Si vota giovedì.
* da il manifesto, 4 giugno 2017
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